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Romania anno zero: la dittatura di Ceauşescu

Nicolae ed Elena Ceaușescu

Federico Battaglia

Il 25 dicembre 1989, a Târgoviște, nella Romania meridionale, ebbe luogo uno dei processi più controversi del XX secolo. Sul banco degli imputati sedeva una coppia di anziani, composta da marito e moglie, accusata di crimini contro il popolo romeno. L’incriminazione conteneva i seguenti punti: genocidio, compromissione dell’economia nazionale, attacco armato contro la popolazione e il potere dello Stato, distruzione di edifici e istituti statali. La seduta si concluse in meno di un’ora con la condanna a morte dei due coniugi, Nicolae e Elena Ceaușescu. L’udienza rappresentò un fatto singolare, in quanto si risolse in pochissimo tempo. Ma cosa spinse il tribunale ad emettere il verdetto così rapidamente? Di cosa si erano macchiati i due imputati? Cosa accadde tra il 1965 e il 1989, nel periodo in cui i Ceaușescu detennero il potere?  

Nicolae Ceaușescu

La scalata al potere di Nicolae Ceaușescu iniziò nel 1952 quando Gheorghe Gheorghiu-Dej divenne primo ministro della Repubblica Popolare Romena, formatasi in seguito agli stravolgimenti della Seconda guerra mondiale. In quel frangente i comunisti romeni, appoggiati dai sovietici, erano riusciti a vincere le elezioni e ad istituire una repubblica di stampo socialista. Tra coloro che più avevano partecipato al processo di formazione nazionale figurava proprio Ceaușescu che, in qualità di protetto di Gheorghiu-Dej, ottenne prima il Ministero dell’agricoltura e poi quello della difesa. Grazie agli incarichi governativi, quest’ultimo riuscì ad ottenere sempre più prestigio all’interno del partito, arrivando, subito dopo la morte di Gheorghiu-Dej, alla presidenza della Repubblica.

Agli inizi, Ceaușescu fu un leader piuttosto apprezzato dai romeni, grazie soprattutto alla sua posizione indipendente nei confronti della Russia. Prima di lui, la Romania aveva seguito passivamente le direttive di Mosca, fin quasi a perdere la propria identità nazionale. Con l’invasione della Cecoslovacchia voluta dal governo sovietico, però, la politica estera romena mutò improvvisamente. L’entrata dell’Armata Rossa in territorio cecoslovacco venne duramente criticata da parte di Ceaușescu che, procedendo in questo modo, prese le distanze dal blocco comunista. La sua scelta incontrò subito l’approvazione dei cittadini che non persero tempo nell’elevarlo ad eroe nazionale. Le loro convinzioni, tuttavia, si sarebbero dimostrate totalmente infondate. 

Pur sostenendo gli interessi del suo paese a livello internazionale, Ceaușescu non era intenzionato a portare avanti una politica liberale. Egli, infatti, stava cercando di consolidare un regime di tipo stalinista che, a tutti gli effetti, era orientato verso uno spietato culto della personalità e verso un’amministrazione strettamente centralizzata. Una prima dimostrazione si ebbe con l’organizzazione di una polizia segreta, la Securitate, i cui compiti consistevano nel limitare le libertà dei romeni e della stampa nazionale. Ceaușescu se ne servì anche per gestire i campi di lavoro che, sempre su sua iniziativa, erano stati fatti costruire per l’internamento di quei gruppi che lui stesso definiva come “indesiderabili minoranze”.

La campagna nazionalista scatenata contro gli ungheresi della Transilvania e i moldavi fu alquanto violenta. Le scuole ungheresi furono chiuse, le autorità pretesero la ridistribuzione delle terre di proprietà ungherese, senza parlare delle deportazioni di massa. Incolpati dei crimini più paradossali, ad esempio di aver parlato nella loro lingua madre, molti di essi furono deportati e messi ai lavori forzati, senza adeguati servizi di assistenza. Una mossa, questa, legata a motivi puramente etnici che, nell’idea di Ceaușescu, doveva tener alto l’onore della nazione. Peccato che la rovina della nazione non sarebbero state tanto le minoranze quanto l’operato del suo leader.

Oltre all’offensiva lanciata contro gli ungheresi, Ceaușescu optò per un’altra riforma a dir poco discutibile. Alla fine degli anni Sessanta, venne emanata una nuova legge che vietava l’aborto e l’uso dei metodi contraccettivi. Ciò doveva servire ad incrementare la popolazione ma il risultato di questa singolare politica demografica non fece altro che danneggiare la posizione delle famiglie romene: le donne che lavoravano nelle fabbriche furono sottoposte a esami ginecologici mensili, alle madri sotto ai quarant’anni di età fu imposto di generare un minimo di quattro figli, chi, invece, risultava sterile fu costretto a pagare tasse più alte. Tutto questo peggiorò una situazione di per sé precaria che si sarebbe ulteriormente aggravata nel 1971.

In quello stesso anno, Ceaușescu effettuò un viaggio nella Corea di Kim Il-sung e nella Cina maoista, rimanendo piacevolmente impressionato dai rispettivi regimi. Appena tornato in Romania, decise per la reindustrializzazione del suo paese secondo gli stessi criteri applicati dai due capi asiatici. A tal scopo chiese ingenti prestiti agli istituti di credito occidentali. Il denaro fu impiegato per favorire un imponente spopolamento delle aree rurali e per incoraggiare la nascita di industrie nelle città. Con il passare del tempo, i debiti si accumularono e, conscio del rischio in cui aveva fatto precipitare le finanze nazionali, Ceaușescu decretò che tutto quello che la Romania poteva produrre doveva essere esportato. Il paese precipitò, così, in una spaventosa carestia.

Per fronteggiare il momento di crisi, il leader del partito comunista introdusse il razionamento del pane e si affidò ad un vasto programma di austerità. Senza il denaro da investire nelle raffinerie petrolifere, non ebbe altra soluzione che sacrificare l’energia elettrica e il sistema sanitario nazionale. A causa delle continue interruzioni di corrente, gli ospedali si ritrovarono a lavorare ad intermittenza e, come se non bastasse, le ambulanze ricevettero l’ordine di non rispondere alle chiamate dei pazienti al di sopra dei settant’anni di età.

Mentre il popolo romeno soffriva, Ceaușescu e la sua famiglia vivevano un’esistenza notevolmente agiata. Le residenze di lusso, gli abiti posseduti dalla moglie Elena, le collezioni di automobili americane, l’abisso che separava la vita dei Ceaușescu da quella della gente comune era incalcolabile. Più il loro presidente continuava a spendere i fondi nazionali per espandere le sue proprietà, più i cittadini venivano lasciati a loro stessi. Ovunque, cominciarono a sorgere orfanotrofi, soprattutto a causa del boom demografico provocato dalla legge che proibiva sia l’aborto che la contraccezione. Per la mancanza di scorte alimentari, le famiglie non erano più in grado di sostenersi e, spesso, inviavano i loro figli in questi istituti. I bambini giravano nudi, senza medicine e coperte, sottoposti a continue trasfusioni di sangue per integrare lo scarso apporto di elementi nutritivi. Facendo ciò, si favorì la diffusione della malattia che più stava sconvolgendo il mondo in quel periodo: l’AIDS.

Orfanotrofio nei pressi di Bucarest

Il “Grande architetto del futuro della nazione”, così chiamato dalla potente propaganda di regime, aveva portato la Romania sull’orlo del collasso totale. Di conseguenza, ai romeni non restò altro che cercare di sovvertire l’ordine esistente. Nel dicembre 1989, a Timișoara, scoppiò una rivolta, in sostegno di un sacerdote ungherese dissidente. Il raduno iniziò abbastanza pacificamente ma, con il passare delle ore, si trasformò in un’accesa protesta contro il governo che si vide obbligato a far intervenire l’esercito. Ceaușescu, non impressionato dai disordini, decise egli stesso di indire un’adunata pubblica a Bucarest, nella piazza centrale, per riprendere in mano la situazione. Le immagini furono trasmesse dalla televisione nazionale.

La folla che si presentò iniziò a rumoreggiare dopo gli ennesimi deliri del loro leader e si scatenarono dei tafferugli che indussero Ceaușescu e la sua consorte a riconsiderare i loro piani. Il giorno seguente, si convinsero a fuggire a bordo di un elicottero ma vennero intercettati e trasferiti nella base militare di Târgoviște. Come già detto, il corso della giustizia fu alquanto breve. I due vennero fatti uscire dall’aula e vennero portati in un piccolo cortile, dove furono giustiziati da un gruppo di paracadutisti.

Con la scomparsa dei Ceaușescu si chiuse il periodo più buio del secondo dopoguerra romeno. Il paese era stato ridotto alla fame, i suoi abitanti erano stati costretti a vivere un’esistenza miserabile, con la cancellazione delle più elementari prerogative umane come il riscaldamento, il cibo e l’assistenza sanitaria. L’impronta che lasciò il regime generò un’ondata di sdegno in tutto l’opinione pubblica mondiale, colpita, in particolar modo, dalle condizioni subumane all’interno degli orfanotrofi. A partite dal 1990, i nuovi governi romeni si impegnarono a cancellare quel sistema totalitario che aveva compromesso la tenuta di tutto il paese. E, soprattutto, si impegnarono a ristabilire quella dignità nazionale che era stata persa, che era stata calpestata, per gli interessi di un uomo che aveva accumulato delle immense fortune, schiacciando i diritti dei suoi cittadini.