Lorenzo Boellis
George Mosse, storico tedesco del secolo scorso, analizza il ruolo della sessualità in una società autoritaria nel saggio Sessualità e nazionalismo. Sfogliando le pagine di questa opera si rimane affascinati dalla capacità dell’autore di descrivere con tanta imparzialità eventi e personaggi protagonisti della faida tra rispettabilità e vera e propria libertà sessuale. Con l’avanzata del nazionalismo, infatti, era un decoro conforme ai tempi a formare le menti delle nuove generazioni, a sfornare donne e uomini a immagine e somiglianza del regime. Tuttavia, un caso a parte è quello di Heinrich von Kleist, drammaturgo e poeta tedesco vissuto tra XVIII e XIX secolo, quando in Europa avanzava l’ondata di Imperialismo che avrebbe portato alla Prima Guerra Mondiale. Kleist, come afferma Mosse, “rappresenta un impressionante esempio della cosciente necessità di distruggere qualsiasi sensazione sessuale si accompagnasse all’amicizia”[1] e questa sua tendenza autodistruttiva viene approfondita anche dal biografo Stefan Zweig nell’opera Kleist: la lotta col demone. Qui viene trattato e approfondito uno degli aspetti più ambigui della vita di Kleist: il rapporto con l’eros. Abbiamo visto come la rispettabilità in una società pre-nazionalista fosse un importante elemento di aggregazione e conformità culturale. Essere uguali alla massa, far parte della massa, voleva dire individuare il diverso, eliminarlo, ed è per questo motivo che ogni predisposizione alla diversità veniva repressa attraverso l’assunzione di un carattere massificante. Tuttavia, Kleist non riuscì a sfuggire del tutto da quello che Zweig chiama “demone”: “Ebbe troppa passione, una passionalità del sentimento senza misura e senza freno, smodata, esagerata, che lo spingeva eternamente agli eccessi.”[2]
Eppure nessuno avrebbe mai immaginato, allora, che un uomo come Kleist potesse nascondere tanto travaglio dentro di sé, una sorta di violenta passione repressa di cui riusciva a liberarsi solo attraverso le sue opere. Chi entrava in contatto con lui ne rimaneva profondamente colpito, tanto che Kleist non ebbe molti amici che riuscirono a condividere con lui fino in fondo quel baratro oscuro che teneva nascosto dentro. Il suo eccessivo rigore di facciata lo portò pian piano ad un annichilimento della personalità. Seguì con rigore la disciplina prussiana e volle ad ogni costo prendere le armi e combattere nell’esercito, voleva essere il pedagogo di se stesso ed esercitava una pungente moralità anche nei confronti delle sue amanti e dei suoi conoscenti. Nonostante tutto questo, le lettere e le opere a cui dedicò l’intera esistenza parlano del suo io e sconfessano quella discordanza tra ciò che egli fu davvero e ciò che avrebbe voluto essere. “Tu ricostituivi nel mio cuore l’età dei greci, avrei potuto dormire accanto a te.”, scriveva a un amico, e ancora “Ho guardato spesso con sentimenti femminili il tuo bel corpo, quando, a Thun, ti bagnavi nel lago.” Sembra, quindi, evidente la presenza di un omoerotismo represso che lo portò alla follia, alla disperazione, e che solo attraverso i suoi drammi riuscì a rappresentare. Significativa in questo senso è la tragedia a cui Kleist dedicò la vita: il Guiscardo. Tuttavia quest’opera travagliata non vide mai una conclusione – “Darei una goccia di sangue del mio cuore per ogni sillaba d’una lettera che potesse cominciare così: il mio poema è finito.” scrive l’autore in una lettera – e finì con l’essere bruciata a Parigi, in un attimo di follia. Quest’atto estremo rappresenta il suo primo suicidio e, come spiega Mosse, “Kleist era una personalità senza mezze misure, desiderava tutto o niente, e le umiliazioni personali e artistiche dell’ultimo anno di vita debbono certamente aver influito sulla sua decisione.”[3]
Kleist si tolse la vita a poco più di trent’anni e la morte rappresentò per lui una via di fuga da quella vita che l’aveva trattenuto per troppo tempo stretto nella sua morsa. Di questo autore, ormai in parte dimenticato, ci rimane ben poco. Potremmo dire che la sua vera eredità, quelle opere e quelle poesie che parlavano di un’anima attanagliata dalla società, sia andata perduta con quel colpo di pistola sparato sulle rive del Wannsee il 21 novembre 1811. Ma il vuoto lasciato dal poeta potrebbe essere colmato dagli scritti rimasti, tra cui un dramma dall’importante carica erotica ed emotiva, specchio della personalità di Kleist: Pentesilea. Protagonista è Pentesilea, regina delle Amazzoni, di cui si parla anche nell’epica classica, in cui vediamo contrapporsi il rigore delle leggi e l’amore nei confronti di Achille. I due vogliono amarsi, ma non si può sfuggire al codice dell’eroe, che costringe Pentesilea a battersi contro Achille fino a vincerlo, fino a farne un bottino di guerra. L’eterna battaglia tra greci e Amazzoni diventa così rappresentazione di una disputa tra due innamorati, una contesa che non può che concludersi in modo tragico. Pentesilea, uscita vinta dalla battaglia, diviene folle e desidera possedere Achille ad ogni costo, tanto che, quando l’eroe decide di abbassare le armi per arrendersi all’amore dell’amata, questa lo ferisce a morte e sbrana il suo corpo inerme insieme alle sue cagne. Eppure l’intenzione della regina delle Amazzoni era quella di attrarre l’amato a sé: “È forse colpa mia se qui, sul campo di battaglia, sono costretta a lottare per conquistare il suo sentimento?”[4] si chiede in preda alla pazzia. Ma non trova una risposta concreta a nessuna domanda e sceglie anche lei, alla fine, di seguire l’amato trafiggendosi il cuore. L’incapacità di Kleist di riuscire a comunicare un amore che non sia violento e folle è lo specchio della sua stessa incapacità in vita di poter comunicare chi egli fosse realmente. Tuttora un alone di mistero circonda la sua persona e quello che ci resta di lui sono solo dei “rotti frammenti”: “Manca un mezzo per comunicare […] la lingua non può dipingere l’anima e quello che ci dà non sono che rotti frammenti.”
[1] Mosse G.L., Sessualità e nazionalismo, Editori Laterza, Bari, 2011, p. 82
[2] Zweig S., Kleist: La lotta col demone (La mala parte), Piano B edizioni, Prato, 2015
[3] Mosse G.L., Sessualità e nazionalismo, Editori Laterza, Bari, 2011, p. 83
[4] H. Kleist, Pentesilea, Einaudi, Torino, 2003