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L’Isola di Pasqua: storia e misteri del popolo dei Moai

di Roberta Giannì

Rapa Nui, ai più nota come Isola di Pasqua, è una piccola isoletta vulcanica di forma triangolare di 171 km² situata nel Pacifico sud-orientale, oggi considerata il posto abitato più remoto sulla terra.  Sin dalla loro scoperta, le colossali statue moai che si ergono sull’isola ne sono state il simbolo, oltre che i resti silenziosi di un’antica e fiorente civiltà. Le ricerche etnografiche e gli studi bioarcheologici e paleoecologici hanno evidenziato come i primi colonizzatori introdussero nell’isola il pollo (Gallus gallus) e il Ratto del Pacifico, il taro, la patata dolce, banane e canna da zucchero, tutti prodotti legati alla sussistenza; le evidenze archeologiche invece hanno documentato una grande attenzione da parte della popolazione per l’agricoltura attraverso pratiche quali la pacciamatura litica, che si caratterizzava dall’utilizzo di materiale vulcanico quale cenere, sassolini, ghiaia e pietre, con lo scopo di migliorare la crescita delle colture.
Ancora aperto è il dibattito tra gli studiosi sulla presenza o meno di un’attività di pesca nella quotidianità di Rapa Nui. A causa del terreno acido dell’isola, risulta infatti difficile ottenere informazioni chiave sulla questione, ma il rinvenimento di alcuni ami da pesca in pietra e in osso sembrano indicare come l’attività fosse effettivamente praticata, anche se, in base alle analisi degli isotopi stabili di carbonio e azoto, le risorse marine definivano solo il 50% della dieta della popolazione di Rapa Nui, con la restante parte caratterizzata invece dal consumo di flora e fauna terrestri.

La società di Rapa Nui è stata per lungo tempo indagata ma non totalmente compresa. La mancanza di informazioni che potessero fornire un’effettiva spiegazione della complessità della struttura sociale ed economica dell’isola ha fatto sì che nascesse l’idea di un’isola misteriosa, in cui una società poco conosciuta fu coinvolta in dinamiche storiche e sociali di difficile interpretazione, che ne causarono il collasso.

Fu l’arrivo dei colonizzatori europei a segnare la fine della civiltà di Rapa Nui: gli abitanti furono resi schiavi e mandati a lavorare nei depositi di guano delle Isole Chincha. A causa delle condizioni a cui erano sottoposti, molti di loro morirono e la popolazione fu decimata: un censimento del 1877 identificava una popolazione indigena composta da soli 110 individui. Insieme agli uomini e alle donne di Rapa Nui morì anche quella cultura che per secoli aveva caratterizzato l’isola. Negli anni ’60 del 1800 furono infatti numerosi i missionari che sbarcarono sulle sue coste con l’intento di convertire le popolazioni indigene al cristianesimo, causando un’importante perdita dei culti e delle credenze che li identificavano.  

Alle origini di Rapa Nui: le varie ipotesi sulle prime popolazioni

Il dibattito su come sia stata scoperta Rapa Nui e su quali furono le prime popolazioni a insediarsi è ancora aperto. Non vi sono difatti prove certe, e per ora gli scenari descritti sono tre.

L’isola di Pasqua vista attraverso Google Earth

Il primo narra di un arrivo di uomini su imbarcazioni da occidente, i quali portavano con sé tutto ciò che poteva essere utile per insediarsi sull’isola: utensili, cibo, flora e fauna. Si tratta tuttavia di semplici racconti orali tramandati nel tempo a Rapa Nui, spesso imprecisi, soprattutto per ciò che concerne la datazione inerente a tale arrivo.

Il secondo presuppone che il primo sbarco a Rapa Nui sia avvenuto per opera dei Nativi Americani, che avrebbero sfruttato i venti favorevoli per navigare verso la Polinesia. Fervente sostenitore di tale teoria fu l’esploratore norvegese Thor Heyerdahl, che ne volle dare una prova concreta attraverso la famosa spedizione Kon-Tiki del 1947: utilizzando una semplice imbarcazione con una sola vela, Heyerdahl, e altri cinque uomini navigarono per 101 giorni, dal Perù alle isole Tuamotu, servendosi esclusivamente della forza del vento e delle correnti marine. La comunità scientifica, tuttavia, non accettò come valida la tesi di Heyerdahl, definendolo poco rigoroso nel compiere le sue ricerche; gli venne però accreditata la teoria di un possibile contatto tra la Polinesia e gli amerindi.

Il terzo parte dalla teoria precedente, sottolineandone gli aspetti a sfavore. Gli studiosi Flenley e Bahn infatti, analizzando quanto detto da Heyerdahl, hanno sottolineato come i venti e le correnti che avrebbero favorito la navigazione est-ovest non fossero costanti bensì stagionali. Fanno notare inoltre che i polinesiani erano attenti navigatori, e che disponevano di imbarcazioni tecnologicamente migliori rispetto a quella rudimentale dell’esploratore norvegese. Conclusero perciò affermando che la prima colonizzazione di Rapa Nui doveva essere avvenuta da parte di navigatori provenienti dalla Polinesia orientale, in particolare dalle Isole Marquesas; inserirono il primo insediamento intorno all’800/1000 d.C. e la nascita dei luoghi di culto e dei moai tra il 1100 e il 1200 d.C.

Gli antichi insediamenti di Rapa Nui e i loro Culti

Al suo arrivo, la popolazione si insediò lungo le coste, organizzando le società in clan territoriali. Le evidenze archeologiche ed etnografiche hanno mostrato che per i primi secoli gli insediamenti di Rapa Nui si organizzavano intorno alla costruzione dei moai, le colossali statue dai tratti umani che hanno reso nota l’isola. Si contano più di 950 moai e almeno 300 ahus, ovvero le piattaforme in pietra su cui vennero posizionati e raggruppati i moai. Queste enormi statue rappresentavano gli antenati divinizzati, venerati perché garantissero una terra e un mare sempre fecondi per gli abitanti dell’isola, e pace e prosperità nell’insediamento. Il Culto dei Moai era alla base della società di Rapa Nui e avveniva presso il Cratere Raraku, da cui si ricavava il tufo per la loro costruzione.

Moai

In molti si sono chiesti come la popolazione di Rapa Nui abbia trasportato per diversi chilometri le colossali statue moai dopo averle realizzate nelle cave. La più grande registra un peso di 74 tonnellate e un’altezza di 10 metri. Una prima ipotesi si basava sul metodo dello scorrimento dei monoliti su dei tronchi, che gli isolani ricavarono distruggendo completamente le foreste presenti sull’isola – da cui, secondo quanto Jared Diamond afferma nel suo libro Collapse, è nata l’ipotesi che la scomparsa della popolazione sia dovuta alla completa distruzione dell’area naturale in cui si era stabilizzata. Carl Lipo, della California State University, non è d’accordo. Lui e il collega Terry Hunt dell’Università delle Hawaii di Honolulu hanno notato come alcuni moai si ergono su delle pedane in pietra, mentre altri sono stati ritrovati, incompleti e probabilmente abbandonati, lungo le strade o nelle cave. Questi ultimi si trovano in posizione eretta, leggermente in avanti, e questo va in contrasto con la teoria del loro trasporto sui tronchi, data l’evidenza del fatto che allora sarebbero dovuti essere stati rinvenuti in posizione orizzontale. Dunque, secondo i due archeologi, questi moai fanno pensare che il loro trasporto avvenisse con le statue in posizione verticale.

Ma come trasportare un moai il cui peso è di svariate tonnellate?

Lipo e Hunt, insieme a un team di diciotto persone, provarono la loro tesi con un esperimento. Dopo aver realizzato un modello di moai di 3mt, l’hanno legato con tre corde di canapa: due ai lati destro e sinistro e una alle spalle. Mentre il gruppo alle spalle manteneva una presa stretta sulla corda per impedire al moai di cadere in avanti, il gruppo di destra e quello di sinistra si alternava tirando rispettivamente prima da una parte e poi dall’altra, avanzando ogni volta di un passo. Ed ecco che pure il moai avanzava sulla strada liscia, un passetto a destra e uno a sinistra: in meno di un’ora aveva percorso 100mt.

Ricostruzione del trasporto di un moai secondo Lipo e Hunt

A un certo punto, il Culto dei Moai perse il suo ruolo chiave nella società di Rapa Nui. Non si sa ancora con precisione l’esatto momento in cui i moai scomparvero, rimpiazzati dall’Uomo Uccello e dal culto ad esso dedicato. Alcuni hanno supposto che la costruzione dei moai fu interrotta a causa del difficile reperimento del materiale di costruzione, oppure per conflitti sociali interni, e magari una di queste teorie potrebbe fornire una spiegazione a un ipotetico rovesciamento intenzionale di molti moai del territorio.
L’organizzazione sociale, politica e religiosa vennero completamente stravolte. Il nuovo culto venerava l’Uomo Uccello e riconosceva gli uccelli migratori come simboli di fertilità, in particolare le sterne fuligginose (Onychoprion fuscatus), le quali nidificavano nelle isolette circostanti.

Al contrario delle autorità regnanti per dinastie del periodo del Culto dei Moai, il Culto dell’Uomo Uccello prevedeva una competizione atletica tra i capi dei clan, che, partendo dal villaggio di Orongo (centro cerimoniale del nuovo culto), si sfidavano nella raccolta del primo uovo di sterna fuligginosa dai nidi dell’isola di Motu Nui: il vincitore diveniva l’autorità suprema dell’isola. Essendo Orongo stato fondato non prima del 1600, gli studiosi ipotizzano l’avvento del Culto dell’Uomo Uccello in quello stesso anno o successivamente.

La teoria dell’ecocidio

Risale al 2005 la prima edizione di Collapse: How Societies Choose to Fail or Succeed di Jared Diamond, biologo, fisiologo, ornitologo, antropologo e geografo statunitense. Nel libro, il suo brillante autore, parlando dell’isola di Rapa Nui, afferma come una catastrofe ecologica possa aver portato la società a un collasso. Si sofferma in particolar modo sul concetto di “ecocidio” che avrebbe interessato la popolazione di Rapa Nui: secondo tale concetto, la costruzione dei moai avrebbe richiesto un grande consumo di risorse del territorio circostante, che col tempo si erano esaurite, portando la popolazione al collasso.

Rapa Nui

La teoria dell’ecocidio di Diamond pone le sue basi sui racconti dei primi europei che approdarono sull’isola. Tra questi, l’esploratore francese La Pérouse, il quale ipotizzò che la popolazione aveva sfruttato in maniera sconsiderata le risorse del territorio circostante, tagliando tutti gli alberi presenti e causando la scomparsa della foresta. Da ciò il pensiero di Diamond di una foresta che non fu in grado di rinascere ed equilibrare le perdite. “Rapa Nui”, afferma lo studioso “è il più chiaro esempio di una società che si è autodistrutta attraverso il sovrasfruttamento delle risorse, culminato con la fame, il collasso della popolazione e fenomeni di cannibalismo”. 

Non tutti gli studiosi dell’antica popolazione di Rapa Nui sembrano tuttavia concordare con la teoria di Diamond. Le evidenze archeologiche e paleo-ambientali li hanno infatti condotti a conclusioni differenti, che tengono conto di più elementi che possono aver contribuito alla fine dell’antica popolazione di Rapa Nui, uno tra questi l’arrivo stesso degli esploratori europei, i cui racconti dell’isola risultano in realtà essere tra loro molto contraddittori.

La piccola isola di Rapa Nui non si può esattamente definire un “paradiso polinesiano”. Essa si caratterizza da limitate flora e fauna native, che ne riflettono una datazione geologica recente e le ridotte dimensioni: attualmente, gli studiosi identificano la presenza di all’incirca una quindicina di specie vegetali native. L’isola, inoltre, non gode di regolari e abbondanti precipitazioni (si aggirano intorno ai 1250 mm all’anno) e non vi è la presenza stabile di corsi d’acqua. La nebbia salina causa infine la maggior parte dei danni alle coltivazioni.

Le analisi del polline hanno permesso agli studiosi di collocare la deforestazione nel periodo compreso tra il 1250 e il 1650 d.C.; per coloro che collocavano la nascita dei primi insediamenti sull’isola intorno al 400 d.C. era facile immaginare una silenziosa presenza umana antecedente l’inizio della deforestazione, con un’ecologica economia di sussistenza trasformatasi poi in uno sfruttamento distruttivo delle risorse. Tuttavia, se si ipotizza un arrivo tanto precedente all’inizio della deforestazione, si suppone che la popolazione abbia avuto nel tempo una crescita molto lenta, con un impatto nullo sull’ambiente circostante nel periodo compreso tra i 400 e gli 800 anni. Bisogna perciò rivedere tale teoria.

Sappiamo come recenti ipotesi collochino i primi insediamenti sull’isola in un periodo più tardo, ovvero tra il 1000 e il 1200 d.C. All’inizio, questi insediamenti non contavano più di una cinquantina di persone, numero destinato però a una crescita esponenziale nel tempo, arrivando a circa 3.000 individui intorno al 1350-1370. Considerando che la deforestazione si è verificata in un periodo di 400 anni (dal 1250 al 1650), possiamo ipotizzare che il numero di individui della popolazione incrementava parallelamente alla decrescita della foresta. La popolazione può aver subito delle leggere oscillazioni, ma in linea generale ha mantenuto un rapporto di equilibrio con l’ambiente circostante che, come precedentemente accennato, era sottoposto a diverse variabili naturali. Non ci sono evidenze di una crescita della popolazione fino a un quantitativo di 15.000 individui con un conseguente collasso e una definitiva perdita delle risorse.
Dunque la foresta decresceva e la popolazione aumentava. I primi segnali di un declino legato alla popolazione arrivano solo a partire dal 1750 fino al 1800, il periodo in cui si registra l’arrivo sull’isola degli europei. Come era successo negli altri luoghi in cui erano comparsi gli esploratori europei, anche a Rapa Nui la popolazione entrò in contatto con le malattie arrivate con le navi europee. Inoltre, le pecore al pascolo introdotte dagli europei provocarono una parte della perdita delle risorse, senza contare il contributo dei Ratti del Pacifico, Rattus exulans, la cui popolazione a Rapa Nui era arrivata a comprendere milioni di individui in pochi anni. I roditori infatti furono i principali autori della scomparsa di buona parte della vegetazione dell’isola, di cui si cibavano. Un arbusto nativo dell’isola, Sophora toromiro, fu uno dei pochi superstiti: i ratti erano in grado di danneggiarlo, tuttavia sembra che il danno prodotto incoraggiasse la germinazione dei semi. Si può dire dunque che in termini di biodiversità, Rapa Nui vide effettivamente una vera e propria catastrofe ambientale; tuttavia, le evidenze archeologiche e paleo-ambientali hanno mostrato come tale catastrofe non sia connessa a un uso sconsiderato delle risorse da parte della popolazione, bensì al particolare ambiente naturale e alle dinamiche umane createsi nel corso del tempo. L’ipotesi di un “ecocidio” decade e si fa spazio l’idea che a causare il collasso della popolazione siano dunque stati altri fattori.

Rapa Nui oggi

L’isola deve il suo nome alla popolazione aborigena che vive sul territorio, i Rapanui. Il nome con cui è più comunemente nota, ovvero Isola di Pasqua, le venne invece dato dai primi esploratori europei che approdarono sull’isola il 5 Aprile 1755, facenti parte della spedizione olandese guidata da Jacob Roggeveen.
Ad oggi, l’isola conta 6000 abitanti, di cui la maggior parte localizzata nella capitale, Hanga Roa. Il 40% della popolazione ha origini polinesiane, il 60% cilene. La lingua indigena è conosciuta con il nome di “vananga”, di origine polinesiana e ristretta ai territori di Rapa Nui; non si tratta di una lingua originale in quanto molteplici sono state le influenze nel corso del tempo, soprattutto della lingua inglese, spagnola, francese e tahitiana.
L’isola si caratterizza da immense praterie e da vegetazione antropogena, con una fauna composta da numerose specie, come sappiamo, introdotte nel tempo.

Le innumerevoli statue moai che si mostrano ai visitatori rendono Rapa Nui un museo a cielo aperto. Le loro silhouette a contrasto coi tramonti e i loro profili che si stagliano contro il blu del mare continuano ad essere un richiamo per gli studiosi e per coloro che raggiungono le coste, semplicemente per abbandonarsi alla quiete e al mistero di questa straordinaria isola.

Bibliografia

Hunt T., and Lipo C., Ecological Catastrophe and Collapse: The Myth of ‘Ecocide’ on Rapa Nui (Easter Island) (April 19, 2012). PERC Research Paper No. 12/3, Available at SSRN: http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.2042672

Lipo C.P., Hunt T.L., Rapu Haoa S., The ‘walking’ megalithic statues (moai) of Easter Island, Journal of Archaeological Science,Volume 40, Issue 6,2013,Pages 2859-2866,ISSN 0305-4403,https://doi.org/10.1016/j.jas.2012.09.029.

The Prehistory of Polynesia, Jennings – Harvard University Press – 2013

Rull, V. Human Discovery and Settlement of the Remote Easter Island (SE Pacific). Quaternary 2019, 2, 15. https://doi.org/10.3390/quat2020015.