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Rasputin e la caduta dei Romanov

Federico Battaglia

Personaggio controverso e a tratti leggendario, Grigorij Efimovič Rasputin visse in un’epoca di crisi e di forti stravolgimenti per il proprio paese. Proveniente da una famiglia di umili origini, il monaco siberiano riuscì ad ottenere un potere smisurato nella Russia di inizio Novecento, avvicinandosi alla famiglia imperale ed influenzandone le scelte politiche. Ma come fu possibile tutto ciò? Quali furono le dinamiche che portarono padre Grigorij a San Pietroburgo, l’allora capitale degli zar? Le risposte possono essere ricercate a partire dal 1903, anno di svolta nella sua vita.

Grigorij Efimovič Rasputin

In quel periodo, l’Impero Russo stava vivendo una fase tutt’altro che positiva. Alla disastrosa situazione economica si andava ad aggiungere un forte malcontento popolare nei confronti dell’inadeguato regime zarista. I ministri dell’imperatore Nicola II dovevano far fronte ad un contesto di totale arretratezza sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sociale: l’industrializzazione faticava a progredire, senza parlare della mancanza dei più basilari diritti civili per il popolo. Concetti come libertà d’espressione e rappresentanza popolare erano, infatti, inammissibili in un paese autocratico come quello russo, retto esclusivamente dallo zar e dai membri del suo governo.
Quando Rasputin arrivò a San Pietroburgo nel 1903, trovò una città stanca e in procinto di ribellarsi contro l’ordine esistente. Mentre gli operai si organizzavano per far valere le loro proposte di riforma, nei quartieri più abbienti della capitale l’aristocrazia si intratteneva con ricevimenti e nuove sperimentazioni, comprese quelle nel campo dell’occulto. Tra le nobildonne che più dimostrarono particolare interesse per il misticismo c’erano le sorelle Anastasia e Milica del Montenegro. Queste ultime, dopo aver fatto la conoscenza del misterioso individuo venuto dalla Siberia, rimasero fortemente colpite dal carisma e dalle abilità dello starec (termine russo con il quale si indica la figura del monaco che, anche senza esser diventato sacerdote, viene riconosciuto come guida spirituale dalla comunità). Per questo motivo, decisero di presentarlo alla zarina Alessandra e a suo marito che, nel novembre del 1905, si stavano prodigando per superare numerose difficoltà.

Nicola II aveva da poco perso la guerra contro il Giappone e, dopo l’insurrezione di inizio anno, era stato costretto a firmare il Manifesto d’Ottobre e a concedere un’assemblea legislativa al popolo. La consorte, invece, era alle prese con il figlio appena nato, Alessio, affetto da una grave forma di emofilia. La malattia dell’erede al trono, sulle cui spalle gravava il peso di continuare la linea dinastica dei Romanov, sconvolse profondamente l’imperatrice che iniziò a consultare decine e decine di medici pur di salvarlo. Date le circostanze, l’arrivo di Rasputin risultò propiziatorio per la coppia imperiale.

L’erede al trono Alessio e sua madre

Le famose doti da guaritore del monaco si dimostrarono subito efficaci: il sollievo dato ai dolori dello zarevic accrebbe notevolmente la fiducia dello zar e della zarina in Rasputin che poté contare anche su una serie di eventi fortuiti. Tra gli altri, la decisione dei dottori di interrompere la somministrazione di aspirina, farmaco che danneggiava la coagulazione del sangue anziché migliorarla.
I piccoli segnali di ripresa dell’erede convinsero sempre di più Alessandra della santità dell’uomo di Pokrovskoe. Approfittando della sua considerazione, Rasputin incominciò ad accrescere il proprio prestigio nei salotti dell’alta società pietroburghese. In un primo momento, ottenne un discreto successo, in particolar modo con le giovani aristocratiche, ma con il passare del tempo iniziò ad essere sgradito alla stragrande maggioranza della corte. Il suo stile di vita, sregolato ed eccessivo, e la sua costante presenza a Tsarskoe Selo, dove vivevano i sovrani e la loro famiglia, gli costarono l’appoggio dei nobili più influenti. Questi, preoccupati di perdere il loro prestigio verso lo zar, tentarono di danneggiare l’immagine del “monaco nero” di fronte all’opinione pubblica.
Alla lotta contro lo strapotere di Rasputin parteciparono anche diversi uomini politici, tra cui i due primi ministri che si succedettero tra il 1906 e il 1914: Pëtr Stolypin e Vladimir Kokovcov. Attraverso gli espedienti più disparati, dalle offerte di denaro alle minacce legali, l’establishment russo allontanò più e più volte lo starec da San Pietroburgo, rispedendolo nella sua città natale. Ciononostante, tutti i tentativi si rivelarono vani.
Le continue crisi dell’erede Alessio indussero la zarina a richiamare Rasputin ad ogni occasione. Sicura dell’infallibilità del suo “grande amico”, Alessandra non esitò nemmeno una volta nel riportare Rasputin a palazzo, senza incontrare troppa opposizione da parte del marito. Di carattere remissivo e debole, Nicola II acconsentì ad ogni richiesta dell’imperatrice, per una semplice ragione: se Alessio fosse morto, agli occhi della madre, lo zar sarebbe stato l’assassino di uno dei suoi figli.

Mentre in Russia un contadino semi-analfabeta si stava impossessando gradualmente del controllo del paese, nel resto del continente europeo la situazione si faceva drammatica per l’equilibrio internazionale. Con i Balcani in subbuglio e con la Germania che si stava preparando per una guerra contro l’alleanza franco-inglese, lo scoppio di un conflitto era ormai prossimo. Le ostilità si sarebbero aperte nell’estate del 1914 e avrebbero visto l’Impero Russo scontrarsi con lo schieramento austro-tedesco.
I combattimenti dimostrarono subito l’inettitudine dell’esercito zarista, numericamente superiore ma privo di comandanti validi e dei più moderni armamenti. Le sconfitte subite tra il 1914 e il 1915 costrinsero le armate russe ad arretrare di parecchi chilometri e ad abbandonare la Polonia in mano al Kaiser. Di conseguenza, Nicola II decise di prendere personalmente il comando delle truppe, recandosi al quartier generale di Mogilev, nell’odierna Bielorussia. Una scelta, questa, che si sarebbe rivelata determinante nell’aprire la crisi definitiva dell’Impero dei Romanov.

Nicola II e Alessandra Romanova

Con lo zar al fronte, il potere passò nelle mani di Alessandra che continuò ad esercitarlo in qualità di reggente. Tuttavia, la sua inesperienza negli affari di Stato e la sua vicinanza a Rasputin fecero sì che si creasse un vuoto nel sistema governativo senza precedenti. Il monaco, diventato a tutti gli effetti il consigliere personale della zarina, si servì della sua posizione per intervenire sulla composizione del consiglio dei ministri. In meno di un anno si ebbero numerosi cambi al vertice e questo non fece altro che compromettere ulteriormente la tenuta del regime autocratico.
Ancora una volta, sia i politici che i membri della corte si attivarono per ovviare al problema che stava facendo precipitare la Russia nel caos. Non ottenendo nessuna risoluzione, gli aristocratici Feliks Jusupov e Dmitrij Pavlovich decisero di mettere la parola fine all’avventura del monaco a San Pietroburgo. L’assassinio si sarebbe consumato nel dicembre del 1916, presso uno dei tanti palazzi della famiglia Jusupov; Rasputin, dopo esser sopravvissuto ad un tentativo di avvelenamento, venne ucciso con un colpo di pistola, e il suo corpo venne gettato nelle acque antistanti l’Isola Krestovskij. I due giovani, certi che la sua scomparsa avrebbe perlomeno risollevato la stima dei russi nei confronti della dinastia imperiale, si dovettero ricredere subito.
La situazione generale era, oramai, irrimediabilmente danneggiata: le città erano tutte allo stremo, le forniture di grano si erano dimezzate e i tedeschi stavano gradualmente avanzando in Ucraina. Nel febbraio del 1917, a San Pietroburgo iniziarono i primi scioperi, seguiti immediatamente dopo da vere e proprie rivolte. Lo zar, lontano centinaia di kilometri, ordinò alla guarnigione di stanza nella città di soffocare l’insurrezione, senza ottenere nessun riscontro positivo: i soldati erano, infatti, scesi in piazza con gli operai. La rivoluzione era appena iniziata e avrebbe spodestato, in poco tempo, la famiglia Romanov, alla guida della Russia dal 1613.
In questo frangente, Rasputin aveva giocato un ruolo alquanto decisivo. Per undici lunghi anni, lo starec era riuscito, seppur con qualche interruzione, a condizionare la vita degli ultimi due regnanti della storia russa. Specialmente nell’ultimo periodo, arrivò ad oltrepassare l’autorità dei ministri, decidendone la nomina e la revoca a seconda delle proprie amicizie. Una simile circostanza non sarebbe accaduta se non si fossero presentati diversi fattori, alcuni di carattere intimamente personale: l’emofilia dello zarevic e l’apprensione dei suoi genitori.
Senza curarsi troppo dello stato tremendo in cui versava la nazione intera, lo zar e soprattutto la zarina favorirono l’ascesa di padre Grigorij, affidandosi ai suoi presunti poteri mistici e tenendo fortemente in considerazione le sue opinioni, persino quelle di natura politica. Per certi versi, il monaco rappresentò il simbolo vivente del distacco tra i sovrani e il popolo: mentre i loro sudditi rivendicavano migliori condizioni di vita, a Tsarskoe Selo Nicola e Alessandra si intrattenevano con Rasputin sicuri che questi avrebbe salvato il loro erede e, indirettamente, la dinastia intera. Purtroppo, non sapevano che, agendo in questo modo, sarebbero stati loro stessi a far naufragare il retaggio dei Romanov.   

La corruzione, gli scandali sessuali, le voci di una presunta relazione tra lo starec e l’imperatrice indebolirono a tal punto la reputazione della casa regnante da renderla avulsa alla maggior parte dei russi. In un periodo difficile come il triennio 1914-1917, in cui era necessario dimostrare risolutezza alla guida dello Stato, la Russia si ritrovò ad essere governata superficialmente. Un uomo, che si professava “inviato da Dio”, ma che allo stesso tempo si abbandonava ai piaceri della vita, passò dall’essere un semplice coltivatore al condividere il potere autocratico degli zar, incrinandolo in parte e contribuendo alla caduta di una monarchia tricentenaria.