Enrico Molle
Se questo è un uomo. Così Primo Levi decise di intitolare la sua opera memorialistica che racconta quanto vissuto nel campo di concentramento di Auschwitz. L’autore sentì l’esigenza di annotare la sua esperienza non con l’intento di muovere ulteriori accuse ai fautori di una delle pagine più crudeli della storia dell’uomo, ma di testimoniarne la tragicità. Di fatto quest’opera, come altre che indagano e analizzano periodi o avvenimenti drammatici, fungono spesso da monito: occorre ricordare di quali atrocità è in grado di macchiarsi l’uomo per evitare di ripeterle.
Oggi, nel pieno di un momento difficilissimo a causa della pandemia da Covid-19, l’uomo dà l’idea di aver perso la memoria e il rispetto di se stesso, poiché dinanzi ai fatti di cronaca che ci giungono dall’Italia e dal mondo, viene da chiedersi se questo sia realmente l’uomo.
Sembra venire sempre meno il rispetto per gli altri, con un conseguente egoismo dilagante che culmina nella convinzione che ognuno di noi sia un’isola, lontano e distaccato dagli altri e dai loro problemi. Tra le molteplici problematiche di una società che scricchiola, con continue difficoltà legate alla sopravvivenza in un sistema economico e lavorativo che mastica numeri stritolando le persone come fossero involucri vuoti, la perdita di valori dilaga e gli aspetti peggiori dell’essere umano sembrano uscire allo scoperto: è come se il vaso di Pandora fosse stato ormai aperto ed è solo questione di tempo prima che il prossimo male si manifesti.
Volendo fare una disamina esemplificativa sul mancato rispetto verso l’altro e sull’egoismo, basti pensare alla massa di spocchiosi, e ce ne sono di tutte le età, che dinanzi a più di un milione di morti in tutto il mondo e a un numero ancora più alto di persone che hanno perso il lavoro e molto altro a causa del virus, orgogliosamente non indossano le mascherine nelle occasioni in cui è necessario e obbligatorio. La tranquillità e l’arroganza di questi individui è una colpa e a pagarne le spese sarà la collettività, ciononostante ognuno continua a pensare di essere un’isola. Un pizzico di buon senso potrebbe avere effetti altamente benefici ed efficaci in una situazione del genere, tuttavia molta gente sembra aver già rimosso quanto sia accaduto pochi mesi fa ed è ancora in corso. È lecito chiedersi dunque come si possa ricorrere alla memoria storica quando persino l’evidenza del presente appare sfocata o invisibile a un numero così alto di persone.
D’altronde le marce e le manifestazioni, i diritti ottenuti, la morte per assassinio di uomini come Martin Luther King o Malcom X, l’intera storia degli afroamericani è stata letteralmente calpestata pochi mesi fa, quando il 25 maggio, a Minneapolis, George Floyd veniva soffocato da un poliziotto durante il suo arresto. Vien da chiedersi se il poliziotto sia un uomo.
L’episodio, terribile e doloroso, è l’ennesimo di un odio razziale che negli USA pare non essere mai venuto meno ed è, suo malgrado, una sorta di cartina tornasole di una regressione di valori che sembra dilagare anche oltreoceano. Del resto oggi assistiamo al culmine dell’avversione nei confronti di ciò che appare “diverso”, sia in riferimento all’etnia che all’orientamento religioso, politico o sessuale, e purtroppo appare evidente che le risposte messe in campo non sembrano per niente far intravedere una soluzione. Ne rappresenta un esempio l’esagerazione di quel Politically Correct tanto chiacchierato che sembra più un palliativo, destinato nel tempo ad acuire una situazione di per sé già spinosa, ma che spesso non propone un’attenta riflessione a un disagio estremamente profondo e complesso.
Volendo posare lo sguardo su eventi a noi più vicini, un episodio che ci testimonia l’esacerbazione di un egoismo che trascende di gran lunga la sfera dell’amor proprio, è l’omicidio di Marco Vannini, morto per un colpo d’arma da fuoco (a detta dei colpevoli partito accidentalmente) mentre era a casa della fidanzata in circostanze ancora poco chiare. La vicenda, che ha destato tanto clamore nell’opinione pubblica anche grazie a un folto gruppo di giornalisti che hanno deciso di indagare sull’accaduto, è sconvolgente perché indipendentemente da chi sia stato a far partire il colpo e da quale siano state le futili motivazioni alla base di un tale atto, ci ha chiaramente mostrato di cosa sia in grado di fare l’uomo pur di non vedere lesa la propria immagine. Di fatto il giovane Marco è morto per la mancata tempestività dei soccorsi causata da un’agghiacciante reticenza della famiglia della sua ragazza (composta, oltre che da lei, dal fratello, dal padre e dalla madre), ovvero la famiglia Ciontoli, nel segnalare l’accaduto per paura delle conseguenze. Dinanzi a un ragazzo agonizzante e morente, quattro persone apparentemente incensurabili hanno preferito cercare incessantemente un modo per farla franca prima di prestare soccorso.
Oggi, a distanza di cinque anni, la giustizia che in un primo momento sembrava assecondare in parte le contorte confessioni dei responsabili della morte di Marco, sembra aver appurato la loro colpevolezza. Certo, ci saranno ancora appelli e altri processi, ma una cosa è chiara a tutti: Marco è stato ucciso da tutti e quattro i componenti della famiglia Ciontoli, perché nessuno di loro ha voluto anteporre la vita del ragazzo alla propria menzogna.
Vien da chiedersi se lasciare morire un giovane amato da tutti, avendo la totale possibilità di salvarlo, possa essere un’azione umana.
Ma d’altro canto, fa parte dell’uomo la brutalità del branco che ha portato alla morte di Willy Monteiro Duarte? Fa parte dell’uomo vivere esaltando la violenza consciamente, essendo a questo punto peggio delle bestie che, loro malgrado, non hanno la stessa coscienza e le stesse capacità intellettive?
Gli episodi soprariportati, purtroppo come molti altri che continuano a verificarsi, sono emblematici perché portano a rendersi conto della banalità del male, un male rozzo, inavvertito e soprattutto ingiustificato, che si manifesta trasversalmente nelle varie classi sociali e attraverso molteplici motivazioni insensate e, talvolta, inesistenti.
Allora viene ancora da chiedersi se questo sia l’uomo e, purtroppo, la risposta fa rabbrividire, poiché sì, l’uomo è anche questo evidentemente. Capace di straordinarie scoperte e di opere meravigliose, l’uomo, dopo migliaia di anni, non è riuscito a lascarsi dietro il male, quel male che in una percentuale minima risiede dentro ognuno di noi e che la storia e il progresso ancora non sono riusciti a estirpare, anche perché il concetto di memoria, quella da cui si impara sbagliando, si sta sgretolando. L’uomo sta perdendo di vista l’essenziale e ricerca l’effimero, che porta a un’insistente rincorsa a qualcosa che può essere sempre migliore e quindi irraggiungibile, non curandosi di ciò che davvero è importante per il reale bene individuale e collettivo, ovvero il rispetto dell’altro e l’attenzione al disagio altrui, che se ravvisato e preso in tempo può impedire molteplici situazioni di violenza e odio.
In un tale contesto la cultura deve riconquistare la sua centralità nelle vicende umane perché solo attraverso la conoscenza l’errore può essere evitato. Una buona cultura porta a una sana analisi di se stesso e dell’altro, permettendo di impostare relazioni che lascino da parte ostilità e violenza. È la cultura che nei secoli ha elevato l’uomo e lo ha accompagnato attraverso le sue più grandi conquiste. Eppure, con un pizzico di sconforto, è inevitabile notare che sempre più persone sembrano dimenticare, tra le altre, anche questa certezza, come se ci fosse una diffusa tendenza verso un’ignoranza che in questo caso non è per niente beata.
D’altronde attualmente assistiamo, anche nelle principali sedi di diffusione delle notizie, a una generale tendenza nell’elargire giudizi affrettati, senza mai andare affondo alle problematiche che dilaniano la nostra società, perdendosi nella demagogia e accantonando l’intento di una reale ed educata informazione che deve essere oggettiva e sincera. Ciò non può che avere come conseguenza un generale effetto di inquietudine e insicurezza che, silenziosamente, non fa altro che portare a galla quel male primordiale, che l’uomo, per rispetto del suo essere, della sua storia e delle sue conquiste, avrebbe dovuto già abbandonare.