Alfonso Martino
Dopo aver vinto il Leone d’Oro a Venezia per il miglior film e i Golden Globe per il miglior film drammatico e la miglior regia, Nomadland di Chloe Zhao si è imposto anche agli Oscar, ottenendo il premio per il miglior film, la miglior regia e la miglior attrice protagonista a Frances McDormand.
La regista, oltre a dirigere il film, l’ha scritto, prodotto e montato, dando così alla sua opera una visione a 360 gradi.
La vicenda vede protagonista Fern (McDormand), una donna che dopo la morte del marito decide di vivere on the road, alla guida di un van che le permetterà di esplorare gli USA e di entrare in contatto con persone che condividono il suo stile di vita.
Zhao enfatizza i paesaggi rurali in cui soggiorna per brevi periodi Fern, i quali sono ripresi attraverso inquadrature ampie e contornati dalla luce del tramonto, trasmettendo allo spettatore quel sentimento di libertà che la protagonista cerca.
Un esempio si può ritrovare nel piano sequenza che utilizza la regista per seguire Fern in un camping per nomadi, in cui la macchina da presa mostra la vita della comunità e la quiete che permane al suo interno.
Questo stile di vita, in cui prevalgono la voglia di non avere legami duraturi, di tuffarsi nell’ignoto, non viene compreso da chi è ben inserito all’interno della società come la sorella di Fern, che l’accusa di essere sempre stata attratta da ciò che non conosceva. Un ragionamento simile viene fatto in un dialogo tra la protagonista e la figlia di una sua collega, in cui la seconda dice alla prima: <<Mia madre dice che sei una senzatetto>>, ottenendo questa risposta: <<Non sono una senzatetto. Sono una ‘senza casa’. È diverso, non trovi?>>.
Per tutta la durata della pellicola, Fern incontra diversi personaggi sul suo cammino, con cui si troverà a condividere esperienze che sfoceranno poi nella medesima conclusione: un’inquadratura in cui la protagonista è di spalle nell’atto di salutare con lo sguardo il van della persona che sta andando via, anch’essa pronta per una nuova avventura.
Il tema del viaggio viene affrontato dalla regista con inquadrature dal piglio documentaristico in cui il van della protagonista viene ripreso da dietro, con lo sguardo della macchina da presa che si concentra sui dettagli del paesaggio, come ad esempio le tipiche highways americane o un cactus.
Nel finale, Fern transita ad Empire, città in cui viveva con suo marito. La donna viene ripresa mentre ritorna nella sua vecchia casa, simbolo di una vita che non le appartiene più, dal momento che non ha più al suo fianco la persona con cui condividerla.
L’abitazione è spoglia e disabitata come l’anima di Fern, emblema di una comunità silenziosa che esiste e vuole vivere fuori dagli schemi imposti da una società definita: <<schiava del dollaro e del commercio>>.