di Nicolò Errico
È una sera di inizio settembre a Riga. I turisti hanno smesso di visitarla in massa, le strade della città vecchia sono silenziose di martedì sera e le notti si sono fatte più lunghe. Mi trovo in un pub del centro con un paio di colleghi. Sarebbe praticamente vuoto se non fosse per due gruppi distinti di soldati. Parlano inglese, ma solo dopo qualcuno mi dirà che gli uomini sulla quarantina, capelli a spazzola e baffi, al tavolo all’angolo erano soldati canadesi, mentre i ragazzi più rumorosi ed entusiasti erano statunitensi.
Qualcuno dice qualcosa di sbagliato, un uomo si lancia su un ragazzino, la rissa sta per scoppiare. Fortunatamente, viene riportata la calma ed il gruppo di americani lascia il locale. Un soldato, l’unico mansueto tra i suoi colleghi, mi regala il suo gin tonic appena servito e rimasto intoccato. Lo fa con un viso gentile, sbarbato. Non avrà più di ventitré anni.
Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022, capita spesso di vedere gli uomini del contingente NATO in Lettonia in giro per Riga. L’aeroporto principale ha iniziato a far atterrare enormi aerei per le truppe aviotrasportate. Prendendo i miei voli per il resto d’Europa, vedo atterrare ora i giganteschi C-17, ora i nuovissimi V-22. Uno dietro l’altro, seguono gli aerei civili nella loro discesa e vanno a posizionarsi negli hangar predisposti per loro.
Il dispiegamento tattico di truppe NATO in Lettonia, sotto guida canadese, è iniziato nel 2017, successivamente all’annessione illegale della Crimea per mano russa e all’aumento dei cyber-attacchi nel Baltico. Anche la nostra agenzia, un ente europeo in cui ho iniziato un tirocinio di nove mesi a gennaio, viene presa di mira. Respinti puntualmente, i tentativi hanno subìto un aumento vertiginoso dopo l’inizio della guerra in Ucraina, passando da una decina al mese a quindici la settimana.
A lavoro la preoccupazione per l’estensione del conflitto si traduce nel tritamento di numerosi documenti e nello sgombero del bunker, riempito da scatole impolverate fino ad allora. Nessuno aveva pensato che avrebbe potuto tornarci utile. Qualcuno chiede via email una mappa dei rifugi antiatomici, altri domandano se sia il caso di iscrivere i propri figli alle scuole per l’anno seguente. In molti scelgono di allontanarsi dal paese, approfittando della possibilità di lavorare da remoto per un tempo illimitato.
Neanche due giorni dopo l’invasione, riceviamo un PDF con le istruzioni del governo lettone per situazioni di crisi. Il capitolo più lungo riguarda il caso di occupazione straniera, ed in particolare un paragrafo intitolato “Eliminare la minaccia militare” coglie la mia attenzione.
Alcune frasi mi fanno sorridere. Leggo che è importante ricordarsi che in territori occupati ogni atto rivolto ad eliminare ed ostacolare il nemico è lecito, omicidio incluso. Trovo la mappa dei battaglioni dell’esercito lettone a cui rivolgersi per arruolarsi spontaneamente. “Ricorda: la Lettonia non si arrenderà mai. Ogni notizia di resa è falsa”, “I nostri alleati verranno ad aiutarci”, “Tutti i territori occupati saranno liberati”, “Difendi la democrazia. Unisciti all’esercito lettone”, “È consentito sabotare infrastrutture e mezzi nemici in aree occupate”, “L’uccisione di militari nemici è legale”.
Per i primi giorni, a notti alterne, sogno bombardamenti che fortunatamente non si avvereranno mai. La prima marcia di protesta di fronte l’ambasciata russa diventa una delle manifestazioni più grandi della storia lettone dalla caduta dell’URSS nel 1991. Io rientro a Riga qualche giorno dopo, di ritorno dall’estero, e trovo un presidio di persone con cartelli in mano sul marciapiede dall’altro lato della strada. Per centinaia di metri, candele e fotografie della distruzione e delle uccisioni per mano russa occupano la via.
In Lettonia, la guerra non è solo una questione di politica internazionale. I russofoni, discendenti dei coloni inviati dalla Russia sovietica per sradicare la cultura scandinavo-tedesca della Lettonia, sono circa il 26% della popolazione. Abituati a parlare sia lettone che russo, i lettoni sanno chiaramente distinguersi tra chi è di origine russa e chi non. E fino a poco tempo fa, ognuno sceglieva i canali televisivi da guardare tra la vasta offerta della Russia e i modesti contenuti della TV nazionale.
Un collega lettone mi dice che anche questo ha contribuito alla divisione di opinione tra russofoni e non sulla guerra in Ucraina. “Dopo la morte di nonna, abbiamo installato il pacchetto televisivo russo per mio nonno, un ucraino emigrato in Lettonia durante l’Unione Sovietica. Non lo vedevo da mesi per via del Covid. Mi è venuto da piangere quando l’ho rivisto e l’ho sentito dire cose come Hai saputo? Quei nazisti degli ucraini hanno attaccato la Russia. Ma ora ci penserà Putin a liberarci. Mio nonno! Un ucraino!”, mi racconta con le lacrime che iniziano a bagnargli gli occhi.
La fiera resistenza ucraina, forte del supporto occidentale – senza la quale sarebbe stata probabilmente travolta – ha azzoppato l’orso russo. Le bandiere ucraine sventolano ovunque per Riga, con l’eccezione della “Piccola Mosca”, il quartiere a maggioranza russofona. La via dell’ambasciata russa viene intitolata Ukrainas neatkaribas iela, Strada dell’indipendenza ucraina. A fine agosto viene fatto demolire con la dinamite il gigantesco monumento all’armata sovietica, dove ogni 9 maggio i lettoni russofoni si riunivano suscitando l’ira degli altri connazionali per i numerosi episodi di ubriachezza molesta e violenza.
Il mio tirocinio volge al termine. Sono con alcuni amici lettoni per la tradizionale raccolta delle patate nella campagna di una ragazza che lavora per il Ministero della Difesa. Mi parla di divertenti aneddoti sui colleghi. In TV riconosce il suo “capo”, il ministro, in uno spot elettorale per le elezioni del 1° ottobre. Mentre riempiamo sacchi di patate, curvi sul terreno, un rumore martellante in sottofondo copre il silenzio dell’altrimenti placida campagna lettone. “Artiglieria.”, mi dicono. C’è un poligono di tiro dell’esercito lettone ad un paio di chilometri di distanza.
A pranzo, l’Ucraina ed i rapporti con Russia e russofoni sono argomento centrale. Mi dicono che si pensa di bandire lo studio in lingua russa in istituti privati e college. La notizia viene ripresa dai notiziari russi, che manipolano l’informazione e la trasformano in altro. Riportano la bugia che in Lettonia sarà proibito l’uso della lingua russa da tutti i luoghi di lavoro. “L’altro giorno ho incontrato la signora delle pulizie”, racconta una collega, riferendosi all’anziana signora russofona a cui fa sempre piacere quando la ringraziamo in russo, “Le ho chiesto come stesse in russo e lei mi ha fatto segno di abbassare la voce. Non possiamo più parlare russo qui o ci arrestano. Ho cercato di rassicurarla, le ho detto che non era vero, ma niente. Ora abbiamo un telegiornale in russo che però non è russofilo, per cercare di informare i russi in Lettonia, ma anni e anni di bugie sono difficili da cancellare.”
Il risultato delle elezioni ha confermato la coalizione uscente guidata dal Primo Ministro Krišjānis Kariņš che abbraccia i partiti filo-occidentali di contro a quelli tradizionalmente filo-russi.
Ora sono rientrato in Italia. Nuova città, nuovo lavoro. La Lettonia è tornata ad essere la periferia dell’Unione Europea, un luogo che per molti non significa nulla. Sono lontano dalla minaccia russa, che però si avvicina ogni giorno anche a noi con lo spettro dell’arma nucleare sventolata da Putin e la prospettiva di mesi difficili a venire. La notte in cui ho lasciato il paese definitivamente era fredda. A metà settembre la minima era già la minima di 2°. Mi chiedo come supereranno l’inverno, ricordando il mio arrivo a gennaio quando il vento sferzava l’aria a -15°. Conoscendo il popolo lettone, so che ce la faranno. Lo faremo anche noi, probabilmente nel nostro solito modo scoordinato ed emergenziale. Ma a quale prezzo, questo non riesco ad immaginarlo invece.