di Antonio Stanca
Luca Ongaro è nato a Firenze nel 1957, ha sessantacinque anni e molte cose ha fatto prima di mettersi a scrivere romanzi gialli. È stato agronomo, informatico, ha molto viaggiato, ha insegnato all’Università ed infine ha pensato di dedicarsi alla narrativa di genere poliziesco e di fare del commissario Francesco Campani uno degli interpreti principali.
È lui il protagonista, l’eroe di molti suoi romanzi compreso quest’ultimo, Un’altra storia, uscito di recente in un’edizione speciale allegata al Corriere dello Sport-Stadio e Tuttosport. È il terzo della serie Brividi d’Estate.
Stavolta l’ambientazione è insolita perché riguarda la parte settentrionale dell’altopiano etiopico che ai tempi della narrazione era divisa tra la regione del Tigray e quella dell’Eritrea. In Eritrea, allora colonia italiana, si svolgono i fatti narrati dall’Ongaro. Da qui è partito e qui è tornato Campani dopo essere stato a Firenze per studiare. Dopo la laurea in Giurisprudenza e dopo la rinuncia ad altri impieghi, aveva optato per le forze dell’ordine ed era diventato il commissario di polizia di Macallé, capitale dell’Eritrea meridionale. Avrebbe abitato nel vicino paese di Wukro, nella casa che gli era stata preparata dai nonni dopo l’improvvisa e tragica scomparsa dei genitori. Insieme alla casa, anche se separato, era stato creato dalla famiglia l’Albergo Fiesole che rappresentava una cospicua fonte di guadagno e che veniva gestito da Salvatore e dalla moglie Kakeb, coetanei di Francesco, della cui famiglia avevano fatto parte fin dalla nascita.
L’Eritrea, insieme alle altre colonie italiane dell’Africa, era passata dal regime militare all’amministrazione civile. Molti erano, però, i fermenti di carattere sovversivo, indipendentista favoriti dalla vicina Etiopia che era sotto la dominazione inglese. Anche i rapporti tra l’Eritrea e l’Italia erano spesso oggetto di accesa discussione negli ambienti colti della colonia.
Erano tanti i provvedimenti che non si accettavano, tante le proteste contro il governo centrale. Piuttosto difficile riusciva, inoltre, l’applicazione della giustizia, l’azione della polizia perché vecchi proprietari, ricchi capi d’azienda, avevano continuato a comportarsi come ai tempi del loro insediamento, commettendo, cioè, soprusi e angherie di ogni genere.
Non in un posto tranquillo era andato a finire il commissario Campani, non di un caso facile era stato incaricato la prima volta: un omicidio avvenuto cinquanta anni prima e del quale non si conosceva il nome della vittima né il movente. Ci si era dimenticati anche presso gli uffici di polizia. Molte saranno le difficoltà, tanti i pericoli ai quali Campani andrà incontro nella sua indagine.
Non lo faranno desistere, però, non lo faranno rinunciare a procedere, a cercare. In tanti posti, presso tante persone lo porterà il suo bisogno di verità, di giustizia. Lontano giungerà in un’Africa quasi completamente deserta, tra strade impraticabili e villaggi disabitati.
Sarà lui a riannodare i fili di una vicenda che tante volte si erano spezzati ed erano andati perduti, erano diventati invisibili, erano stati dimenticati. I loro segni, le loro tracce erano quasi scomparse ma il commissario, aiutato da una eccezionale capacità di intuito, di supposizione, di collegamento, riuscirà a ritrovarle, a collegarle.
Le porterà alla luce e giungerà ai colpevoli, ai loro moventi, al nome della vittima che non era stata una sola, la giovane e bella Federica Manfredi, ma anche un’altra, il ragazzo Hagos, che come lei era del posto e l’aveva aiutata nella pericolosa impresa che voleva compiere, quella di accusare un ricco e potente imprenditore agricolo di aver deviato per i propri interessi il corso d’acqua necessario alla vita di un villaggio provocando l’abbandono di questo da parte dei suoi abitanti. Aveva ucciso la giovane e il ragazzo quell’imprenditore ed aveva messo a tacere ogni sospetto al punto che non se ne parlava più.
Tutto questo aveva scoperto Campani, tutto questo aveva assicurato alla giustizia, un’impresa eroica era stata la sua, l’aveva condotta con pochi aiuti poiché tanta era la paura che in quei posti si aveva dei ricchi, dei potenti. Quasi da solo si era mosso e famosa era diventata la sua figura, la sua capacità.
Anche l’amore aveva scoperto durante quell’esperienza, sarebbe stato per Emma, la giovane responsabile dell’Istituto Agricolo Coloniale. Bella, affascinante gli era stata vicina e aveva finalmente rotto i suoi indugi di eterno scapolo. Insieme li fa vedere lo scrittore, tante volte combina il loro rapporto con le indagini che lui sta conducendo, le loro visite a remote chiese rupestri con momenti di affetto, d’intimità.
Molto fa rientrare Ongaro nel romanzo. Sa distribuirlo, costruirlo, farlo scorrere. Per essere arrivato alla scrittura con un certo ritardo c’è da ammirarlo!