Alfonso Martino
Il 2019 sarà ricordato come un’ottima annata cinematografica, che ha portato alla luce pellicole come Parasite, Jojo Rabbit e C’era una volta a Hollywood. In questo gruppo rientra senza alcun dubbio The Lighthouse di Robert Eggers, qui al suo secondo film dopo il successo di The Witch. Le due pellicole hanno dei punti in comune: utilizzano un inglese arcaico e sono prodotte dalla casa di produzione A24, presente sul mercato da pochi anni ma che ha all’attivo la produzione di film molto coraggiosi come Midsommar, Moonlight e Diamanti Grezzi.
Il film
The Lighthouse vede protagonisti alla fine del 1800 un anziano guardiano di un faro (Willem Dafoe), e il suo giovane assistente (Robert Pattinson). Grazie ad una regia in 4:3 e a una colonna sonora ansiogena, lo spettatore entra subito nel mondo creato da Eggers, formato da questo isolotto in balia dell’oceano e dominato dal faro. La sceneggiatura, scritta dal regista americano insieme al fratello, prende spunto da un racconto incompiuto di Edgar Allan Poe, di cui si avvertono le influenze per quel che riguarda l’ambientazione. Il formato regala alla pellicola un senso di claustrofobia e di straniamento, come se ci si trovasse davanti alla visione di un sogno lucido. La sensazione viene resa grazie anche al montaggio sonoro, in cui i rumori del vento e dei gabbiani rendono l’isola una protagonista aggiunta.
I due personaggi non si conoscono e la loro convivenza risulta subito difficile, sia per via degli stretti spazi che sono costretti a condividere, sia per il carattere autoritario del personaggio di Defoe, che va a contrasto con la pacatezza del giovane interpretato da Pattinson. I due si differenziano anche per il modo di parlare: il primo è caratterizzato da un linguaggio shakespeariano che, allo stesso tempo, ricorda personaggi letterari legati al mare come il capitano Achab, mentre il giovane utilizza un linguaggio più vicino all’epoca corrente. I due stringeranno così un rapporto di potere che vedrà il guardiano anziano gestire la parte superiore del faro, compresa la lanterna, mentre al giovane toccherà lavorare nella parte bassa della struttura, portandolo a prendersi cura della casetta e ad alimentare attraverso il carbone la luce del faro. La parte superiore, rappresentata dalle scale che culminano con la lanterna costantemente chiusa a chiave, verrà sempre negata al giovane, che inizierà a provare rimorso nei confronti del suo superiore. La frustrazione viene mostrata dal regista in alcune sequenze notturne, dove l’assistente si reca di nascosto nella parte superiore della struttura, ostacolato soltanto dalla messa in chiave della stanza che ospita la lanterna.
Ambientazioni e dinamiche psicologiche
Lo spazio al di fuori della piccola abitazione è caratterizzato da forte vento, pioggia e fango che, insieme alla monotonia delle giornate e all’isolamento, scavano a poco a poco nell’animo del giovane. Il suo lavoro è spesso ostacolato dai gabbiani, i quali secondo l’anziano guardiano rappresentano una reincarnazione dei marinai deceduti e che ucciderli porterebbe a conseguenze nefaste. In questo clima ostile, il giovane cercherà rifugio nell’alcool, proprio come il vecchio guardiano. L’alcool, rifiutato ad inizio pellicola dal giovane, avvicinerà i due protagonisti e li porterà a confidarsi sulle loro esperienze di vita, fino a rivelarsi i loro nomi: Winslow (Pattinson) e Thomas Wake (Defoe).
La confidenza porterà il rapporto tra i due protagonisti ad un nuovo livello, in cui Winslow cercherà di avere il controllo su Thomas, il quale riprenderà la leadership in una sequenza che ricorda Ingrid Bergman, in cui la macchina da presa resta fissa sul personaggio di Defoe per un paio di minuti, intento a sbraitare nei confronti del compagno e con gli occhi carichi di ira.
Simbologie e climax narrativo
Thomas rappresenta per Winslow l’ostacolo che gli impedisce di mostrare la sua mascolinità, dal momento che non può raggiungere la parte superiore del complesso. Quest’inferiorità viene rappresentata dal regista in una sequenza onirica notturna, dove Thomas viene rappresentato nudo e con uno sguardo da cui fuoriesce la luce accecante del faro che illumina Winslow, giacente per terra. La scena riprende il quadro del 1901 Hypnosis di Sascha Schneider. Le sequenze oniriche permettono al regista di mostrare i desideri repressi del giovane Winslow, dominate da una sirena, rappresentante i suoi desideri sessuali che si infrangono con la volontà costante di governare il faro nella sua interezza, simboleggiata dalla trasfigurazione della sirena, che prende i connotati di Thomas.
Il decadimento psicologico di Winslow coincide con il disordine all’interno dell’abitazione e la presenza sempre maggiore di acqua all’interno dello stabile, come a rappresentare la perdita della ragione nel giovane, che viene scavata dai gesti e dalle parole di Thomas, nella stessa maniera in cui l’acqua piovana scava il tetto dell’abitazione. Il vecchio inizia a chiamare Winslow con il suo nome e a instillargli dubbi sulla sua identità, continuando così a cercare di dimostrare la sua mascolinità nei confronti del giovane.
Il finale vede la rivalsa di Winslow, in una sequenza che rimanda a quella dello sfogo di Thomas, dove il giovane riesce a ribaltare il rapporto di forza dopo un confronto fisico e ad ottenere le chiavi della lanterna del faro. Queste ultime rappresentano il mondo nascosto dalla divinità (Thomas) al mortale desideroso di conoscenza (Winslow), dove la luce tanto agognata rappresenta la verità, il sapere universale che non può appartenere a nessun individuo. Il regista americano prende spunto dal mito greco di Prometeo, in particolare nell’inquadratura finale in cui l’ispirazione diventa palese, lasciando allo spettatore una pellicola ben girata e con un’ottima messinscena, ricca di simbolismi e riferimenti artistici e letterari.