di Nicolò Errico
L’appuntamento è alle 9 del mattino. Ancora sonnolenti, stropicciandoci gli occhi, incontriamo il coordinatore (field coordinator) nel cortile. Il nostro gruppo – che conta circa una dozzina di ragazze e ragazzi provenienti da tutta Italia, mentre altri volontari arrivano dal Ticino o direttamente da altri stati – abita in una casa inizialmente costruita da una famiglia benestante di Atene per passare l’estate nel golfo di Corinto. Qui dormiamo, ceniamo e passiamo le nostre giornate di riposo, quando non organizziamo weekend che ci portano ad Atene o in altri posti della Grecia continentale.
La mattina è fresca a Kamari. Siamo pronti, ognuno con il proprio zaino, il gilet con i loghi delle organizzazioni non-governative (ONG) stampate sul petto. Chi sale sul furgone, chi in auto, chi si addormenta subito e chi ascolta musica o legge. Prendiamo la superstrada per Corinto, dove ci aspetta la giornata di lavoro.
Dopo lunghe esperienze nell’ambito dei campi profughi, le ONG italiane La Luna di Vasilika Onlus, One Bridge to Idomeni e la svizzera Aletheia RCS hanno aperto, nell’estate 2020, una missione a Corinto. Ricordo ancora i primi passi: scoprimmo quasi per caso che c’era un campo in quella piccola città del Peloponneso. Nessuna ONG nei paraggi, tanto bisogno di supporto da parte delle centinaia di richiedenti asilo, stipate in angusti loculi dai muri di compensato, sotto soffocanti tendoni all’interno di uno spiazzo di una vecchia base militare greca. Grazie alle convenzioni con le università, studenti e studentesse hanno lavorato per le ONG, inseriti in programmi di tirocinio. Altri sono qui usando il proprio tempo libero. Tutti in cerca della testimonianza che vogliono avere di questa realtà diabolica, apparentemente così fuori contesto dalla nostra immagine di Europa. Tutti qui per dare qualcosa di loro stessi. Tutti qui per ottenere qualcosa, anche se non sappiamo bene cosa.
A seconda dell’università e dei contatti che abbiamo preso per venire qui, ognuno ha alle spalle una tra le tre ONG. Nel mio caso, si tratta de La Luna di Vasilika ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale). È la terza volta che opero in Grecia con loro. Di questo gruppo, che cambia in continuazione tra arrivi e partenze ogni settimana, solo io ed il coordinatore abbiamo lavorato anche prima e durante la prima ondata di Covid-19, a Salonicco, dove La Luna lavorava dal 2016. Ma da quando finalmente, dopo due mesi bloccato dal lock-down nel paese, sono riuscito a tornare in Italia e a chiudere il mio Erasmus+ Traineeship (il programma di fondi europei che finanzia tirocini all’estero per le studentesse e gli studenti dell’Unione Europea), molte cose sono cambiate. Quando siamo arrivati a Corinto per la prima volta, a inizio maggio 2020, con l’intenzione di aprire la nuova missione, eravamo solo in quattro, senza strutture e contatti. Bisognava fare tutto, ma lasciammo il coordinatore per tornare dopo mesi alla mercé delle decisioni dei governi di Italia e Grecia.
Al mio ritorno, l’ottobre scorso, ho trovato una scuola aperta ai residenti del campo – termine che preferiamo rispetto a molti altri di cui si è fatto spesso un uso improprio – di Corinto (Community school) e un Community center, non diverso da un centro polifunzionale, posizionati a qualche minuto dal campo, dentro la città nascosto agli occhi, in cima ad una collina. I volontari si occupano di organizzare e tenere corsi di lingua inglese, francese, grazie alle donazioni si insegna l’utilizzo di PC, comprano i prodotti per sessioni di cucina gestite indipendentemente dai residenti nella nostra scuola. Esempi delle varie attività svolte nel centro sono l’affitto di biciclette, utile per lo svago come per raggiungere servizi e posti di lavoro – troppo spesso in nero –, l’offerta di supporto nel contattare medici e prenotare visite, c’è la possibilità di utilizzare giochi da tavola, prendere bevande calde e socializzare. Ogni due settimane lo spazio viene preso per un giorno dai medici volontari della ONG partner MVI (Medical Volunteers International). C’è il free shop, e la lista di attività non sarebbe comunque esaurita. Sulla base della grandezza del nucleo familiare, ai residenti che lo richiedono viene fornita una tessera con una quantità di punti con cui è possibile “acquistare” i prodotti che esponiamo nel centro. Premettendo che la responsabilità di fornire i beni di prima necessità dei residenti è del governo e delle grandi organizzazioni – come IOM (International Organization of Migration)) – a cui il governo “appalta” la gestione dei campi, al fine anche di razionare le nostre limitare risorse, distribuiamo quello che abbiamo con un sistema non diverso da quello dei buoni di un normale negozio. I prodotti sono gestiti e stoccati all’interno di un magazzino (warehouse), nella polverosa periferia di Corinto, dove le squadre di volontari contano, spostano, caricano, scaricano, cercano tra le donazioni arrivate dalle raccolte fatte in Italia e in Svizzera.
Lo scopo del sistema del free shop non è tanto soddisfare il fabbisogno dei residenti, troppo grande per piccole ONG come le nostre, quanto far loro sperimentare un approccio al consumo che è quello di tutti gli occidentali, e cioè indipendente. Nessuno ha mai dato loro una scelta. La scelta di come soddisfare un proprio bisogno o, perché no, un semplice piacere. Spesso, soprattutto nei primi acquisti, si trovano spaesati. Prendono tempo a guardare, informarsi, a discutere dei prodotti. A volte c’è poca scelta. E alcuni prodotti finiscono troppo presto. Olio, farina, salviette. A volte, prima che arrivi un tir con nuove raccolte di donazioni, passano mesi senza queste semplici cose. Ma comunque, prendono tempo. Vogliono scegliere. E questo si vede anche nella libertà di bere gratuitamente un té o un caffè, di rilassarsi in un ambiente diverso sia per loro e che per i volontari, trovandosi così alla pari.
Disabituati alla dignità e al diritto di essere individui, schiacciati dalle scelte altrui, spostati da un campo all’altro senza prospettiva, costretti a mangiare cibo dall’aspetto disgustoso, stressati dall’isolamento, dall’abbandono e dall’emergenza continua – sensazioni che alcuni possono aver provato in questi anni di pandemia –, i residenti del campo – che sono donne, uomini, teenagers, bambine e bambini, ognuno con storie di dolore, un grande viaggio alle spalle ed il futuro in balia della politica – trovano una piccola dimensione di vera accoglienza. E così nascono amicizie, si stringono rapporti, si cresce e si va avanti, insieme senza distinzioni. Molto spesso è dura. Ho visto spesso piangere i miei amici per motivi legati a questo lavoro. Io non sono stato da meno. Ogni giorno qualcosa dev’essere aggiustato e migliorato, ogni giorno un nuovo problema sorge. Ed ogni giorno ci sono persone che provano a risolverlo.
La sera, sul terrazzo a Makari, mentre noi ci beviamo una birra – mentre loro si ammassano in scatole di compensato – ognuno con la propria stanchezza, vedo nei nostri occhi la stessa domanda: “Avrò fatto abbastanza?”.
Per informarvi sulla missione di Corinto e le altre attività visitate i social o i siti delle ONG. Link:
www.vasilikamoon.org // www.onebridgetoidomeni.com // aletheiarcs.org