di Enrico Molle
In Clinamen-periodico di cultura umanistica – n. 1, pagg. 12-13,
Se c’è una cosa che distingue la letteratura, più precisamente la narrativa, dalle altre forme d’arte è la sua somiglianza al viaggio. Quando si prende in mano un libro e si legge la prima pagina, si inizia un viaggio, ci si immerge in un’avventura quasi completamente ignari di cosa ci aspetta e di quale sarà la meta. E uno dei viaggi più entusiasmanti, più avvincenti e più ricchi che si possa fare è Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas. Il capolavoro dello scrittore francese rappresenta infatti una pietra miliare del romanzo storico e d’avventura, ma più in generale della letteratura stessa, ponendosi come una tra le opere più sontuose e maggiormente curate di sempre. Leggere Il conte di Montecristo è qualcosa che ogni persona sulla terra, abituata o meno alla lettura, dovrebbe fare, poiché ti cambia profondamente e consente di rimodulare la visione stessa della vita aprendo numerose nuove prospettive. È abbastanza chiaro che leggerlo rappresenta tuttavia un vero e proprio atto di fede, uno dei più impegnativi di sempre tra lettore e scrittore, poiché ci si deve fidare reciprocamente per oltre mille pagine.
Ora, parlare della splendida parabola vitale di Edmond Dantès (protagonista principale del libro) per convincere voi lettori, qualora non lo avesse ancora fatto, a intraprendere questo immenso viaggio, sarebbe troppo facile e, se mi permettete, fin troppo banale. Quasi tutti conosciamo, un po’ per sentito dire, un po’ per aver visto alcuni riadattamenti cinematografici o televisivi, peraltro molto riduttivi, la storia de Il conte di Montecristo, dunque in questa sede voglio parlarvi di un personaggio nascosto di cui pochi sanno, di un romanzo nel romanzo, della storia del bandito romano Luigi Vampa, braccio destro di Montecristo in Italia.
Paragonate il parlare di questo personaggio come un prezioso consiglio di viaggio: immaginate che, prima di partire per un lunghissimo itinerario, qualcuno vi esorti, durante il tragitto, a fermarvi in un determinato punto e osservare con attenzione un posto magnifico. Questo posto magnifico è il capitolo 33 del romanzo di Dumas.
Partiamo dal presupposto che ne Il conte di Montecristo compaiono numerosi personaggi che si portano dietro un proprio comparto narrativo: per chi ha letto il romanzo o conosce la storia basterà pensare all’abate Faria, compagno di prigionia del giovane Dantès, o a Maximilian Morel e a suo padre, proprietari della nave di cui Dantès era capitano prima dell’arresto, caratteri dei quali vengono raccontati lunghi tratti di vita. Tuttavia la storia di Luigi Vampa emerge particolarmente rispetto ad altre, rappresentando quasi una novella a se stante all’interno del romanzo.
Siamo quindi nel capitolo 33 e due giovani francesi, Albert de Morcerf (figlio del Conte di Morcerf, uno dei cospiratori che tradirono Edmond Dantès) e l’amico Franz d’Epinay, si trovano in vacanza a Roma per il carnevale. Durante un dialogo con il loro albergatore, questi sconsiglia ai due rampolli di allontanarsi dalla città durante la sera per un giro in carrozza, a causa della pericolosità del famigerato Luigi Vampa e della sua banda di briganti. Viene così introdotta la figura di questo controverso personaggio che si intreccerà a più riprese con la storia di Montecristo e sarà fondamentale nell’articolatissimo quadro di vendetta del conte.
Il racconto inizia descrivendo Luigi Vampa come un orfano pastorello con «un’indole strana», ovvero una curiosità smisurata per la letteratura, tanto da riuscire, all’età di sette anni, a imparare a leggere e a scrivere in pochissimo tempo grazie all’aiuto di un curato della zona. Nelle pagine a seguire viene snocciolata l’emblematica storia di questo ragazzo dotato di un carattere forte e di un’arguta intelligenza che, nelle realtà pastorale dei borghi laziali di metà ottocento, non gli permette di avere amici, rendendolo ben presto temuto e rispettato da tutti, persino dai nobili per cui lavora. Contemporaneamente nella narrazione si staglia la figura di Teresa, anch’essa pastorella e orfana, poco più piccola di Lugi e di una bellezza tale da farle stare sin troppo stretto il suo ruolo sociale. I due si vedono ogni giorno quando portano a pascolare i rispettivi greggi, trovandosi a stretto contatto nella natura per anni. Quindi il contatto diventa amore ed ecco che la “novella” si completa con un elemento fondamentale per una sorta di mini romanzo di formazione in negativo, portando il protagonista a dover fare, per passione, alcune scelte coraggiose e azzardate, in verità senza troppe remore, frutto sì dell’incoscienza adolescenziale, ma soprattutto di una volontà ferrea, di un temperamento deciso, che portano l’interlocutore stesso a paragonarlo in un paio di occasioni ad Alessandro Magno.
Nelle vicende che conducono Lugi Vampa dal lavorare come pastore al diventare un brigante, si sentono gli echi di storie terribili sui fuorilegge, tutte verosimili come è plausibile per un romanzo storico, passando per la menzione di alcuni banditi realmente esistiti, ulteriore conferma di quanto l’autore, Alexandre Dumas, fosse follemente innamorato e un gran conoscitore dell’Italia in tutti i suoi aspetti.
Disseminato come uno dei numerosissimi indizi nella visione generale del romanzo, c’è spazio anche per un incontro tra Luigi Vampa e lo stesso conte nel giorno esatto in cui il ragazzo, in seguito ad un evento improvviso, si trova in poche ora a divenire il capo di un importante gruppo di briganti, incontro che peraltro risulterà essere fondamentale per l’attuazione del piano di vendetta ordito da Edmond Dantès.
Il tutto viene raccontato con un ritmo narrativo serrato, condito da suspense, che non lascia scampo al lettore lasciandolo senza fiato e trascinandolo a tal punto da non permettere di interromperlo se prima non si è conosciuta la fine. Ciò rende il capitolo 33 de Il conte di Montecristo, pur contando meno di trenta pagina, uno dei più interessanti di tutti, anche perché gli avvenimenti raccontati sono talmente coinvolgenti che, a distanza di anni dalla lettura, Luigi Vampa e la sua storia rimangono impressi nella mente in maniera precisa e limpida.
Siamo così dinanzi ad uno di quei luoghi nascosti della letteratura che non si possono conoscere se non viaggiando tra le pagine e a cui bisogna prestare la dovuta attenzione se capita di trovarsene a contatto. Per questo il mio invito non è solo quello di leggere Il conte di Montecristo, ma di farlo considerandolo come un immenso percorso pieno di mille posti bellissimi disseminati lungo il cammino.