Oltre il confine

Primo Levi: ci toglieranno anche il nome e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo

di Alessia S. Lorenzi

“Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest’offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più già di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”
                                                                                                                                   P. Levi da “Se questo è un uomo”

Primo Levi (Torino 1919 – 1987) è stato uno scrittore, un partigiano, un chimico e un poeta italiano. Oltre al suo più famoso romanzo, Se questo è un uomo pubblicato nel 1958, ha scritto alcuni racconti, riflessioni, poesie e romanzi.

Se questo è un uomo è, senza dubbio, una delle più grandi testimonianze sulla tremenda vita nei campi di sterminio. In esso Levi ha descritto, con dovizia di particolari, la sua esperienza di ebreo deportato ad Auschwitz, raccontando le atrocità viste e subite.

Primo Levi muore l’11 aprile del 1987. Fino alla fine, il suo continuo invito a “Non dimenticare”, ma a tramandare ai giovani quello che è stato fatto all’uomo in quei terribili campi di concentramento affinché ricordino e tramandino ai loro figli: “vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore, stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi; ripetetele ai vostri figli.”

La prima volta che ho letto Se questo è un uomo di Primo Levi, l’ho fatto, come tutti i ragazzi credo, su indicazione degli insegnanti, e l’ho letto come “un libro di scuola”.  Non ho prestato molta attenzione o, meglio, mi sono limitata a riassumere i fatti così come mi veniva richiesto.   
Mi aveva colpito particolarmente, ma lo avevo considerato un romanzo come un altro, con una storia triste sì, ma sempre comunque con l’idea di romanzo e, si sa, nei romanzi si può scrivere qualsiasi cosa.
Poi l’ho riletto a distanza di diversi anni e mi è sembrato di leggerlo per la prima volta. Non era fantasia di un autore particolarmente ispirato da ciò che la storia gli aveva tramandato: era realtà vissuta, tristemente vissuta, di quelle realtà che hanno il potere di cambiarti per sempre.
Mentre lo rileggevo mi sembrava di leggere la descrizione che Dante fa dell’Inferno, ecco proprio un viaggio attraverso la Divina Commedia con la differenza che si racconta la vita, il dolore, la sofferenza vera.
Infatti il Lager è proprio un inferno in terra e i testimoni spesso sono riusciti a raccontarlo facendo ricorso al lessico dantesco: bolge, diavoli personificati, demoni, gironi infernali, l’eterno dolore e la perduta gente che vaga in attesa della fine di tutto.
Mi ha colpito la descrizione di alcuni momenti di “vita”, se vita si può chiamare quella in cui gli uomini vengono privati di qualsiasi cosa, anche del pensiero stesso. Sì, proprio come se la morte dello spirito precedesse la morte del corpo. Se lo scopo dei nazisti era quello di eliminare gli uomini, lì in quei campi di sterminio, si distruggeva per prima l’anima dell’uomo, privando l’essere umano dell’essenza stessa; gli veniva tolto tutto, pensieri, desideri, emozioni e speranza di poter tornare alla vita “di uomo normale”, perché nulla tornava più come prima. Questa era l’aspetto più terrificante: l’uomo veniva rimodellato, trasformato, soffocato, annientato.
Un libro “testimonianza” in cui il protagonista racconta le ferite incancellabili che marchiarono per sempre il suo essere.  

Lo stesso Levi diceva che il libro era “nato fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi” di ciò che accadeva in quei campi di sterminio.

Scritto per far riflettere le nuove generazioni e tutti coloro che non hanno idea di cosa fosse veramente un campo di concentramento, un momento per ripensare e soprattutto per comprendere quanto la vergogna dell’Olocausto sia ancora presente e forte nella memoria  degli uomini.
“Lasciate ogni speranza o voi che entrate” sembra esserci scritto su quelle mura che circondano i campi di sterminio e che lasciano nei sopravvissuti un grande senso di tristezza e di dolore che segnerà per sempre le loro vite.
Solo che la giustizia divina del poema dantesco qui è capovolta: nei campi di sterminio a essere torturate furono vittime innocenti. Non dimentichiamo mai che milioni di persone si sono trovate a essere dannate senza avere commesso nessun crimine. È questo che dobbiamo ricordare, perché nulla di così agghiacciante si ripeta mai più.
Per fortuna il 27 gennaio del 1945  i cancelli di Auschwitz, il più tristemente famoso centro di sterminio degli ebrei,  furono finalmente abbattuti.