Roberta Giannì
Il Treno della Memoria è un progetto che nasce nel 2004: si basa sui semplici principi di cooperazione, rispetto, solidarietà e amicizia. Partire a bordo di questo treno vuol dire compiere un vero viaggio “zaino in spalla”, come racconta chi ci è stato. È un viaggio di scoperta ma soprattutto di riscoperta, perché non solo si riscoprono i luoghi storici e i truci eventi della Shoah ma si ha anche l’opportunità di guardarsi dentro e ritrovare il proprio Io, la propria sensibilità e di conoscere la persona che si è veramente. Si tratta per questo di un puro viaggio emotivo, in cui si è messi duramente alla prova, in cui la realtà che viene presentata può lasciare deboli e sopraffatti ma può anche fortificare e rendere molti di noi persone migliori e più attente ai bisogni del mondo.
Clinamen, in occasione dell’uscita del numero dedicato all’Alterità in coincidenza con l’anniversario della Shoah, propone di seguito un’intervista, o meglio, una conversazione a cuore aperto, tra i membri di uno dei tanti gruppi che l’anno scorso, per la XV edizione del Treno della Memoria, hanno avuto l’onore di partecipare all’incredibile viaggio. Il gruppo si compone di sole donne, tra i 17 ed i 25 anni: Lucia Arnò, Marta Schito, Aurora Bruno, Martina Resta, Maria Cuna, Marta Santacroce e la sottoscritta, accompagnate dall’assessore Paola Cornacchia del Comune di Taviano, in provincia di Lecce, paese d’origine di ognuna. Insieme siamo state compagne di viaggio per 9 giorni, zaini in spalla per Berlino e Cracovia, in visita a musei e campi di concentramento, spettatrici a teatro e di rappresentazioni nelle fredde strade delle città.
Non intendiamo raccontarvi la Storia, quella la conosciamo tutti. Intendiamo proporvi la nostra percezione dell’”Altro” di quei giorni, non solo inteso come qualcuno di vicino o lontano a noi ma anche come qualcuno all’interno di noi, un altro che non sapevamo di avere, un altro del tutto nuovo ed inesplorato. Intendiamo rendere partecipi delle singolari emozioni provate, aprirci e mostrarci da dentro, raccontare la paura, l’odio ma anche il senso di amicizia e solidarietà che abbiamo toccato con mano e che ci hanno rese, in un modo quasi sconosciuto, delle persone migliori di quello che eravamo prima di partire.
Ricordate la partenza? Non sapevamo che aspettarci…
Marta Schito: Non vedevamo l’ora di arrivare… o forse di metterci alla prova. È vero, non sapevamo cosa aspettarci. Ascoltando le testimonianze di altri che prima di noi hanno viaggiato col progetto del Treno della Memoria, erano molte le domande che c’eravamo fatte. C’era chi, di fronte alle mostruosità raccontate, aveva pianto; altri erano rimasti lì, semplicemente ad osservare. Personalmente non sapevo che tipo di reazioni avrei provato.
Martina: Ricordo che prima del viaggio non avevo assolutamente aspettative. Ero curiosa però, volevo CONOSCERE. C’è una frase di Primo Levi che recita: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre”. Il Treno della Memoria infatti è stata pura conoscenza, conoscenza dei luoghi, delle storie e delle vicende, volti nuovi e braccia amiche.
Lucia: Personalmente, volevo capire fin dove mi sarei spinta. Mi sono sempre considerata una persona forte, tuttavia avevo voglia di mettere alla prova i miei stessi sentimenti, le mie stesse emozioni e reazioni, metterle davanti a tutto quello che ho visto e vedere cosa ne sarebbe scaturito. Perciò, al momento della partenza, era incerta anche io; non avevo l’idea di stare partendo con la mia famiglia o con i miei amici, avevo l’idea di stare per intraprendere un viaggio con persone che non avevo mai conosciuto. Mi ricordo del nostro arrivo a Bitonto. Lì era stato organizzato un incontro pre-partenza e poi ci sarebbe stata la partenza effettiva di ogni gruppo. C’erano milioni di ragazzi, tutti impazienti di partire. E poco alla volta, i bus si sono riempiti e siamo finalmente partiti.
Dopo un giorno di viaggio, siamo giunte a Berlino.
Lucia: La fredda Berlino, prima tappa del viaggio! Ci siamo giunti dopo 24h di viaggio, 24h difficili da sopportare in bus ma per fortuna già si creavano le prime amicizie, ci sentivamo spinti a conoscerci, a parlare di noi, del perché eravamo lì. Berlino era grande, fredda e ancora sconosciuta. Presto ci siamo date all’esplorazione, abbiamo percorso le fredde strade della città, visto i monumenti principali, mangiato tipico; il giorno dopo ci attendeva la prima visita prevista dal Treno, la Topografia del Terrore, così chiamata. Sede del terrore nazionalsocialista, attualmente conserva la documentazione sul luogo e ne ripercorre la storia, con le istituzioni ed i crimini che furono perpetrati. Insomma, il Treno iniziava il proprio viaggio raccontandoci chi era per lo Stato “l’Altro”. Ci venne raccontato degli omosessuali. Loro erano tra i nemici dello Stato, il minimo atteggiamento intimo era giudicato prova per l’incarcerazione. Lo stesso per gli zingari e coloro che non lavoravano, e dunque giudicati inutili per la crescita dello Stato. Ricordo che una contraddizione mi colpì in particolar modo: la gente che non lavorava era nemica dello Stato. Tuttavia esso non si preoccupava di dare opportunità di lavoro. Si veniva giudicati per un crimine non voluto, che non dipendeva dall’accusato. Mi venne da pensare che tutto questo era inconcepibile, non riuscivo a capacitarmene. Già qui era chiara la pazzia delle menti umane che avrebbero portato alla morte milioni di persone.
Esistono altri dettagli a voi sconosciuti che vi hanno particolarmente colpito com’è successo a Lucia nella Topografia del Terrore?
Martina: Me ne ricordo uno in particolare. Nei pressi di Berlino vi era uno dei numerosi campi di concentramento, quello di Sachsenhausen. Ci recammo in visita il giorno dopo essere arrivate, faceva abbastanza freddo con tutta quella neve. Ricordo che l’entrata del campo era sovrastata da due enormi torri di controllo, la Torre A e la Torre B. La prima mostrava sul fronte un orologio, con le lancette immobili, in perfetta sintonia con quello che era il paesaggio intorno a noi: bianco e silenzioso. Le lancette, ricordo, segnavano le ore 11.00. Apprendemmo che l’orario non era casuale: erano le ore 11.00 quando avvenne la liberazione dei prigionieri di quel campo di concentramento. Quell’orologio, dopo tutti questi anni, simboleggia ancora la fine dell’incubo e dell’orrore.
Cosa pensate ci abbia spinte a percorrere tutti quei chilometri per vedere solo delle lapidi, delle macerie, foto e oggetti che non appartengono più a nessuno?
Marta Schito: Negli incontri di preparazione al viaggio, organizzati da alcuni dei tanti educatori che si occupano del progetto del Treno della Memoria, ci chiesero di parlare delle nostre aspettative riguardo il tipo di esperienza. Per quanto mi riguarda, scrissi di voler prendere l’esperienza come un’occasione per conoscere quegli aspetti di me stessa che probabilmente non erano mai stati stimolati con alcune tipologie particolari di emozioni, che fu quello che effettivamente accadde in me.
Aurora: Il problema secondo me è questo: la gente pensa che tutto ciò che è accaduto in quegli anni terribili appartenga, per l’appunto, al passato, un passato nato e morto lì, tra quelle macerie, un passato fatto di persone e cose che non appartengono più alla sfera del presente. Dunque, credo che ciò che davvero ci abbia spinte a percorrere tutti quei chilometri, non sia stata altro che semplice voglia di toccare il passato con mano, curiosità mista a rabbia inconscia alimentata dalle numerose notizie storiche apprese dai libri e dal cinema. Tutto ciò ricorda la disumanità che ha animato tutto. Inoltre, durante le varie tappe, molte di quelle notizie che credevo vere al 100% si sono rivelate distorte…diciamo che il viaggio è stato anche un’occasione di scoprire dell’altro oltre quello che già si conosceva.
Marta, ricordi cosa abbiamo provato quando abbiamo lasciato il campo di concentramento di Birkenau, quella strana sensazione di avere un qualche rapporto con le lapidi nella neve…
Marta Schito: Entrando a Birkenau ricordo di aver provato un’emozione talmente forte da ritrovarmi, mentre mi osservavo intorno, a sorridere. Ricordo di essermi rimproverata, come potevo sorridere in quel luogo in cui la morte si poteva addirittura respirare? Poi ho capito che in realtà stavo provando amore, amore puro. Mi sentivo protetta, ero a mio agio con me stessa e col resto del mondo; avrei potuto essere l’unica presenza sul pianeta, sarei stata bene lo stesso. Quella che ti pervade è una pace interiore. Continuavo a guardarmi intorno e pensavo che non volevo lasciare niente di quel posto. L’unico momento in cui ricordo le lacrime salirmi agli occhi fu nel momento in cui varcai i cancelli dell’uscita: ricordo di essermi voltata indietro più volte, non volevo smettere di soffermarmi sull’immensità di quel posto, sugli alberi coperti di neve bianca, le rovine. Credo di essere riuscita ad afferrare il senso di tutto quello che avevo negli occhi in quel momento: ero in un enorme cimitero, silenzioso sotto la neve che ne copriva ogni angolo, e sentivo la mancanza della gente che molto tempo prima aveva visto quegli stessi angoli, quella stessa neve e che in quel momento dormiva finalmente in pace sotto le lapidi nere che spuntavano dal terreno candido davanti a me, sentivo la rassegnazione che avevano provato. Provavo un amore che uccideva l’odio che aveva maledetto per sempre quei luoghi. Non sono una ragazza dalle promesse facili; tuttavia, ho promesso a me stessa di ritornare e rivivere quell’amore.
Lucia: Il fatto di non aver provato orrore, o risentimento, o tristezza nell’immediato è valso anche per me. Dire una cosa del genere sembra quasi disumano, sembra provenire da una persona con un cuore di pietra. Ma sono consapevole che non è così. La realtà è che le emozioni che si provano sono del tutto nuove, non sempre si riesce a capire perché si sta provando questo o quel sentimento o perché a volte siano discordanti rispetto al contesto in cui li si sta provando. Difatti mi sono sentita incompleta una volta tornata a casa. Sento il costante desiderio di ritornare, e di rivedere tutto con un’ottica ancora diversa.
Pensate di avere avuto, rispetto a prima, una concezione diversa nei confronti dell’Altro?
Martina: L’esperienza vissuta in questo viaggio è qualcosa di indimenticabile, lascia un segno indelebile. Non penso riuscirò mai a dimenticare cosa ho provato in quei giorni.. Sono partita insieme a dei perfetti sconosciuti che in breve tempo sono diventati come fratelli e sorelle, ognuno di noi è stato la spalla su cui piangere per l’altro. Una specie di nuova grande famiglia, unita dalle sofferenze del passato che continuamente, come fantasmi, si muovevano tra noi.
Cosa direste a coloro che non hanno ancora avuto l’idea di partecipare ad un’edizione del Treno della Memoria?
Marta Schito: Provare per credere, le parole non sono abbastanza per capire per davvero cosa si prova.
Aurora: Dopo il viaggio si torna con una voglia di urlare al mondo tutto quello che non è stato permesso di dire a tutte quelle persone che vedevano come unica libertà la fine della loro vita. Un’esperienza del genere ti forma, ti fa crescere, ti permette di vedere oltre e ti lega ad un passato tanto lontano quanto vicino.
Lucia: Continuo a pensare di voler ritornare in quei luoghi; perciò non posso fare a meno di esortare chi ancora non l’ha fatto. A tutti coloro che ci stanno pensando due volte dico, non pensate! Preparate il vostro zaino e partite! È quello che presto rifarò io stessa, forse unendomi addirittura al gruppo di educatori che sono stati la nostra guida per tutto il tempo, in modo da avere come loro occasione di accompagnare i nuovi venuti.
Martina: Una volta nella vita bisognerebbe partire a bordo del Treno della Memoria; non importa quando, non importa a che età. Ammetto che decidere di partire è stato difficile. Tuttavia, scendere dall’ultimo gradino del bus con la consapevolezza che tutto era terminato è stato più difficile. Ogni attimo è indimenticabile! Alla domanda “Cos’è stato per te il Treno della Memoria”, rispondo sempre: “Con il Treno della Memoria sono diventata una vera Donna, con uno spirito forte ed un cuore tenero!”.