Umberto Saba a Trieste nel 1953 (Credits: Mondadori Portfolio)
di Lucia Vitale
Tutti i rapporti tra gli esseri umani possono subire delle metamorfosi nel corso del tempo. Queste metamorfosi possono portare alla separazione di una coppia di fidanzati, ormai in piedi per pura inerzia o al riavvicinamento di due amici di vecchia data, avvenuto in seguito ad un incontro casuale.
In questo articolo, si parlerà della metamorfosi che riguarda il legame padre-figlio. Vi siete mai ritrovati ad analizzare il rapporto con vostro padre? Penso che tutti, chi più chi meno, abbiano vissuto scontri e rappacificamenti con la figura paterna, soprattutto in età adolescenziale.
Questo tema ha trovato ampio spazio nella letteratura di tutti i tempi, ma in modo particolare a partire dagli sviluppi degli studi psicoanalitici di Freud.
A tal proposito, vorrei proporre il componimento Mio padre è stato per me “l’assassino” di Umberto Saba, uno dei poeti italiani che nei primi del Novecento ha risentito maggiormente degli influssi della scienza freudiana.
Il sonetto occupa la terza posizione della sezione del Canzoniere sabiano, Autobiografia, composta nell’anno 1924, il cui titolo allude chiaramente all’influenza che la vita del poeta ha esercitato sulle sue opere. Mio padre è stato per me “l’assassino” è la testimonianza del rapporto travagliato che Umberto Saba ebbe con suo padre Ugo Edoardo Poli.
Il sonetto recita così:
Mio padre è stato per me “l’assassino”,
fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
Allora ho visto ch’egli era un bambino,
e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
Andò sempre pel mondo pellegrino;
più d’una donna l’ha amato e pasciuto.
Egli era gaio e leggero; mia madre
tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
“Non somigliare – ammoniva – a tuo padre”:
ed io più tardi in me stesso lo intesi:
Eran due razze in antica tenzone.
Due quartine e due terzine raccontano con parole dolci e toccanti le vicissitudini legate all’infanzia del poeta, caratterizzata dall’assenza di una figura paterna, e la metamorfosi del legame padre-figlio, avvenuta quando egli ha vent’anni.
L’immagine dell’assassino (‘mascalzone’ nel linguaggio popolare triestino) si contrappone, nella prima strofa, a quella del bambino. Il figlio riconosce la fragilità del padre. Il rapporto muta, quindi, nel momento in cui il figlio inizia a vedere il padre come una persona anch’essa caratterizzata da debolezze e difetti.
Saba si accorge, inoltre, di somigliargli e, in un certo senso, gli è grato per aver ereditato da lui il dono della scrittura.
Nella seconda strofa, il figlio fa un piccolo ritratto del padre. Occhi azzurri, proprio come lui. Un lieve sorriso, che rimanda al suo essere dolce e furbo al tempo stesso. Una perenne irrequietudine che lo spinge a vivere da nomade e un fascino da latin lover.
Proprio il suo animo irrequieto comporta l’abbandono della fidanzata incinta Rachele Cohen. Gli attributi affibbiatigli sono gaio e leggero. Il padre appare, nella terza strofa, come un ragazzo spensierato, che rifiuta il peso delle proprie responsabilità.
Nonostante i suoi errori e le sue colpe, il figlio riesce quasi a perdonarlo perché comprende che la relazione sentimentale tra il padre e la madre era destinata a fallire: i due erano troppo diversi per poter andare d’accordo o come Saba afferma eran due razze in antica tenzone.
L’ultima strofa si ricongiunge in un certo senso alla prima. Entrambe mettono in luce la metamorfosi avvenuta nella mente e, in maniera più concreta, all’interno del rapporto tra il poeta e suo padre.
Mio padre è stato per me “l’assassino” è l’esempio tangibile di come la letteratura racconti la vita e Saba lo fa servendosi di un linguaggio poetico essenziale ed efficace.
Gli esseri umani sono unici, eppure i rapporti interpersonali possono avere delle similitudini. Ecco perché la testimonianza del poeta e della letteratura in generale può fornire degli spunti di riflessione ad ognuno di noi.