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Un caso di cronaca nella Francia del 1870: il dramma di Hautefaye

© Échappée Belle Edition

Federico Battaglia

Il 16 agosto 1870, ad Hautefaye, nella Dordogna francese, un giovane aristocratico venne torturato per due ore e ucciso davanti a una folla di quattrocento persone. Gli assassini, per lo più coltivatori e artigiani, giustificarono il brutale omicidio accusando la vittima di aver manifestato il proprio dissenso nei confronti dell’imperatore Napoleone III. “Aveva gridato viva la Repubblica, non abbiamo fatto altro che ammazzare un traditore” fu una delle tanti frasi utilizzate dai carnefici in sede di processo. Ma cosa accadde veramente ad Hautefaye? Cosa spinse i suoi abitanti a commettere uno dei crimini più efferati della storia francese? Di seguito, si cercherà di trovare una risposta e di comprendere meglio il motivo che portò all’ultimo dei massacri nati dal furore contadino.

Che nelle campagne francesi si vivesse un clima di ostilità verso la nobiltà era cosa risaputa. Nell’estate del 1870 il ricordo di Waterloo e dell’ultimo periodo napoleonico non si era ancora assopito. In quel momento difficile, i nobili francesi erano ritornati nelle loro tenute, accompagnati dai soldati prussiani e russi, per riprendere possesso dei territori perduti con la Rivoluzione del 1789. Le dicerie che si svilupparono subito dopo peggiorarono ulteriormente i già non idilliaci rapporti tra la campagna e i proprietari terrieri, considerati come degli informatori al soldo delle forze straniere.

Battaglia di Waterloo

Ma gli aristocratici non erano i soli ad essere oggetto dell’odio contadino. Oltre al clero, protagonista in negativo degli eventi rivoluzionari di fine Settecento, la comunità rurale aveva un altro grande antagonista: il sostenitore repubblicano. L’avversione verso questa figura nacque con la Seconda Repubblica francese, consolidatasi tra il 1848 e il 1852. Le ragioni, limitate all’aspetto fiscale, si radicarono rapidamente nelle coscienze dei contadini, andando a toccare anche il Sud-Ovest della Francia.

Colpiti dalle tasse e infastiditi dalle cospicue indennità parlamentari percepite dai deputati, iniziarono a sperare in un ritorno della monarchia, o meglio, di un sovrano capace e risoluto come lo era stato Napoleone ad inizio Ottocento. La loro speranza venne prontamente ricambiata. In seguito al colpo di stato del 2 dicembre 1851, Luigi Napoleone Bonaparte, allora presidente della Repubblica, sciolse il Parlamento e organizzò un plebiscito, attraverso il quale riuscì a far approvare il prolungamento a dieci anni del mandato presidenziale. Esattamente un anno dopo, concluse formalmente l’esperienza repubblicana proclamandosi imperatore, come lo era stato suo zio.

Con il Secondo Impero francese, le condizioni nei campi migliorarono notevolmente: vennero fatte costruire numerose strade, si incoraggiò la gestione dei mercati, fu implementata l’istruzione scolastica. Tutto questo spinse i contadini ad avvicinarsi sempre di più alla persona di Napoleone III che divenne, a tutti gli effetti, l’unica guida in cui credere. La fiducia nelle sue doti amministrative e militari venne confermata anche con lo scoppio della guerra contro la Prussia nel luglio del 1870.

Napoleone III

Il conflitto venne accolto positivamente non solo dalle campagne ma anche dall’opinione pubblica e dai principali centri urbani. Persino i partiti all’opposizione, esclusa l’estrema sinistra, si riconciliarono con il regime napoleonico facendo sì che l’intero paese si presentasse alla prova delle armi solido e unito. I più ottimisti si dovettero, però, ricredere subito.

Già agli inizi di agosto, l’esercito francese andò incontro a due rovinose sconfitte, rispettivamente a Spicheren e a Wörth. Napoleone III, d’accordo con il suo esecutivo, decise di applicare una rigida censura, bloccando ogni comunicazione proveniente dal fronte. La penuria di notizie creò un generale stato di inquietudine nel paese, in particolar modo tra i contadini. Incominciarono, così, a circolare indiscrezioni su delle presunte spie che si aggiravano per la Francia e che avevano contatti con i membri dell’aristocrazia.

La preoccupazione per l’imperatore, che si era recato di persona a guidare le proprie truppe, e le poche novità che giungevano dal teatro dei combattimenti spinsero la comunità rurale ad intervenire, specialmente quella dordognese. Certi che i prussiani si sarebbero ripresentati come nel 1815, parecchi contadini furono pervasi da un forte desiderio di coinvolgimento personale. Di lì a poco, alcuni di essi sarebbero passati all’azione.

Il 16 agosto 1870, nel piccolo villaggio di Hautefaye, era in corso una delle quattro fiere annuali. Si erano ritrovati coltivatori provenienti da tutta la regione, in cerca di nuovo bestiame da comprare o da barattare. I festeggiamenti per la giornata precedente non erano ancora terminati con brindisi, banchetti e gridi d’incitamento diretti a Napoleone III. Tuttavia, a monitorare la situazione non c’era nessun gendarme. A causa della posizione del paese, posto nel bel mezzo della linea di demarcazione che separava due dipartimenti, quello della Dordogna e quello della Charente, si creò un inusuale vuoto di potere che avrebbe poi favorito lo svolgersi del massacro.

Alle ore quattordici del pomeriggio, tra i curiosi che si recarono ad Hautefaye per assistere alla fiera, si presentò anche Alain de Monèys. Di origini aristocratiche, de Monèys era amministratore del dominio familiare e godeva di ottima reputazione tra i residenti locali. Eppure, arrivato ad Hautefaye, iniziò ad essere preso di mira da alcuni contadini che iniziarono a spargere la voce di un suo possibile contatto con il nemico prussiano. Complice l’assenza dell’autorità centrale e gli eccessi dovuti alla festa, si scatenò una caccia all’uomo che coinvolse decine e decine di  uomini.

Alain de Monèys

Al grido: “ È un prussiano, ha gridato viva la Repubblica”, l’incolpevole de Monèys venne preso di mira dai suoi futuri carnefici, venendo prima malmenato e poi calpestato. Anche se al pestaggio non prese parte la totalità della folla, la vittima fu comunque ridotta in fin di vita. Ci fu chi tentò di salvare de Monèys dalla collera dei contadini ma non si ebbero risultati. Neppure il sindaco intervenne, rifiutandosi di ospitare il giovane ragazzo presso il municipio.

Mentre la “spia prussiana” era ancora a terra agonizzante, i contadini iniziarono a confrontarsi su quale pena dovesse essere inferta al traditore: alla fine, si optò per la morte sul rogo. Non appena vennero bruciati i fasci di legname posti sotto al povero de Monèys, i partecipanti si abbandonarono a delle manifestazioni gioiose, quasi dionisiache, esultando per il successo ottenuto. Il massacro si concluse nel giro di qualche minuto, con il corpo carbonizzato del giovane aristocratico che venne messo in mostra di fronte a tutti. “Abbiamo arrostito un prussiano” avrebbero detto in molti, ignari di come si sarebbe mossa la giustizia francese.

Il 18 agosto si presentarono i primi inquirenti sul luogo del delitto. Non credettero alle loro orecchie quando incominciarono ad interrogare i responsabili di quel tragico gesto. In molti, infatti, confessarono di aver agito per appoggiare il governo, per sventare una minaccia interna, che avrebbe messo in crisi la nazione intera e preso alle spalle i soldati impegnati a combattere.    

Malgrado il prolungarsi del processo e il cambio ai vertici governativi, le sentenze furono comunque emesse. L’amministrazione repubblicana, che aveva preso il posto di quella imperiale, crollata dopo la sconfitta di Sedan, condannò a morte quattro uomini, tutti coltivatori, e destituì il sindaco di Hautefaye per grave inadempimento istituzionale. Gli imputati accolsero la notizia con stupore e incredulità, non considerandosi in nessun modo colpevoli. Il patibolo venne trasportato nello stesso luogo in cui era stato ucciso de Monèys e le esecuzioni vennero effettuate nel febbraio del 1871.

La morte dei “barbari bonapartisti trucidatori” venne strumentalizzata da parte della Terza Repubblica che inviò ad assistere alle impiccagioni duecento soldati. Tuttavia, la repressione del governo centrale non cancellò l’ondata di indignazione che si sviluppò nelle campagne del meridione francese. I carnefici di Hautefaye vennero subito elevati a martiri da parte della comunità locale, con il chiaro intento di contrapporsi al nuovo sistema politico, sorto dopo la caduta di Napoleone III.

E fu proprio in nome del sovrano francese che si consumò uno dei gesti più efferati dell’Ottocento europeo. L’uccisione di Alain de Monèys si rivelò essere tanto un omicidio politico quanto un terribile atto di barbarie. La morte sul rogo decisa dai contadini, il supplizio inferto alla vittima, risposero a determinate “esigenze” che si erano create con lo scoppio del conflitto contro la Prussia. Tra queste, la più decisiva fu quella relativa all’oscuro andamento del conflitto e all’angoscia che si creò attorno alla mancanza di notizie. Il meccanismo messosi in moto successivamente portò ai fatti del 16 agosto 1870 e alla morte del povero de Monèys.

Per dimostrare il loro attaccamento al sovrano e per evitare che il nemico invadesse il paese come nel 1815, la folla contadina si scagliò contro un innocente, colpevole di esser stato di retaggio nobiliare e di essere capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. La sua fine rappresentò il punto più alto di una rivoluzione identitaria o, perlomeno, di un abbozzo di rivoluzione identitaria, iniziata tra la preoccupazione e il fanatismo. La sommossa, superflua e di breve durata, si concluse vergognosamente con la morte di un ragazzo, non lasciando altro che crudeltà e sgomento nei ricordi dei francesi.