Balance © Frank Jackson/fotographz
di Lucia Vitale
Mi sono da poco trasferita in un nuovo appartamento a Monaco di Baviera e, tra gli elettrodomestici per la casa, mi è sembrato quasi indispensabile l’acquisto di una macchina da espresso, occasione che mi ha indotto a riflettere più a lungo sul ruolo che il caffè ha assunto in moltissime società già a partire da diversi secoli.
Nello stesso periodo del trasloco, ho avuto la fortuna di incontrare un grande fotografo, Frank Jackson, il quale mi ha parlato di un suo progetto a lungo termine che va avanti, pensate, dal 1989. Frank infatti, durante i suoi viaggi in diversi Paesi del mondo, è solito fotografare sia le tazze di caffè lasciate dalla gente sui tavolini dei bar, sia la tazza, che una volta “scivolò” nella tasca della sua giacca, e da cui è diventato ormai inseparabile. Frank ci rivela che egli fotografa di tutto, persino gli oggetti più insignificanti, come nel caso delle tazze da caffè, perché non sono quel che sembrano: è la luce che le rende speciali. A colpirlo e a fargli venire voglia di fotografarle è il modo in cui luce e ombre le fanno apparire ai suoi occhi. A detta sua, le tazze hanno un qualcosa di umano: testimoniano il nostro amore sfrenato per questa bevanda, un amore che accomuna diverse culture del mondo, e nonostante le abitudini e i modi di prepararla siano diversi, resta il fatto che il caffè sia ovunque sinonimo di comunità, connessione e condivisione.
I diversi scatti sono stati raccolti e auto-pubblicati in due libricini, intitolati rispettivamente Double shot (2016) e Triple shot (2019) acquistabili sul sito ufficiale del fotografo www.fotographz.com.
Anche il semiologo francese Roland Barthes analizza il ruolo del caffè già negli anni ‘60. Egli spiega come il caffè sia l’esempio più lampante del fatto che “il cibo tenda a trasformarsi costantemente in una situazione” perdendo in “sostanza” e guadagnando in “funzione”2. In altre parole, analizzando gli slogan pubblicitari del caffè nella società francese degli anni Sessanta, il semiologo nota come il caffè venga sempre più associato a dei contesti del quotidiano, ad esempio, a una pausa lavorativa o, più in generale, a un momento di relax e, di conseguenza, le persone lo percepiscono come una circostanza e un modo di vivere piuttosto che come una bevanda in senso stretto del termine.
Molteplici pratiche e tradizioni
Bere il caffè è un’abitudine diffusa in tutto il mondo, in misura diversa a seconda delle usanze del posto. Ad esempio, nella società italiana, è quella di bere minimo un caffè al mattino a colazione e uno al pomeriggio per combattere la sonnolenza del dopopranzo. Il caffè lo si beve da soli ma soprattutto in compagnia. Gli operai fanno una breve sosta alle prime luci dell’alba al bar del paese per un caffè che dovrebbe fornire l’energia giusta per affrontare una dura giornata di lavoro. Ricevere un caffè a letto dal proprio compagno è un atto d’amore, il buongiorno al mattino. Il caffè è simbolo di amicizia; se un amico ci invita a bere un caffè è una semplice scusa per rivedersi, per trascorrere un po’ di tempo insieme e conversare del più e del meno o di qualcosa di importante. Bere un caffè in compagnia è un momento di apertura all’ascolto. Il caffè dei parenti o del vicino di casa, mai rifiutarlo! L’invito a bere un caffè può anche essere inteso come un invito a un primo appuntamento amoroso, per conoscersi meglio.
Abitudine italiana è anche quella di offrire un caffè al bar a familiari, amici e conoscenti. Eppure una volta a Napoli il caffè lo si offriva indirettamente anche a chi non si conosceva; questa tradizione prende il nome di “caffè sospeso”, che lo scrittore Luciano De Crescenzo nella premessa al suo libro omonimo definisce come un caffè “offerto al resto del mondo”3.
In poche parole, quando i napoletani erano felici, ordinavano un caffè per se stessi ma ne pagavano due. Il secondo caffè, già pagato, andava a chi non poteva permetterselo; a chi sarebbe passato dal bar a chiedere un caffè sospeso. Questa era un’abitudine, soprattutto, del periodo della Seconda guerra mondiale, e che è tornata in auge durante la crisi economica degli ultimi anni4. Così pur non essendo come era una volta a Napoli, tantissimi bar italiani e nel resto del mondo sono a favore del caffè sospeso, che è diventato anche un modo come un’altro per farsi pubblicità.
Ci sono diverse pratiche di preparazione e di estrazione del caffè: in Italia, il caffè espresso ottenuto a pressione; ma vi sono anche il caffè filtro, ottenuto tramite percolazione; il caffè turco tramite bollitura; il caffè arabo ottenuto con la tecnica dell’infusione. Il caffè turco e arabo sono entrati a far parte del Patrimonio immateriale dell’Umanità, rispettivamente nel 2013 e 2015. In Italia, la Comunità Rito Caffè Espresso italiano, fondata dal Consorzio di Tutela del Caffè Espresso Italiano Tradizionale, sta mandando avanti una raccolta firme a sostegno del rito del caffè espresso italiano a Patrimonio dell’UNESCO. La comunità non si scoraggia nonostante la candidatura sia stata già bocciata l’anno scorso a favore dell’arte italiana dell’opera lirica.
Sapevate che la prima macchina da espresso risale a tempi piuttosto recenti? Il primo brevetto è del 1884, mentre la prima macchina moderna capace di realizzare un caffè espresso come quello che conosciamo oggi è merito dell’ingegnere Achille Gaggia e risale al 1938. Eppure, in Italia, il caffè si beveva già da tempo, usanza importata dall’Oriente da parte dei veneziani.Secondo la tradizione araba, la bevanda fu inventata dai sufi dello Yemen, a cui serviva per rimanere svegli durante le preghiere notturne, così come il tè veniva bevuto dai monaci buddisti per non addormentarsi durante i lunghi periodi di meditazione. Cominciando dallo Yemen, si diffuse dapprima in tutto l’Oriente e successivamente fu introdotta in Occidente dai veneziani. Il primo locale adibito alla consumazione del caffè fu aperto a Venezia nel 1640, dove ben presto si moltiplicarono divenendo degli ambienti raffinati e alla moda, e dei centri di vita culturale, artistica e politica. Sempre nel XVII secolo, a Londra di caffetterie ce ne erano già migliaia: qui il caffè costava un penny, ma in maniera del tutto gratuita ci si informava sull’attualità attraverso la lettura di giornali o libri, e facendo conversazione.
La dipendenza invisibile
Un altro tratto caratterizzante di questa bevanda è l’aspetto farmacologico associato all’effetto della caffeina sull’organismo umano. Il giornalista statunitense Michael Pollan ne discute in un suo articolo, tradotto e pubblicato da Internazionale, dal titolo La dipendenza invisibile4. Da un lato, la teoria più diffusa tra gli studiosi è piuttosto rassicurante: la caffeina, se assunta in quantità limitate, dovrebbe ridurre il rischio di contrarre alcuni tipi di cancro, così come le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2, o addirittura la depressione; dall’altro lato, i ricercatori del sonno e di ritmi circadiani intervistati da Pollan, affermano che la caffeina rovinerebbe la qualità del sonno, dal momento che per molte persone l’effetto della caffeina dura circa dodici ore, quindi, quella contenuta in un caffè bevuto alle due del pomeriggio circola ancora nel cervello quando andiamo a letto a mezzanotte; questa quantità sarebbe sufficiente a rovinare completamente il sonno profondo. Inoltre, la caffeina è considerata una sostanza che può provocare intossicazione e astinenza, disturbi introdotti nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm-5). Il problema è che bere un caffè è per molti un ikigai, se vogliamo utilizzare un termine giapponese ormai noto in Occidente, cioè un piccolo piacere della vita che ci si concede ogni giorno. Perché doverci rinunciare? Personalmente non trovo la motivazione per smettere di berlo, ma sicuramente i settemila caffè di Alex Britti sono da evitare.
1. Barthes Roland. Pour une psycho-sociologie de l’alimentation contemporaine. In: Annales. Économies, sociétés, civilisations. 16ᵉ année, N. 5, 1961. pp. 977-986;
2. Luciano De Crescenzo. Il caffè sospeso. Saggezza quotidiana in piccoli sorsi. Oscar Bestsellers. Edizioni Mondadori, 2017. ISBN 9788804679509;
3. Gianni Cipriano. In Naples, Gift of Coffee to Strangers Never Seen. The New York Times, 25. Dez. 2014;
4. Michael Pollan. La dipendenza invisibile. Internazionale. Il potere del caffè, numero 1434, 5/11 novembre 2021.