Rocco Scotellaro, al centro in primo piano, nel telero Lucania ’61 di Carlo Levi (dettaglio)
Enrico Molle
Il ricordo di Rocco Scotellaro può rappresentare un prezioso antidoto contro la frenesia che solitamente caratterizza la nostra epoca e per questo va custodito con grande cura.
Lo scrittore lucano nato a Tricarico, in provincia di Matera, nel 1923, ha incarnato quella che si potrebbe definire lo spirito tipico della poesia italiana e meridionale di quell’epoca e ha simboleggiato la figura di quegli autori che si sono formati negli anni Trenta con l’Ermetismo e che nel secondo dopoguerra, cambiando inclinazioni, lo hanno abbandonato per rivedere radicalmente la loro poetica, mettendo al centro il tema del Sud, divenuto poi fonte di ispirazione e protagonista della loro poesia.
La sua luminosa scia, sfortunatamente troppo breve (Scotellaro sarà stroncato da un infarto a soli trent’anni nel 1953), può essere ascritta in qualche modo al cosiddetto Ermetismo meridionale, diverso da quello fiorentino poiché si mostra aperto alla realtà del dopoguerra e che raccoglie poeti e scrittori come Vittorio Bodini, Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto e Leonardo Sinisgalli.
Attivo sia in campo civile che in campo politico (divenne infatti sindaco giovanissimo all’età di 23 anni nel 1947), Scotellaro fu molto noto in Italia negli anni a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, grazie proprio alla sua figura di letterato impegnato che rispondeva a quelli che erano i canoni dell’epoca. La sua opera più importante, la raccolta di poesie È fatto giorno, uscì postuma (l’autore aveva firmato un accordo con la Mondadori poche settimane prima della scomparsa) e venne curata da Carlo Levi, che tuttavia non rispettò pienamente quelle che erano le volontà di Scotellaro e intervenne sulla struttura dell’opera, anche piuttosto pesantemente, inserendo o eliminando alcune poesie e snaturando di fatto il senso complessivo della raccolta[1]. Tuttavia, nella prefazione, Carlo Levi delineò perfettamente la figura dello scrittore lucano, presentato come un poeta- contadino, emblema di quel sentimento di ribellione tipico del Sud e legatissimo a quei valori rappresentati dall’amicizia, dalla famiglia, dall’amore per le tradizioni e per la propria terra.
Il Sud come fonte di ispirazione e motivo di poesia è effettivamente al centro dell’opera. È fatto giorno e la sua essenza aiuta l’autore a tirarsi fuori da quella prigione di parole in cui gli ermetici tendevano a essere rinchiusi. La raccolta rappresenta una sorta di canzoniere e si divide in due parti articolate in quattordici sezioni che ospitano poesie accomunate da temi ben precisi, che svariano dalla sfera del personale a quelle della politica e del civile.
Succede dunque che nel rileggere oggi le poesie di Scotellaro, ne venga fuori un’aura malinconica per qualcosa che è ormai perduto, ma allo stesso tempo, trasmette una sensazione di inizio. Ciò accade perché la prima opera di questo autore è già postuma e quindi si ha la sensazione di trovarsi dinanzi a un’opera inaugurale, non tanto di una carriera letteraria che non si è realizzata, ma piuttosto di un tempo e di gruppi sociali che, ancora oggi, continuano a prorompere con le loro storie in quella che è la storia del Sud e che influenzano continuamente e in più parti il suo presente.
Attraverso un versificare breve e regolare, con rare spezzature e una costruzione sintattica volutamente semplice, dove la ricerca lessicale è tutta rivolta al mondo rurale dell’Italia meridionale, Scotellaro si fa portavoce di una realtà, almeno poetica, che rappresenta i contadini e gli emigranti, ma anche le donne che con il loro lavoro acquisiscono una piena centralità sociale.
Tutto ciò è ravvisabile in componimenti come Lucania, nella quale il poeta ricorre a immagini analogiche, o per meglio dire estetiche, senza una descrizione realistica del paesaggio, ma piuttosto attraverso un’interiorizzazione di esso come stato d’animo. D’altronde lo stesso accade in Campagna, dove le sensazioni annotate alludono al pericolo di frana che correvano determinate zone della Basilicata.
Emblematica è la lirica Tarantella, in cui Scotellaro manifesta tutta la sua gioia dovuta allo stare con la gente del Sud, gioia che però si tramuta in malessere quando è lontano da essa. Emerge dunque una sensazione di unione viscerale con la propria terra, che in questo poeta si concretizza in maniera più decisa e netta rispetto ad altri autori a lui contemporanei, anche attraverso un legame sincero con la propria comunità, che fa sentire il poeta «in pace, anche se non ha ancora trovato la sua stella», riferendosi probabilmente al fatto di essere ancora in cerca della sua strada o dell’anima gemella.
Il vincolo con una dimensione magicamente austera, quasi bucolica, come può essere quella di alcuni paesini dell’estremo Sud, emerge tutto in Il primo addio a Napoli, che è un canto di invettiva sociale e politica, ma anche di nostalgia, in cui il poeta abbandona tutta la sua sofferenza scaturita dal vivere in una grande città (Scotellaro nel 1950 si era recato a Portici per alcuni incarichi lavorativi, dove tra l’altro passerà i suoi ultimi giorni di vita), in cui si sente male, al contrario di quanto accade nel suo paesino, che pur essendo piccolissimo, diviene per lui una sorta di paradiso. Le confessioni toccano temi attualissimi come quello della solitudine che il più delle volte attanaglia le persone nelle metropoli, dove ognuno è immerso nelle proprie frenetiche questioni e nei suoi problemi.
Nella raccolta un’altra tematica molto cara all’autore è quella della tipica famiglia del Sud, in particolar modo la famiglia contadina dove i genitori hanno ruoli ben definiti. Affiora così la figura del padre, come tra l’altro accade nel suo romanzo autobiografico, rimasto incompiuto, L’uva puttanella. Il genitore viene descritto come ribelle verso le autorità, ma al contempo uomo di fermi principi morali ed estremamente rispettoso, descritto poeticamente, tra le altre, nella lirica A mio padre e nella breve Per il Camposanto, dove Scotellaro rievoca il ricordo del padre che rimandava indietro il figlio quando non salutava, richiamando al contempo il ricordo di un’intera generazione cresciuta con un’educazione inflessibile, a tratti molto lontana rispetto a quella odierna.
Diversa è la figura della madre, ma ugualmente legata in maniera indissolubile al mondo contadino, tratteggiata nel componimento A una madre, attraverso il quale poeta, pur non escludendo un rapporto personale con la donna, racconta l’icona simbolica della madre popolare, impegnata in vari lavori oltre alle faccende domestiche e alla cura dei molti figli, il più delle volte «lasciati piangere» e cresciuti in un rapporto di amore e odio, alla quale si fa fatica a voler bene.
Accanto ai temi personali, nell’opera È fatto giorno c’è anche spazio inevitabilmente per componimenti di stampo civile e politico, come avviene principalmente nella sezione Capostorno e nell’omonima lirica, il cui titolo rimanda alla malattia cerebrale che colpisce solitamente i bovini. Scotellaro in questa poesia affronta la questione dell’occupazione delle terre da parte dei contadini lucani che erano riusciti a ottenere un lotto per il loro sostentamento. Si tratta di un tema sociale che il poeta affronta con un senso di delusione, presentando da un lato l’attesa di coloro che sperano di cogliere questa occasione per migliorare la loro condizione, dall’altro la delusione quando si rende evidente che così non è stato.
C’è spazio inoltre per alcuni richiami concreti alla storia fatta di grandi eventi, come avviene nella lirica Sempre nuova è l’alba, definita da Carlo Levi la «Marsigliese contadina» e da cui prende il titolo la settima sezione. Scotellaro con questo componimento fa richiamo alla questione del brigantaggio meridionale, simbolo di rivolta, represso brutalmente dai soldati piemontesi che si macchiarono di svariate atrocità. Riaffiora forte il senso di fratellanza per i contadini, vengono ricordati alcuni episodi di scontri tra soldati e briganti e la caverna, in cui questi ultimi si rifugiavano, diventa un simbolo di speranza, speranza alla quale però non ci si può più sottrarre e per questo coloro che verranno non si nasconderanno più.
Insomma, nella poetica di Rocco Scotellaro c’è molto di più dell’esperienza di un giovane autore morto prematuramente e la sua produzione si rivela a noi tanto breve, quanto intensa. Dalle sue poesie ci arriva, come ripetuto più volte in precedenza, l’eco di un intero popolo, o meglio di un’intera condizione umana quale è stata quella della gente del Sud fino alla scorsa generazione.
È un peccato, sia dal punto di vista letterario che umano, non aver potuto godere ulteriormente di una personalità tale come era quella del giovane lucano, ma sarebbe ancora più un peccato, o meglio una colpa, non portare avanti il suo ricordo. Per questo è importante, per tutti gli amanti della letteratura italiana, custodirne la memoria, anche in onore di quella carica di testimonianza di cui è pregna la produzione di Scotellaro.
[1] Oggi è possibile leggere il “vero” Scotellaro nella raccolta Margherite e rosolacci curata da Franco Vitelli.