Ruben Alfieri
Raccomandazione al gentile lettore:
Se sei un serial killer dello spoiler e non hai ancora letto Dieci piccoli indiani e Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie, e ti va di leggerli, per ora sarebbe meglio non proseguire con quest’articolo, oppure saltare il secondo paragrafo. Se invece non hai letto comunque questi due titoli e non te ne frega niente e ti va giusto di leggere un articolo sul romanzo giallo, allora sei libero di bighellonare tra i capoversi senza troppe pretese, come l’autore quando ha trattato la materia in questione.
Il poliziesco è sicuramente uno dei generi più di successo della storia letteraria. Dal primo filone inglese, cominciato da Arthur Conan Doyle col suo Sherlock Holmes (da cui anche “modello Holmes”), che esordisce nel 1887 nel romanzo Uno studio in rosso, si rileva l’epoca classica del genere, che superato l’ottocento influenzerà e darà la fama a nuovi autori che ne opereranno dei cambiamenti fino a svilupparne delle nuove categorie.
Ma andiamo per tappe.
Il precursore del genere
Chi possiede spiccate facoltà analitiche raccoglie nel silenzio una grande massa di osservazioni e di deduzioni. Può essere che i suoi compagni di gioco facciano lo stesso, ma la differenza sta non tanto nella validità della deduzione, quanto nella qualità dell’osservazione.”
(Edgar Allan Poe, I delitti della Rue Morgue, 1841)
L’autore a cui è tradizionalmente conferita la paternità del genere è Edgar Allan Poe, con I delitti della Rue Morgue, in cui compare per la prima volta la figura dell’investigatore brillante: in questo caso Auguste Dupin, un parigino dall’acume straordinario, capace di risolvere misteri criminosi soltanto leggendo i fatti di cronaca, e che in questa avventura si incarica di venire a capo del brutale omicidio di due donne nello stesso appartamento. Nell’episodio si descrive per la prima volta il caso della “camera chiusa”, un omicidio avvenuto in una stanza apparentemente isolata e chiusa dall’interno. Il mistero si infittisce quando i testimoni dichiarano di aver sentito un linguaggio incomprensibile e l’investigatore ritrova dei peli che sembrano non appartenere a un essere umano.
Le dinamiche della storia non rappresentano propriamente quelle del genere che si sarebbe creato alcuni anni dopo dalla penna di Arthur Conan Doyle, poiché la spiegazione del caso della Rue Morgue si fermerà all’identificazione del colpevole, privo di movente e mosso da un impulso irrazionale, tema ricorrente nella letteratura di Allan Poe. Il racconto presenta comunque alcuni elementi destinati a divenire convenzioni nel periodo classico del poliziesco, che oltre a Sherlock Holmes include le storie di Hercule Poirot della famosa Agatha Christie: il detective brillante accompagnato da un amico fedele che fa da narratore delle sue imprese, e la rivelazione finale presentata prima delle ragioni che l’hanno condotta. Ad Auguste Dupin è stata conferita la Legion D’onore ed è quindi stato dichiarato Chevelier; è appassionato di enigmi e geroglifici, e conosce il prefetto della polizia “G.” che appare nelle due storie seguenti scritte da Allan Poe, quali Il mistero di Marie Roget e La lettera rubata. Come lui, gli investigatori dell’epoca classica sono benestanti, oppure aristocratici, che indagano per vanità intellettuale; quindi senza contare su un ritorno personale se non quello di dimostrare a se stessi le proprie capacità di intuizione. Essi non si battono per il rispetto della legge ma per l’aspirazione alla verità. Gli ambienti in cui avvengono i delitti rappresentano il contesto sociale a cui appartengono e sono infatti luoghi altolocati e raffinati.
Alcune caratteristiche della detective fiction sono state ritrovate però all’interno di racconti precedenti al personaggio di Dupin. Elementi relativi al genere vengono attribuiti arditamente all’ Edipo Re di Sofocle e nel 1557 viene pubblicato a Venezia Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo. Una traduzione di Cristoforo Armeno di un testo in persiano; racconto che presenta alcuni elementi tipici del poliziesco e che ispirò Voltaire per Il cane e il cavallo, contenuto in Zadig del 1748. Si riconducono alla stessa categoria, inoltre, elementi presenti in Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij e in Casa desolata e Il mistero di Edwin Drood, di Charles Dickens, rispettivamente del 1853 e del 1870.
Al di là della letteratura occidentale si trova invece un’antica tradizione di detective stories cinese che comprende i romanzi Bao Gong’ an e Di Gong’ an. Chiamata anche Gong’ an fiction è un sottogenere del poliziesco cinese che vede dei magistrati impegnati nel risolvere casi criminali. Di origini molto antiche e tramandate oralmente o attraverso rappresentazioni di marionette, le storie vennero poi trasposte a teatro e infine trascritte, formando una vera e propria raccolta di romanzi tra il XVI e XVII secolo. Divennero molto popolari ai tempi delle dinastie Ming e Qing e avevano come protagonisti personaggi storici realmente esistiti. I Bao gong’an sono ad esempio ispirati al magistrato Bao Zheng, personaggio pubblico vissuto durante l’impero di Song Rezong, della dinastia Song, tra il 1022 e il 1063.
L’età dell’oro del giallo classico. Le regole del gioco e i bari.
La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dall’inizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole e che, se fosse stato acuto come il poliziotto, avrebbe potuto risolvere il mistero da sé, senza leggere il libro sino alla fine. Il che – inutile dirlo – capita spesso al lettore ricco d’istruzione.”
(S.S. Van Dine, Venti regole per scrivere un poliziesco. Punto n.15)
Per “giallo classico” o “giallo deduttivo” si intende perlopiù una detective story in cui un investigatore indaga sulle circostanze misteriose di un delitto all’interno di un ambiente chiuso nel quale sono sospettate un numero limitato di persone. Il termine giallo deduttivo o whodunnit, in inglese, si riferisce alla sfida tra scrittore e lettore nelle storie del “periodo d’oro”, in cui l’ultimo era invitato a concludere il mistero prima dell’investigatore. La funzione del narratore nel giallo classico è infatti quella di sviare il lettore in valutazioni errate, poiché la storia è solitamente raccontata da un testimone che non riesce a seguire i percorsi logici e deduttivi dell’investigatore. Al fine di garantire una sfida pulita col lettore, uno dei più famosi scrittori di gialli, S. S. Van Dine, pseudonimo di Willard Huntington Wright, in un articolo del 1928 su The American Magazine intitolato Twenty Rules for Writing Detective Stories, al galoppo del suo successo, stila una serie di principi su cui la stesura di un buon romanzo giallo dovrebbe basarsi.
In un genere di successo come questo è però difficile imporre delle regole, poiché il grande numero di scrittori che si sono cimentati hanno innovato e influenzato in breve tempo, ognuno con il proprio stile, le sue caratteristiche; seppur le venti regole di Van Dine possano essere una buona base da cui partire.
Un’autrice che in particolare non apprezzava le regole per le sue storie è la soprannominata “regina del crimine” Agatha Christie, che in genere seguiva un modus operandi classico, ma curava maggiormente gli aspetti narrativi del romanzo e amava i colpi di scena.
Né il detective protagonista, né qualsiasi altro investigatore coinvolto devono risultare colpevoli. Sarebbe un gioco sporco, come offrire a qualcuno una moneta da un centesimo spacciandola per un pezzo da cinque dollari.”
(S.S. Van Dine, Venti regole per scrivere un poliziesco. Punto n.4)
Il colpevole deve essere scovato attraverso deduzioni logiche, non per caso o coincidenza o confessioni immotivate. Risolvere un problema criminale in questo modo equivale a indirizzare deliberatamente il lettore su una falsa pista, per poi dirgli che l’oggetto della vostra ricerca è sempre rimasto nascosto nelle vostre maniche. Un autore del genere è poco più di un buffone.”
(S.S. Van Dine, Venti regole per scrivere un poliziesco. Punto n.5)
Ci deve essere un solo investigatore, un solo deus ex machina dell’indagine. Aggiungere le menti di tre, quattro o addirittura di una banda di detective non solo porta alla dispersione dell’interesse e alla rottura del filo logico, ma fornisce all’autore un ingiusto vantaggio sul lettore. Se c’è più di un investigatore, il lettore non è più in grado di distinguere chi sia il suo avversario. Finisce per correre da solo contro una squadra di staffettisti.”
(S.S. Van Dine, Venti regole per scrivere un poliziesco. Punto n.9)
Il colpevole deve essere una persona che ha giocato un ruolo più o meno significativo nella vicenda; ovvero, una persona che è diventata familiare al lettore, per la quale egli ha provato dell’interesse.”
(S.S. Van Dine, Venti regole per scrivere un poliziesco. Punto n.10)
Ci deve essere un solo colpevole, al di là del numero di delitti commessi. Il criminale può avere, ovviamente, complici o aiutanti, ma l’intera indignazione del lettore deve ricadere su una sola anima nera.”
(S.S. Van Dine, Venti regole per scrivere un poliziesco. Punto n.12)
Leggi le venti regole per scrivere romanzi polizieschi di S.S. Van Dine
Indifferente alle consuetudini del poliziesco tradizionale, i colpevoli di Agatha Christie comprendono bambini, poliziotti, individui già defunti o addirittura i narratori. A volte non comprendono nemmeno i sospetti noti, come in Dieci piccoli indiani o, come nel caso di Assassinio sull’Orient Express, includono tutti i sospettati.
In Dieci piccoli indiani le convenzioni del romanzo giallo vengono completamente stravolte. I sospettati sono loro stessi gli investigatori e loro stessi le vittime, facendo cascare il lettore nella trappola in cui crede di gareggiare direttamente contro l’assassino, quando in verità non può fare altro che assistere al susseguirsi degli eventi, aspettando il risvolto finale. Il romanzo secondo l’autrice era comunque retto da una logica ferrea, come spiega nella sua autobiografia La mia vita (1997), per cui il lettore avrebbe dovuto raccogliere autonomamente gli indizi e giungere a una conclusione. Ma, per non rischiare forse di accattivarsi l’antipatia del pubblico, e visto il suo già citato gusto per la narrazione avvincente, alla fine del romanzo l’autrice inserisce un epilogo in cui l’assassino confessa le proprie azioni e il suo movente, poiché “nessun artista può sentirsi pienamente appagato soltanto dalla sua arte. Esiste anche un insopprimibile quanto naturale desiderio di cercare il riconoscimento degli altri”; queste le parole dell’assassino, che forse rispecchiano il pensiero della Christie sulla propria opera.
Il secondo grande stravolgimento del giallo tradizionale, a cui si deve anche il grande successo del romanzo, è Assassinio sull’Orient Express, in cui l’eccentrico Hercule Poirot si ritrova in treno durante la tratta Istanbul-Calais, con dodici indiziati di omicidio intorno al corpo di Samuel Edward Ratchett, un ricco commerciante d’arte americano, dietro al quale si cela il latitante italiano Cassetti, colpevole di aver rapito molti anni prima la figlia del colonnello Armstrong e di averla uccisa nonostante avesse ottenuto il riscatto.
La prima ipotesi del caso è che, viste le diverse lettere minatorie che Ratchett riceveva, il colpevole fosse un nemico segreto della vittima, che con diversi sotterfugi è riuscito a penetrare nella sua cabina durante una fermata del treno e lo avesse ucciso sparpagliando gli indizi e fuggendo prima che il treno ripartisse. Presto però tutti gli indiziati si scopriranno essere stati stretti conoscitori della famiglia Armstrong e di aver assistito alla sua rovina a causa della mancanza di giustizia nei confronti del criminale, riuscito a scampare all’accusa grazie alle sue conoscenze e ai suoi soldi. Le dodici coltellate rinvenute sul corpo della vittima appartengono infatti a tutti i sospettati, che avevano pianificato il viaggio e si erano creati una parte (o un alibi creativo) per ritrovarsi nello stesso treno del latitante. Persino il cameriere di Cassetti, che tra i personaggi del giallo tradizionale sarebbe il colpevole più scontato, fa parte della congiura, il quale precedentemente era stato maggiordomo della famiglia Armstrong.
Anche in questo caso la trasgressione delle regole è giustificata da un’avvincente soluzione narrativa. L’autrice porta il lettore a simpatizzare per gli assassini, identificando “l’anima nera” della storia nella vittima, la cui morte è più che altro la conseguenza umana del pareggiare i conti; il perseguimento dell’indole radicale alla giustizia; la suppurazione del male causata da un torto troppo grande. È tale forse il riconoscimento che lo stesso detective riserva al caso, di cui, una volta scoperta la verità e aver adempiuto quindi al suo compito, non consegnerà i fatti alla giustizia ufficiale, dichiarando all’attenzione dei congiurati di lasciare la responsabilità dell’incarico a chi è d’ufficio.
“‘La società lo aveva moralmente condannato: noi non facevamo che eseguire la sentenza. […] La meravigliosa voce della grande attrice echeggiava nell’affollato vagone: voce profonda, commovente che aveva scosso tanti cuori nei teatri di New York.
Poirot guardò il suo amico.
‘Bouc, lei è uno degli Amministratori della Compagnia. Che cosa ne dice?’
Bouc si schiarì la gola.
‘Secondo me, mio caro Poirot, la prima ipotesi da lei fatta sul modo in cui è stato commesso il delitto è la giusta. Proprio così, e proporrei che fosse appunto questa la soluzione del problema che daremo alla polizia jugoslava quando arriverà. È d’accordo con me, dottore?’
‘Senza dubbio!’ si affrettò a rispondere il dottor Constantine. ‘Quanto poi al referto medico, mi sembra… uhm!… mi sembra di aver detto cose non proprio esatte.’
‘E allora’ concluse Poirot, ‘poiché ho prospettato la vera soluzione del problema, e cioè la prima, ho l’onore di ritirarmi. Il mio compito è terminato.’”
Lo sviluppo narrativo del giallo: hard-boiled, noir e altri autori ribelli
La diffusione del romanzo poliziesco ha fatto nascere presto nuovi autori anche al di fuori dell’Inghilterra, i quali hanno preferito adattare il genere a qualcosa che consideravano più vicino all’ambiente in cui vivevano, al pubblico a cui si rivolgevano e soprattutto alla propria indole narrativa.
La stessa definizione di “giallo”, a cui l’Italia è tanto affezionata, non è apportata nel resto delle librerie del mondo: in Francia, ad esempio, si parla di roman policier o polar; i tedeschi lo chiamano kriminalroman, abbreviato anche in krimi. Per gli spagnoli si tratta di novela negra o di novela policíaca, mentre, per gli inglesi, detective fiction o mystery story, oppure detective story o detective novel (termine usato anche in tedesco, detektivroman), oppure di crime o crime story. Sulla stessa linea si muovono le lingue slave, che li chiamano detectivnij roman, in russo (o magari roman tain, che vuol dire romanzo-mistero) oppure cernà knihovna, che in ceco vuol dire invece biblioteca nera, dal nome di una collana; detektivski roman, in sloveno, oppure in polacco kriminal o powiesc sensacjna (storia a sensazione).
Anche l’accezione italiana di giallo deriva dal nome di una collana elaborata nel 1929 da Lorenzo Montano per Arnoldo Mondadori, che per scopi di marketing sviluppò l’idea di colorare di giallo le copertine. Il genere nel periodo fascista è stato oggetto di diverse censure, perché il regime si preoccupava che l’opinione pubblica parlasse il meno possibile di delitti e violenze, per dare l’idea che l’Italia fosse un paese sotto controllo. Le censure operate sulla stampa per limitare la diffusione di notizie di cronaca nera si espandono anche in letteratura e viene imposto che i romanzi gialli di autori italiani non dovessero essere ambientati in Italia, né i colpevoli dovevano essere italiani (ricordate il criminale Cassetti in Assassinio sull’Orient Express? Nell’edizione del 1935, oltre a ulteriori tagli che ne sconvolsero la trama, il criminale venne ribattezzato “O’Hara”, di origini irlandesi). Con l’avvento delle leggi razziali, le preferenze del regime riguardo al colpevole ideale erano l’ebreo o l’uomo di colore. Pur di pubblicare, autori come De Angelis e Scerbanenco dovettero ambientare le loro storie in improbabili città americane, ma nonostante questo, il giallo si era ormai aperto la strada nella letteratura di consumo e il suo successo non riuscì a essere limitato. Finché, durante la guerra, nel 1941, tre sedicenni tentano una rapina in un ristorante in cui una cameriera rimane uccisa, e dopo aver confessato di aver preso spunto da uno dei famigerati romanzi gialli, il regime impone la chiusura della collana e il sequestro di ognuno di questi libri, considerati pericolosi per l’equilibrio sociale.
Cosa importa dove si giace quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in un mausoleo di marmo alla sommità di una collina? Si è morti, si dorme il grande sonno e ce ne si fotte di certe miserie. L’acqua putrida e il petrolio sono come il vento e l’aria per noi. Si dorme il grande sonno senza preoccuparsi di essere morti male, di essere caduti nel letame. Quanto a me, ne condividevo una parte pure io, di quel letame, ora.”
(Raymond Chandler, Il grande sonno)
Mettendo da parte gli adattamenti estremi e le loro conseguenze, durante il Novecento si assiste all’apertura di nuovi generi che si discostano dalla funzione consolatoria e ottimistica del modello inglese. Ne è un esempio il genere hard boiled americano, sviluppatosi a cavallo del proibizionismo, tra gli anni ’20 e ’30 e che assiste all’ascesa della criminalità organizzata di Al Capone. Il tema del crimine, descritto in maniera decisamente più cruda, incontra i temi della violenza e del sesso. La carriera editoriale del genere si deve alle riviste pulp, come la più famosa Black Mask, dopodiché, molti romanzi hard boiled vennero pubblicate da case editrici specializzate in edizioni brossurate, note con il termine pulps. Il termine pulp fiction e infatti usato come sinonimo di hard boiled. Uno degli autori più rappresentativi del genere pulp è sicuramente Raymond Chandler, originario di Chicago e che dopo aver vissuto tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, e aver combattuto in Francia con l’esercito canadese, una serie di vicissitudini che gli causarono una crisi economica ed esistenziale lo portarono, a quarantacinque anni, a scrivere racconti pulp sulla rivista Black Mask, finché nel 1939 non pubblicò il suo primo romanzo, Il grande sonno, il cui protagonista è l’investigatore Philip Marlowe.
L’autore è rilevante in questa fase di sviluppo del poliziesco perché la rottura col giallo classico non avviene solo implicitamente, attraverso il racconto, ma è resa esplicita nel saggio scritto nel 1944 e intitolato La semplice arte del delitto, per la rivista The Atlantic Monthly di Boston. Lo scopo del saggio è di dare una nuova idea sulla costruzione di un romanzo giallo e quindi un nuovo significato e funzione all’interno della letteratura, quasi per divincolarsi dalle norme che lo avevano reso un genere di consumo. Chandler è infatti molto critico verso il poliziesco degli anni venti e trenta e non manca di citare le opere di Agatha Christie e S.S. Van Dine. La rivoluzione potrebbe partire dalla considerazione dell’investigatore e dall’emancipazione dai caratteri che gli autori dell’epoca classica solevano conferirgli:
“[L’investigatore] è un uomo relativamente povero, o non sarebbe proprio un detective. È un uomo comune o non girerebbe tra le persone comuni. Lui sa come comportarsi, o non conoscerebbe il suo lavoro. Non prenderebbe mai i soldi di un altro uomo in modo disonesto né accetterebbe l’insolenza di qualcuno senza una vendetta dovuta e spassionata. È un uomo solo e il suo orgoglio è essere trattato come un uomo orgoglioso oppure ti dispiacerai presto di averlo incontrato. Parla come un uomo della sua età – cioè, con aria maleducata, un vivace senso del grottesco, un disgusto per la vergogna e un disprezzo per la meschinità.
La storia è l’avventura di un uomo in cerca di una verità nascosta, e non ci sarebbe nessuna avventura se un uomo non fosse portato per l’avventura. Ha un tipo di consapevolezza sorprendente, ma gli appartiene di diritto perché appartiene al mondo in cui vive. Se ci fossero abbastanza persone come lui, il mondo sarebbe un posto molto sicuro in cui vivere, senza essere troppo noioso per cui non varrebbe più la pena viverci.”
(Raymond Chandler, La semplice arte del delitto)
Questo sfondamento del genere influenzerà tutta l’Europa, passando dall’Italia per la penna del già citato Giorgio Scerbanenco, che darà un esempio del noir italiano, parlando del paese degli anni ’60 in un’ottica molto amara, sfatando il mito della floridezza concessa dal boom economico di quegli anni.
Il poliziesco, attraverso l’hard boiled, incontrerà temi sempre più concernenti la prevaricazione del potere. Il noir, che ne è un sottogenere, avrà come protagonisti personaggi autodistruttivi, vittime – e non investigatori –, sospettati o esecutori, che si lasciano inesorabilmente sopraffare dagli eventi e che oltre al persecutore devono affrontare il sistema legale e politico, non meno corrotto dei criminali di cui sono vittima.
Dagli anni ’60, ad esempio, lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, scrive numerosi romanzi polizieschi, in cui la mafia e i suoi intrecci sono uno dei temi ricorrenti (come ne Il giorno della civetta), a dimostrazione che dietro un delitto non si nasconde una verità raggiungibile in modo diretto, lasciando l’amaro in bocca assieme alla soluzione dell’enigma, e una sensazione di “giustizia tradita”, divincolandosi dalla funzione catartica del giallo classico.
L’elenco dei sottogeneri del giallo, contando anche le diverse tendenze che ogni autore applica al proprio genere di riferimento, è pressoché numeroso. Alla fine della seconda guerra mondiale, un discreto successo è raggiunto dal police procedural, filone iniziato ufficialmente nel 1945 con V as in Victim (V per Vittima) di Lawrence Treat e portato al successo dall’italo-americano Ed McBain, con il ciclo dedicato alle indagini dell’ 87° Distretto. Il police procedural ha il fine di descrivere i metodi reali di indagine della polizia e mette in risalto il lavoro di squadra piuttosto che le doti eccezionali di un investigatore protagonista. Lo stesso vale per il Thriller o giallo a suspance, che si sviluppa a cavallo tra le due guerre sullo sfondo delle metropoli statunitensi pullulanti di gangster e mafiosi. Nel thriller, a differenza che nel giallo classico, in cui la trama si sviluppa a seguito del delitto, il lettore assiste direttamente alla preparazione e all’esecuzione del crimine, vivendo un forte coinvolgimento emotivo (da qui Thriller, ovvero che eccita, che procura brivido). A questo si associano inoltre il Thriller legale e il Thriller medico, uno che osserva l’indagine dal punto di vista di avvocati e procuratori, l’altro da quello di medici e scientifica. Il successo fu tale che molti autori che ne divennero principali esponenti lavorarono alla sceneggiatura di numerosi film, assicurando il legame del genere al cinema e alla tv.
Storie di spionaggio o di serial killer o il giallo psicologico, si affiancano al successo del giallo storico. Quest’ultimo è forse il genere le cui caratteristiche sono rimaste più fedeli a quelle di tipo classico-deduttivo, a parte il fatto che la collocazione temporale della vicenda narrata è nel passato, recente o remoto. Esistono storie di gialli le cui ambientazioni spaziano dal novecento al periodo rinascimentale, fino al Medio Evo come nell’antica Roma o nell’antico Egitto, passando dall’Occidente all’estremo Oriente, e che trovano i suoi protagonisti nelle vite dei personaggi storici più disparati. In cinque romanzi di Giulio Leoni, quali I delitti della Medusa, I delitti del Mosaico, I delitti della Luce, La crociata delle tenebre e La sindone del diavolo è Dante Alighieri in persona a vestire i panni dell’investigatore, che indaga sui complotti nella Firenze del 1300.
Un esempio recente di giallo storico di successo potrebbe essere Il nome della rosa di Umberto Eco, edito da Bompiani nel 1980. L’opera è ambientata alla fine del 1327 e usa l’espediente letterario del manoscritto ritrovato, scritto in questo caso dal monaco Adso da Melk, che ormai anziano decide di raccontare alcuni fatti notevoli vissuti da novizio durante la giovinezza in monastero, accompagnato dal proprio maestro Guglielmo da Baskerville. Proprio all’interno del monastero benedettino del Piemonte, alla fine dell’anno 1327, si consumano gli omicidi di diversi confratelli del monaco protagonista, il quale intuisce che la soluzione del mistero è da ricercarsi nella lotta di potere all’interno dell’abbazia.
Il romanzo ottiene presto un vasto successo di critica e pubblico, venendo tradotto in oltre 40 lingue con oltre 50 milioni di copie vendute in trent’anni. Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Strega del 1981 ed è stato inserito nella lista de “I 100 libri del secolo di Le monde”. Sfruttando il successo del romanzo, cinque anni dopo viene tratto l’omonimo film diretto da Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery, Christian Slater e F. Murray Abraham.