di Rosaria Scialpi
La scoperta
All’interno delle pagine di una copia della Divina Commedia del 1906 e illustrata da Gustave Dorè, è stata trovata, del tutto fortuitamente, una pergamena con sigillo in ceralacca datato 1295, contenente quella che sembrerebbe essere la firma di Dante Alighieri. Dal momento che, almeno fino ad oggi, non abbiamo nulla di vergato direttamente dalla mano del Vate, se la firma dovesse risultare autografa, ciò costituirebbe una grande rivelazione, cambiando irrimediabilmente l’approccio ai testi dell’autore, a noi pervenuti per copie posteriori alla sua morte.
Il proprietario della copia illustrata da Dorè – e quindi anche della pergamena – è un privato cittadino di cui non si conosce l’identità e che ha affidato al Professore Virgilio Rodolfo Signorini il compito di analizzare la pergamena affinché renda poi pubblici i risultati del suo studio.
Il Professor Signorini, però, afferma che bisogna mantenere cautela e prudenza dinnanzi.
Ma perché potrebbe trattarsi di un falso?
La questione del falso
All’interno della pergamena, nella quale si discute sull’uso della congiunzione avversativa “ma”, oltre alla firma di Dante (Ego Dantes Allaghery laudavi et me subschripsi), ci sono quelle di Guido Cavalcanti (Ego Guido de Chavalchantibus me subscribo), Brunetto Latini (Ego ser Burnectus Latini notarius laudavi atque schripsi) e Dino Compagni (Ego Dinus Chompagni, minius doctorum, me subscripsi).
È proprio in questo contesto che sorgono i primi dubbi: Brunetto Latini, a cui Dante ha sempre guardato come modello, stando alle fonti, sarebbe morto l’anno precedente alla data apposta sul sigillo, quindi nel 1294; ma questo è il dato meno rilevante, dato che sulla sua data di morte si è sempre molto discusso. Un ulteriore dato da tenere in considerazione, sempre in relazione alla firma di Latini, è che noi possediamo già altre firme del notaio, le quali appaiono differenti rispetto a quella presa in esame. Se, ad esempio, si confrontassero la firma di Latini della pergamena contenente l’ipotetica firma di Dante e quella conservata all’Archivio di Stato di Firenze in Cap. Fir. Reg 28, fol. 191, emergerebbero immediatamente le differenze.
Anzitutto, la prima firma appare meno elegante e precisa, cosa insolita per chi, come l’autore del Tresor, aveva studiato molto e rivestiva una certa carica all’interno della società. Più nello specifico, la firma di più recente scoperta presenta una ‘B’ priva di grazie, lettere maggiormente distanziate fra loro, una ‘s’ di matrice totalmente dissimile da quella del Cap. Fir. Reg 28, fol. 191, una ‘L’ e una ‘t’ molto più vicine a quelle moderne che a quelle usate nel medioevo.
A ciò va aggiunto il fatto che:
1. Nel 1295 le “m” non erano realizzate esattamente come quelle presenti del manoscritto, le quali sembrerebbero piuttosto un falso, un’imitazione probabilmente tardo-ottocentesca;
2. All’interno della pergamena sono presenti parole greche ma, nel 1295, quasi nessuno conosceva più il greco antico, nemmeno lo stesso Dante, tanto che i copisti, quando incontravano frasi in greco, scrivevano “Grecum est, non legitur”;
3. La pergamena appare sospetta. Dal punto di vista paleografico, sembra strano che non vi siano segni di danneggiamento tipici dell’usura e/o della presenza di tarme o di altri insetti ghiotti di carta, a differenza dei numerosi tagli. La pergamena costava così tanto che si scriveva anche negli spazi vuoti e si riutilizzava lo stesso foglio per scrivere anche cose estremamente discordanti fra loro. Di solito, al margine si trovavano testi pagani, quindi poco rilevanti. Pertanto, chi avrebbe strappato un foglio così costoso?
4. Infine, perché Dante avrebbe dovuto usare il tabellione, se non era un notaio?
Ciononostante, c’è un elemento che farebbe presupporre che potrebbe effettivamente trattarsi della vera firma di Dante Alighieri e cioè la testimonianza di Brunetto Latini che, riguardo alla grafia dell’autore della Commedia, aveva scritto:
“scrittore perfetto, ed era lettera sua magra e lunga e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune epistole di sua mano propria scritte”.
Dal momento che la presunta firma di Dante sembrerebbe corrispondere alla descrizione fattene da Brunetto Latini, non risulta impossibile ipotizzare che quella sia realmente la firma dell’autore fiorentino.
L’unica certezza ci proverrà dalle analisi filologiche, chimiche e paleografiche.