Lorenzo Plini
Quel pomeriggio entrai in libreria senza avere un’idea su quale romanzo scegliere. Mi capitava spesso ed ero convinto che quand’era così erano i libri a scegliere me, e non il contrario. Fra i tanti notai Mattatoio n.5, aveva una copertina bella e dando una rapida e disattenta occhiata alla quarta di copertina lessi che parlava del bombardamento di Dresda durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma nulla in quel momento mi fece pensare alla sorpresa che avrei provato leggendo quel romanzo.
Kurt Vonnegut non racconta solamente di una di quelle pagine di storia meno conosciute, cioè il bombardamento di Dresda – la Firenze del Nord che venne rasa al suolo – da parte degli americani, come vendetta delle devastazioni prodotte dai bombardamenti tedeschi su Londra e soprattutto su Coventry. Billy Pilgrim – alter ego dell’autore – vive la furia e la drammaticità del bombardamento in prima persona, perché prigioniero dei nazisti assieme a molti altri soldati statunitensi, trovando la salvezza rifugiandosi in una grotta scavata all’interno del mattatoio n.5 (Schlachthof-Fünf). Ma questo non è solamente un romanzo storico, è allo stesso tempo anche un romanzo di fantascienza. È un perfetto cocktail letterario quello ideato da Vonnegut, fra due generi letterari apparentemente inconciliabili ma che lui riesce ad incastrare alla perfezione. Il protagonista a guerra finita torna a casa, si sposa e si crea una famiglia e ha una professione che gli permette di vivere serenamente, ma un giorno viene rapito nel giardino di casa sua da un disco volante. A rapirlo sono i tralfamadoriani, i quali per arrivare sul loro pianeta sfruttano delle distorsioni spazio-temporali: proprio queste permettono a Billy Pilgrim di viaggiare nel tempo, trovandosi un momento dentro il mattatoio a Dresda durante il bombardamento, il momento successivo a casa sua con sua moglie, il momento ancora dopo nella foresta innevata in Germania con altri tre soldati poco prima di essere catturati e fatti prigionieri dai nazisti.
Vonnegut pubblicò il suo libro nel 1969, in un’America nel pieno della corsa alla spazio che stava per vincere. Quindi in un periodo in cui la tematica legata alla fantascienza era in voga, e dove si era già formato un immaginario collettivo sugli alieni, legato soprattutto al cosiddetto incidente di Roswell di 22 anni prima. È qui che emerge la tematica dell’alterità, della diversità fra due entità. Difatti la parola alterità deriva dal latino alter, cioè diverso o altro sempre nell’accezione della diversità; e alieno dal latino alienus, cioè altrui o estraneo. Quindi gli alieni che vengono da un pianeta lontano finiscono per rappresentare l’entità per eccellenza diversa da noi, una diversità che si esprime sia esteriormente che a livello intellettivo e comportamentale. I tralfamadoriani vengono descritti dall’autore come creature simili a sturalavandini da gabinetto, di cui la parte a ventosa poggiata a terra con in cima una mano e con un occhio al centro. Questi alieni sono alti all’incirca sui 60 centimetri, sono di un colore verdognolo e non possiedono corde vocali, comunicano fra loro telepaticamente e con il protagonista attraverso un sofisticato computer che traduce i loro pensieri in parole comprensibili per Billy Pilgrim. Costui scopre ben presto che queste creature hanno una concezione diversa del tempo, vedono passato presente e futuro nello stesso momento. Non solo, sono creature eteree e hanno un livello tecnologico di gran lunga superiore rispetto alla Terra degli anni ’60. Ma Vonnegut conferisce a questi alieni anche delle caratteristiche e dei comportamenti che potremmo definire umani. I tralfamadoriani rapiscono il protagonista non per fare degli esperimenti su di lui – leitmotiv dei rapimenti alieni – bensì per esporlo nudo in uno zoo su Tralfamadore, pianeta la cui atmosfera è fatta di cianuro tossico. Li è tenuto in una cupola fatta di vetro, con dell’aria respirabile e dell’arredamento terrestre che gli alieni hanno rubato sulla Terra. Queste creature non lasciano solo Billy Pilgrim, ben presto rapiscono anche Montana Wildhack, ex diva del cinema, perché interessati al metodo di riproduzione fra gli esseri umani. Il protagonista viene poi a conoscenza del fatto che gli alieni sanno già come finirà l’universo: proprio a causa di un loro esperimento con un nuovo combustibile per i dischi volanti. Difficile credere che una razza così avanzata, in grado di viaggiare nello spazio profondo possa far finire l’intero universo in una maniera così grottesca.
Queste caratteristiche che richiamano a dei modi di fare, a dei comportamenti simili a quelli che ci identificano come esseri umani e applicati a una specie aliena, potrebbero essere stati inseriti in maniera consapevole o meno da parte dell’autore. In ogni caso, la mia convinzione è che è molto complesso descrivere o semplicemente immaginare l’alterità di una specie che sia diversa dalla nostra in tutto e per tutto. È una difficoltà contro cui si sono misurati tutti gli scrittori del genere della fantascienza: creare, cioè, degli esseri completamente diversi da noi non solo a livello esteriore – la parte più facile probabilmente – ma soprattutto a livello intellettivo e comportamentale. Siamo talmente immersi nel nostro mondo, nei vari schemi che apprendiamo da quando nasciamo, che è difficile se non impossibile distaccarsi da essi per crearne dei nuovi e di diversi. E Vonnegut probabilmente lo sa: anche i tralfamadoriani scrivono dei romanzi, fatti di simboli che descrivono delle scene, che loro leggono tutti allo stesso momento, senza né colpi di scena né suspence; ma soprattutto in passato anche i tralfamadoriani hanno fatto delle guerre terribili, più di qualsiasi guerra fatta dall’uomo.
Qui puoi ordinare il libro “Mattatoio n.5” edito da Feltrinelli