di Alfonso Martino
Il film di Renato De Maria con Pietro Castellitto, Matilda De Angelis e Maccio Capatonda riscrive la storia come i Bastardi senza gloria di Tarantino
“Questa storia è vera. Questa è una storia quasi vera”. Si apre così Rapiniamo il Duce di Renato de Maria (Lo Spietato). Il film è una produzione Netflix, con uscita fissata per il 26 ottobre sulla piattaforma ed è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma.
Tra i protagonisti figurano Pietro Castellitto (I Predatori), Matilda De Angelis (L’incredibile Storia dell’Isola delle Rose), Filippo Timi, Tommaso Ragno e Maccio Capatonda in una Milano in cui il fascismo è ai titoli di coda, dominata da colori cupi e grigi.
La folle impresa
In questo clima di anarchia si muove Pietro, chiamato da tutti Isola (Castellitto), un ladro privo di ideali il cui scopo è sopravvivere insieme ai soci Marcello (Ragno) e Amedeo. La possibilità di mettere le mani sul tesoro del Duce convince il nostro a mettere su una banda per cercare di far diventare realtà quella vita che sogna insieme alla cantante Yvonne (De Angelis).
De Maria riprende il filone heist movie, inserendo tutti i clichè del caso: la creazione del gruppo e la conoscenza di ogni membro — la scena con Fabbri (Capatonda) è fantastica — la sequenza in cui il piano viene spiegato e la sua messa in scena, che riesce a intrattenere cercando di emulare (non sempre con successo) il cinema americano.
Le sequenze più colorate vedono protagonista Yvonne, le quali finiscono con l’arrivo del generale Borsalino (Filippo Timi), incaricato di custodire il tesoro del Duce e innamorato della cantante.
In guerra non ci sono regole
La sequenza del colpo è ben diretta, creando la giusta tensione quando serve e cercando dei colpi di scena che risultano però prevedibili. Il film raggiunge comunque il suo scopo: intrattenere il pubblico con un ritmo forsennato e un villain ben caratterizzato, a differenza del protagonista di cui abbiamo un background accennato e di cui si vorrebbe sapere di più.