Ruben Alfieri
Traduzione dal Francese all’Inglese: Paul Dourthe
(ENGLISH VERSION BELOW)
Nazanin Pouyandeh è un’artista iraniana, nata nel 1981 che vive e lavora nella periferia di Parigi. Si trasferisce all’età di diciotto anni, dopo l’assassinio del padre Mohammad-Ja’far Pouyandeh, scrittore, traduttore e difensore dei diritti umani, avvenuto in circostanze misteriose nel 1998. Si laurea nel 2005 all’ École nationale supérieure des beaux-arts di Parigi e consegue un master in arti visive nella stessa università. La sua carriera comincia nel 2008, con l’installazione di due laboratori, prima a Pantin, poi a Gentilly. Dal 2003 però espone in Francia e all’estero, generalmente in mostre collettive, a volte presentate nel genere del sotto-realismo. Alcuni dei suoi dipinti sono esposti in collezioni permanenti nel museo Frissiras di Atene, nel Ramin Salsali Museum di Dubai, nella Micheal Schultz Gallery di Berlino e nella Leila Heller Gallery di New York.
Tra i premi e i riconoscimenti ricevuti nel corso della sua carriera, si ricordano il Diploma onorario del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, nel 1995, e il premio Alphonse Cellier della Académie des Beaux-Arts di Parigi.
Tra i progetti più recenti, ha esposto nella Galerie Sator, a Parigi, per la Rezvan Project Production, “La vie sècrete de Mina”.
Durante una conferenza tenuta all’Ecole des Beaux-Arts di Grenoble l’anno scorso, Nazanin Pouyandeh
incontra una giovane artista di origine iraniana, specializzata in incisione, Saghi Parkhideh, capo della casa editrice Rezvan Projects. Lo scambio tra i due artisti è entusiasta e appassionato. Saghi Parkhideh propone quindi di realizzare una serie di incisioni, cosa che non aveva mai fatto prima.
Felice di riconnettersi con la gioventù artistica iraniana, il suo paese di origine che ha lasciato molti anni fa, Nazanin Pouyandeh si domanda sull’idea stessa di una scatola e su ciò che è nascosto alla vista. Questo pensiero di segretezza la porta alla scelta di un’opera specificamente erotica, una delle componenti del suo universo narrativo.
Le incisioni sarebbero state prodotte a Teheran ma non potevano essere mostrate o trasmesse, questo divieto ha contribuito al senso di rischio e di eccitazione che avrebbe significato l’opera. Nazanin Pouyandeh crea una giovane donna di nome Mina le cui fantasie sono contenute in questa scatola e nascoste alla vista. Mentre la esprime, la fantasia è inerente alla vita interiore di ognuno di noi. Il segreto è il prezzo da pagare per vivere in pace nella società.
In questa scatola, l’artista regala allo spettatore le fantasie non riconosciute di Mina.
Dopo aver vinto una borsa di studio in Francia, sentivi di scegliere tra gli studi di musica e quelli d’arte, provando alla fine l’esame di ammissione nella Scuola Nazionale di Belle Arti, nel 2000. Perché la musica? In che modo il tuo carattere era attratto da questa materia, e pensi che comunque la musica continui a ispirare il tuo lavoro?
Ad essere onesti, sono sempre stata istintivamente attratta dalla pittura. I miei genitori erano molto liberi e socialmente impegnati. Pensavano che la cultura fosse il mezzo migliore per raggiungere la libertà, soprattutto in un paese dittatoriale. Nonostante le difficili condizioni di vita (il contesto politico è solo un esempio assieme ai problemi economici e la guerra contro l’Iraq), diedero il loro meglio per mantenermi vicina al mondo dell’arte. Frequentavo lezioni di musica quando avevo nove anni e cominciai a suonare il violino. Quando dovettero scegliere la mia scuola secondaria, i miei genitori cercarono di evitare le scuole elementari perché il contesto strettamente religioso che le includeva li spaventava. Così mi iscrissero alla scuola pubblica di musica, che per le donne era una scelta possibile all’età di undici anni, mentre la scuola di arti plastiche poteva essere frequentata dall’età di quattordici anni, come liceo. Quindi, la scelta di seguire gli studi di musica per evitare la scuola pubblica della Repubblica Islamica è stata essenziale nella mia vita. Ho continuato a suonare il violino finché non ho conseguito la maturità.
Mio padre fu ucciso dai servizi segreti iraniani quando avevo diciassette anni. Di conseguenza ho lasciato l’Iran compiuti i diciotto grazie a una borsa di studio in Francia. Mio padre traduceva il francese… e mi era stata assegnata una borsa di studio di un anno per imparare la lingua. Nel caso fossi stata accettata in un’università prestigiosa, lo stato francese avrebbe pagato i miei studi. Con un diploma in musica ho cercato quindi di entrare nel conservatorio, ma senza fortuna. Ho cercato poi di entrare nelle Belle Arti di Parigi. Ebbi successo e la possibilità di cominciare a dipingere in modo professionale. Allo stesso modo mi sono chiesta se volessi davvero continuare a suonare il violino. Così mi sono resa conto che, nel settore della musica classica, il violino era il mio maestro. Il violino mi dava delle istruzioni e io le seguivo. Questa nozione del seguire le istruzioni e la mancanza di libertà era qualcosa che non mi piaceva più e inoltre non riuscivo a vedere nessuna opportunità per una carriera solida nella musica, mentre nella pittura, nonostante la goffaggine della mia giovinezza, mi sentivo più libera e reattiva. Potevo dominarla. Non so se la musica ispiri i miei dipinti, visto che fanno parte di due aspetti mentali differenti; comunque ascolto ancora musica mentre dipingo. Mi aiuta a concentrarmi.
Come il cambiamento culturale ha influenzato la tua vita e il tuo lavoro, se lo ha fatto?
Lo scambio culturale influenza la produzione artistica così come influenza l’intera personalità dell’essere umano. Siamo il riflesso di ciò che viviamo, quel che vediamo. Considero me stessa un mosaico di culture. Ho viaggiato in China, India, Tibet, Benin e ogni viaggio influenza la visione che ho della vita e il mio lavoro. Sono per indole curiosa di come l’uomo gestisca la propria esistenza e la vita di ogni giorno tra culture diverse. Siamo inoltre in un periodo culturale confuso, con la sparizione delle frontiere, la migrazione dovuta alle guerre, e questi cambiamenti ci trasportano in un mondo in cui l’identità culturale si sta avvicinando a una creolizzazione universale.
Come i tuoi studi, e, in particolare, le lezioni del pittore e scultore olandese Pat Andrea, ti hanno aiutato a definire la tua natura artistica? Ti sei sentita direzionata verso delle tecniche e temi precisi, o ti hanno aiutata a concepire un nuovo modo di disegnare e comunicare?
Pat Andrea è stato molto importante nel mio apprendimento. Sono entrata nelle Belle Arti presentando un dossier di collage presi da una rivista fotografica. Pat mi consigliò poi di trasformare i miei collage in pittura. La nozione del collage è ancora presente nel mio stile. Ero istintivamente portata a una pittura estremamente figurativa. L’essere umano è sempre stato materia al centro della mia attenzione. Pat non è mai intervenuto per consigliarmi dei temi o influenzare il mio stile. Mi ha lasciato molta libertà e continua a insegnarmi tecniche differenti per esprimermi nel miglior modo possibile.
Il nudo e l’erotismo sono spesso associati a espressioni di stupore, elementi di violenza e autolesionismo; simboli etnici e mitologici, e la rappresentazione di animali. Queste rappresentazioni e contrapposizioni sono solo una tecnica rappresentativa, hanno a che fare con un messaggio preciso che vuoi trasmettere o sono la comunicazione di una visione intima della nudità e dell’eros?
La nudità nei miei dipinti non è associata solo all’erotismo ma anche agli istinti primari dell’uomo, quali la sopravvivenza, la paura, il desiderio, la violenza… La nudità è anche uno stato naturale dell’uomo, senza i filtri della civilizzazione. Non c’è alcun messaggio esprimibile a parole perché la pittura è un linguaggio indipendente. L’inconscio collettivo, concetto sviluppato da Carl Gustav Jung, alcuni anni fa mi interessò molto. La sua teoria ritiene che gli uomini siano portati fin dalla nascita a essere influenzati da miti, leggende e simboli, secondo una particolarità genetica. Nel mio lavoro, gli uomini sono costantemente alla ricerca dei loro bisogni più primitivi e i miti li aiutano in questa avventura.
Nel tuo lavoro è prevalente l’universo femminile. Spesso è dipinta una donna nuda, a volte solo il seno. A volte è in gruppo e altre volte è complementare al nudo di una seconda donna, oppure contrapposta alla figura di un uomo. Qual è la chiave per cui questi elementi ruotano intorno alla figura femminile nei tuoi lavori?
Penso di rappresentare molte più donne che uomini perché io stessa sono una donna e costruisco su queste figure femminili la mia visione del mondo e le mie fantasie. Conosco meglio le donne perché lo sono anche io. I miei dipinti non hanno alcun pensiero politico. Sono uno spazio libero e richiedono una libera interpretazione.
Qual è il ruolo dello Shunga, o meglio, della pittura erotica giapponese nei tuoi dipinti?
Sono sempre stata affascinata dall’arte popolare e i suoi modi differenti di essere concepita nelle culture. Per me, una delle funzioni dell’arte è toccare direttamente le emozioni dello spettatore. “Les arts premiers” [1] hanno questa funzione. Prendendo in prestito alcuni elementi da questa forma d’arte per i miei dipinti (marionette, maschere, miniature, shunga) è come se pagassi un tributo a uno stile e una cultura che sfortunatamente sono state dimenticate per quella che noi chiamiamo “art savant” [1], aggiungendo anche il mio tocco personale.
Le informazioni sul tuo lavoro lo definiscono iper-realista o sub-realista. Riconosci il tuo stile in una di queste categorie?
Direi di non riconoscere il mio lavoro in uno stile preciso.
Di solito consideri lo spettatore durante un tuo disegno o dipinto, o ti limiti a un’espressione intima di te stessa?
L’artista è sempre incoscientemente cosciente e interagisce con lo spettatore. Altrimenti, se consegnasse le proprie visioni ed emozioni direttamente a se stesso, sarebbe come fare “Art Brut” [2].
Come pensi che il pubblico si confronti al tuo lavoro dentro e fuori una galleria? Ti capita mai di dare più spiegazioni del dovuto?
Lo spettatore è sempre libero di comunicare come vuole con quello che faccio. Le spiegazioni sono sempre molto intime e sincere.
Esiste una differenza tra l’espressione artistica e personale dell’eros, ed esiste invece una visione “pubblica” dell’erotismo, secondo te? Esistono ancora i taboo e le censure?, e ci sono ambienti in cui la censura è applicata di più o di meno, a livello sociale?
Ogni società è moralista a modo suo, con molteplici forme di censura e taboo. Certo, le nostre fantasie sono incoscientemente influenzate da ciò che è proibito. Il limite tra una rappresentazione intima dell’eros e una più comune è molto sottile. Gli uomini sono connessi alla loro storia e a quel che altri uomini hanno fatto prima di loro. Personalmente, mi sento molto libera nel mio lavoro e creo le immagini che preferisco.
La comunicazione digitale è un fenomeno che si è evoluto enormemente negli ultimi tempi. Pensi che divulgare l’arte attraverso questo canale ne comprometta la comprensione che si avrebbe tramite un altro canale, o la influenzi in qualche modo? La rappresentazione in digitale complica un altro modo di fare arte e di divulgazione?
L’arte è un linguaggio antico. È la cosa più unica e misteriosa che l’homo sapiens si è lasciato dietro. La tecnologia digitale, come ogni invenzione umana, ha accelerato in modo incontrollato la vita, rendendola più confortevole ma progredendo anche verso conseguenze distruttive. Il digitale ha contribuito alla globalizzazione che, poco a poco, arriva in ogni territorio. Ma è anche grazie al digitale se abbiamo accesso a diverse specie di fonti visuali. L’impatto di questo universalismo nell’arte visiva è innegabile.
[1] Les arts premiers (le arti primarie) è un’espressione coniata negli anni ’70 dal collezionista e commerciante d’arte Jacques Kerchache. Chiamata anche arte primitiva, è l’arte delle società tradizionali. Il termine si riferisce comunemente all’arte tradizionale delle culture non occidentali. Un noto museo in cui è possibile trovare tali manufatti è il Musée du Quai Branly, a Parigi.
Si definisce in genere art savant il gruppo di arti che richiedono una conoscenza specifica e approfondita in ambito accademico. La trasmissione è quindi scritta.
[2] Art Brut (oppure “arte grezza” o “spontanea”) indica le produzioni artistiche realizzate da non professionisti o pensionanti dell’ospedale psichiatrico che operano al di fuori delle norme estetiche convenzionali (autodidatti, psicotici, prigionieri, persone completamente prive di cultura artistica). Il termine è stato coniato dal pittore francese Jear Dubuffet nel 1945 per definire un tipo di arte senza pretese culturali e senza alcuna riflessione.
ENGLISH VERSION
Translation from French to English by Paul Dourthe
Nazanin Pouyandeh is an Iranian artist, born in 1981 who lives and works in the suburbs of Paris. She moved at the age of eighteen, after the murder of his father Mohammad-Ja’far Pouyandeh, writer, translator and defender of human rights, which took place in mysterious circumstances in 1998. He graduated in 2005 from the École nationale supérieure des beaux- arts of Paris and obtains a master’s degree in visual arts at the same university.
Her career began in 2008, with the installation of two laboratories, first in Pantin, then in Gentilly. Since 2003, however, she has exhibited in France and abroad, generally in group shows, sometimes presented in the genre of sub-realism. Some of her paintings are exhibited in permanent collections in the Frissiras museum in Athens, in the Ramin Salsali Museum in Dubai, in the Micheal Schultz Gallery in Berlin and in the Leila Heller Gallery in New York.
Among the prizes and awards received during her career, we recall the Honorary Diploma of the United Nations Fund for Population, in 1995, and the Alphonse Cellier Award of the Académie des Beaux-Arts in Paris.
Among her most recent projects, she exposed at the Galerie Sator, in Paris, for the Rezvan Project Production, “La vie sècrete de Mina”.
During a conference at the Ecole des Beaux-Arts in Grenoble last year, Nazanin Pouyandeh meets a young artist of Iranian origin, specialized in engraving, Saghi Parkhideh, head of Rezvan Projects publishing house. The exchange between the two artists is enthusiastic and passionate. Saghi Parkhideh therefore proposes to make a series of engravings, something she had never done before.
Happy to reconnect with the Iranian artistic youth, her home country she left many years ago, Nazanin Pouyandeh wonders about the very idea of a box and what is hidden from view. This thought of secrecy leads her to the choice of a specifically erotic work, one of the components of her narrative universe.
The engravings would have been produced in Tehran but could not be shown or transmitted, this prohibition contributed to the sense of risk and excitement that would have meant the work. Nazanin Pouyandeh creates a young woman named Mina whose fantasies are contained in this box and hidden from view. While expressing it, fantasy is inherent in the inner life of each of us. The secret is the price to pay for living in peace in society.
In this box, the artist gives the viewer the unrecognized fantasies of Mina.
After winning a scholarship in France, you felt you were choosing between music or art studies, and then you went to the National School of Fine Arts for the entrance exam in the 2000s. Why music?How was your artistic character attracted to this subject?
Do you think that music somehow continues to inspire your work?
To be fair, I have always been instinctively attracted to painting. My parents were very free and engaged, they have always thought that culture was a good way to reach freedom, especially in a dictatorial country.
Despite very difficult living conditions, (political context as well as financial difficulties and the war against Iraq), they always tried their best to keep me close to the world of art. I attended music lessons when I was 9 and started playing violin. When they had to choose a secondary school, my parents wanted to avoid sending me to a basic school as the religious context scared them. Then there was the public school of music as a choice that began for girls from the age of eleven while the school of plastic arts began at the age of fourteen, only from high school. Thus, the choice of music studies as an escape from the public school of the Islamic Republic has become essential in my life. I carried on playing violin until passing the bachelor’s degree.
My dad was murdered by the Iranian secret services when I was seventeen. As a consequence, I left Iran when I turned eighteen thanks to a scholarship from the French state. My dad was a French translator… and I was awarded a language learning scholarship for one year. In the case where I was accepted in a prestigious university, France has undertaken to pay for my studies.
With a music degree, I attempted to join the conservatory, without any luck. I therefore apply for “les Beaux Arts” of Paris. I was successful at the concourse and this is how I started painting professionally. I then was wondering if I really wanted to carry on with playing the violin. I then realised that in the domain of classical music, violin was my master. Violin was giving me instructions and I was just following them. This notion of following instructions and the lack of liberty was something I did not like anymore and I also couldn’t see any strong career opportunities in the music domain while with painting, despite of some clumsiness linked to my young age, I felt more reactive and free. I was dominating it.
I don’t know if the music inspires my painting as they are two very different mental aspects, however I still listen to music when I am painting, it helps me to focus.
How did cultural change affect your life and your work if it did?
Cultural change influences the artistic creation as it influences the whole personality of the human being. We are the reflection of what we live, what we see. I consider myself as a “patchwork” of culture. I travelled to China, India, Tibet, Benin and every travel impacts my vision of life and my painting. I am naturally very curious about how humans manage their existence and their everyday life among different cultures. We also are in a culturally confused era with the disappearing of frontiers, the migration due to wars and these changes make us live in a world where cultural identity is close to a universal creolization.
Your studies, and in particular attend the workshop of the dutch painter and sculptor Pat Andrea, how did he help define your artistic nature? Did you feel you are directed towards precise techniques and themes, or have the teachings made you conceive a new way of drawing and communicating?
Pat Andrea has been very important for me in the learning of painting. I actually entered “les Beaux Arts” thanks to some collage from a photo magazine. Pat advised me to transform these collages into actual painting. And the notion of collage is still relevant in my style. I instinctively went for a very figurative painting. Human being has always been my main preoccupation as subject. Pat never intervened in my subjects or in my way of painting. He left me a lot of freedom and still teaching me different techniques to express myself in the best way possible.
Nudes and eroticism are often associated with expressions of bewilderment, elements of violence and self-harm; ethnic and mythological symbols, and the representation of animals. These representations and justaxpositions are only a representative technique, have to do with a precise message that you want to convey or are they the communication of an intimate vision of nudity and eros?
Nudity in my painting is not only linked to eros but also to all the humans first instincts, survival, fear, desire, violence…Nudes is also our natural state, without civilisation filters. There is no direct message expressible with words because painting is an independent language. The collective unconscious, concept developed by Carl Gustav Jung, interested me a lot few years ago. It considers that myths, legends and symbols have as much influence on humans at their birth as genetic. In my work, humans are constantly seeking to face their most primitive needs and myths help them on this adventure.
In your work the female universe is prevalent. Often a naked woman is depicted, sometimes only the breast. Sometimes she is in a group and at other times she finds herself complementary to the nude of a second woman, or opposed to the figure of a man. What is the key to which these elements revolve around the female figure in your painting?
I think I paint more women than men because I am myself a woman and I project on these feminine figures my own vision of the world as well as my fantasies. I know women better as I am myself a woman. My painting does not include any political thinking. It is a free space but as well free to interpret.
What role does Shunga, or rather, Japanese erotic painting, play?
I have always been fascinated by the different form of representing the popular art through different cultures. For me, one of the functions of art is to impact directly on the spectator’s emotions. “Les arts premiers” [1] have this function. By borrowing elements of this art throughout the world in my painting (puppets, masks, miniatures, shunga) I pay tribute to this aspect of art, which is unfortunately often forgotten in what we call “l’art savant” [1], adding my personal touch as well.
Information about your work defines it as hyper-realist or sub-realist. Do you recognize your style in these categories?
I would say I am not in the idea of recognizing my painting in a particular style.
Do you always consider a spectator during a drawing or painting or do you limit yourself to an intimate expression of yourself?
The artist is often unconsciously conscious and in interaction with the spectator. Otherwise, he makes “brut art” [2] if it is only to deliver their own emotions and visions to himself.
How do you think the public relates to your work inside and outside a gallery? Do you ever give more explanations than you should?
The spectator is always free to communicate how he wants with what I make. My explanations are always very sincere and intimate.
Is there a difference between the artistic expression
and the personal expression of eros, and does a “public” view of eroticism
exist, in your opinion?
Does the taboo and censorship still exist, in your opinion? And does an
environment exist in which censorship is applied more or less than in other
environments, on a social level?
The different human societies have always been moralizers with multiple forms of censor and taboo. Of course, our fantasies are unconsciously influenced by these forbidden things. The limit between an intimate representation of eros and a more common one is very tiny. Humans are linked to their history and to what other humans did before them. Personally, I feel very free in my work and create the images I want.
Digital communication is a phenomenon that has developed widely in recent times. Do you think there is a difference in understanding the art compared to the other channels? Do you think digital limits its understanding in any way? Does it have influences on another way of making art and spreading it?
Art is a very ancient language that comes from prehistory era. It is the most unique and mysterious thing that homo sapiens left behind. Digital technology, as every human’s invention, accelerate in an uncontrolled way thing in human’s lives including comfort progress but also some progress with destructive consequences. Digital technology contributes to universal globalization which, little by little arrives in every domain. But it is also thanks to digital that we have access to different sort of visual sources
.The impact of this universalism on visual arts is undeniable.
[1] Les arts premiers (primary arts) is an expression coined in the 1970s by art collector and trader Jacques Kerchache. Also called primitive art, it is the art of traditional societies. The term commonly refers to the traditional art of non-occidental cultures. A well-known museum where these artifacts can be found is the Musée du Quai Branly, in Paris.
The group of arts that require specific and in-depth knowledge in the academic field is generally defined as art savant. The transmission is therefore written.
[2] Art Brut (or “raw art” or “spontaneous”) indicates the artistic productions made by non-professionals or pensioners of the psychiatric hospital who operate outside the conventional aesthetic norms (self-taught, psychotic, prisoners, people completely devoid of artistic culture). The term was coined by the French painter Jear Dubuffet in 1945 to define a type of art without cultural pretensions and without any reflection.