di Roberta Giannì
Nel corso degli ultimi mesi, noi tutti ci siamo ritrovati, così diversi l’uno dall’altro, a condividere la stessa sorte, la stessa vita. Il Covid-19, arrivato dalla Cina, si è mostrato implacabile sin dai primi momenti della sua diffusione. Gli Stati di tutto il mondo si sono uniti nel fronteggiare una vera e propria emergenza, adottando misure via via sempre più drastiche, sperando di arrestare l’avanzata del virus o perlomeno di controllarla . E così siamo finiti relegati in casa, le ore passate alla ricerca di occasioni per abbattere la noia, mentre in tv scorrono storie, aggiornamenti, numeri. È proprio con i numeri che Paolo Giordano, dottore di ricerca in Fisica Teorica presso l’Università degli studi di Torino e autore del rinomato romanzo La solitudine dei numeri primi, decide di raccontare la storia di tutti noi.
Nel contagio (Einaudi 2020) è il racconto di questi ultimi mesi. Giordano ripercorre il viaggio, ancora in atto, del Covid-19, definendolo come “l’emergenza sanitaria più importante della nostra epoca”. Nelle pagine che compongono l’opera, il suo autore inserisce pensieri, riflessioni e variabili matematiche. Perché in fondo, a pensarci bene, i numeri contengono quelle informazioni di cui proprio non riusciamo a fare a meno, perché dicono cosa succede al di fuori della nostra porta, chi vive, chi muore. La matematica non è sempre accessibile a tutti eppure Giordano riesce a farne uno strumento informativo di attualità, un modo per raccontare, al contrario dell’immagine di complessità che abbiamo della matematica, un pezzo di storia umana in maniera semplice, con poche ed essenziali nozioni. Tre categorie umane sono tra i protagonisti principali: i Suscettibili, coloro che il virus potrebbe contagiare; gli Infetti, coloro che già sono contagiati; i Rimossi, coloro che non possono più essere contagiati. Ognuno di noi fa parte di almeno una di queste categorie, ognuno di noi si è ritrovato a fare i conti con una realtà non programmata, che aveva poco di reale, una realtà fatta di zone rosse e grigie e di bollettini pomeridiani; una “realtà non lineare”, scrive Giordano, che cambia frettolosamente contro ogni previsione.
Siamo davanti a qualcosa di più grande, che merita la nostra attenzione e il nostro rispetto. Che esige tutto il sacrificio e la responsabilità di cui siamo capaci.
Nelle pagine, la vita attuale si alterna con ricordi dell’autore, che mirano tuttavia a creare paragoni con la realtà di cui scrive: il compleanno con la malattia bocca-mani-piedi, con cui l’autore descrive il senso di isolamento che proviamo; il viaggio in montagna con gli amici interrotto per la neve, in cui aveva prevalso la prudenza, che l’autore invita ad acquisire come impegno nei confronti di se stessi e degli altri, per non mostrarsi deboli di fronte al bisogno di socialità che, si sa, è alla base del genere umano. Nella lettura ci si riconosce, le situazioni descritte sono simili a quelle che abbiamo vissuto ieri in farmacia o per strada, nel supermercato. Giordano pone noi tutti di fronte ad uno specchio e ci offre la possibilità di guardarci, di osservare i nostri cambiamenti per sopravvivenza, il nostro bisogno di avere un capro espiatorio, che ritroviamo nell’additare una donna giapponese in supermercato come colpevole dei fatti che stanno accadendo o nel giudicare la popolazione cinese come gente che si ciba di “animali orribili”. Ci ricorda che per quanto evoluti possiamo essere, la battaglia con la natura sarà comunque la più dura di tutte, perché il progresso non sempre è un punto a favore: il progresso ha fatto sì che avessimo automobili, mezzi pubblici, metropolitane; tutti canali che il virus ha utilizzato per diffondersi.
Nel contagio è dunque una raccolta di riflessioni, si è fatto spazio tra autocertificazioni, decreti e librerie chiuse. Ci ricorda del nostro bisogno di collettività, di sentirci parte delle cose intorno a noi, della società in cui ci muoviamo. Ci mostra come a volte anche le situazioni peggiori possono avere un lato positivo. Prendiamo ad esempio il tempo: non ne abbiamo mai avuto così tanto a nostra completa disposizione. Giordano invita alla riorganizzazione del nostro tempo affinché sia produttivo, con un valore, in cui possiamo effettivamente fermarci e riflettere su quello che siamo, su quello che abbiamo o che ci manca e su come essere migliori di quello che siamo. Dare un significato al tempo in casa e al tempo che si prospetta ancora dinanzi a noi, pieno di incertezze ma anche di voglia di ricominciare daccapo e magari in un modo del tutto diverso, se non migliore. Avviare dunque un processo di ricostruzione non solo esterno, che riguarda i luoghi in cui ci spostiamo, i rapporti con gli altri, il lavoro o il tempo libero, ma anche interno a noi stessi, che si faccia spazio tra quelle idee e opinioni che nel contagio abbiamo dovuto rivedere, e provochi un cambiamento. E in conclusione, proprio l’assenza di questo cambiamento è la cosa che di più spaventa l’autore, che scrive:
Ho paura dell’azzeramento, ma anche del suo contrario: che la paura passi invano, senza lasciarsi dietro un cambiamento.
“E se il virus ha inevitabilmente segnato un confine tra “prima” e “dopo”, è probabile che un azzeramento di ciò che era possa davvero condurre ad un cambiamento di ciò che sarà.