di Roberta Giannì
“Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate”.
Non tutti conoscono Francesca Woodman. Forse quasi nessuno sa che era una bellissima giovane donna con la passione per la fotografia. “Sono una fotografa” è quello che lei stessa disse a Giuseppe Casetti quando si presentò nella sua libreria antiquaria per un parere sulle sue fotografie: scatti in bianco e nero di se stessa spesso svestita, in luoghi decadenti ormai dimenticati, appoggiata a finestre o muri scrostati, magari accompagnata da fiori, specchi o sedie.
La Woodman è a oggi considerata uno dei più grandi esponenti dell’arte e della fotografia del XX secolo. In soli dieci anni diede vita a una produzione davanti alla quale è difficile non rimanere colpiti. I suoi soggetti (le sue amiche e principalmente se stessa) sono sfuggenti, indefiniti, quasi dei fantasmi, e richiamano l’animo umano e la metamorfosi del corpo di una ragazzina che si volge verso la maturità di donna.
Una vita all’insegna della fotografia
Francesca Woodman nacque in una famiglia di artisti di Denver. Sin da giovanissima mostrò interesse per la fotografia, grazie al padre pittore che le regalò la sua prima macchina fotografica quando lei aveva solo 13 anni.
Nella sua breve vita, la giovane Woodman si alternò tra l’America e l’Italia, in città quali Firenze e Roma: in particolare, l’esperienza romana, avuta tra il 1977 e il 1979, fu significativa per la maturazione della sua fotografia e delle suggestioni estetiche che la caratterizzano. In quegli anni, infatti, mentre seguiva i corsi della RISD (Rhode Island School of Design) con l’amica e collega Sloan Rankin, iniziò a frequentare gli ambienti romani come la Libreria Maldoror, fondata da Giuseppe Casetti e Paolo Missigoi nel 1977 e specializzata nelle avanguardie storiche, e il Gruppo di San Lorenzo, entrando in contatto con personalità fondamentali che la aiutarono a esprimere, attraverso la fotografia, il turbinio di emozioni che provava.
Giuseppe Casetti ricorda benissimo il giorno in cui la Woodman entrò nella sua libreria. La ragazza passava spesso per osservare le fotografie esposte o semplicemente per gironzolare nella libreria, ma quel giorno era diverso: con dei calzettoni molto stretti, un paio di scarpette basse cinesi nere e in mano una scatola grigia, si presentò a Casetti come fotografa. All’interno della scatola erano riposti i suoi scatti dal forte significato: Casetti ne rimase ammaliato, soprattutto per la loro potenza sensuale ed emotiva, in contrasto con la giovane figurina che aveva davanti e che aveva scattato quelle foto[1]. Le propose dunque una mostra in libreria, la prima, che nel 1978 fu presentata con il nome di Immagini.
Nel 1981, una volta tornata in America, la Woodman realizzò poi il suo libro Some disordered interior Geometries (Alcune disordinate geometrie interiori), che riassumeva le ricerche da lei condotte nel corso della sua permanenza a Roma: schizzi, lettere, scatti, immagini crude e reali della condizione umana, un dialogo con l’ambiente in cui si ritraeva, con gli oggetti che faceva comparire nelle immagini; una particolarità della raccolta era il fatto di aver radunato gli scatti all’interno di quaderni scolastici della fine dell’800.
Il 1981 è anche l’anno della sua prematura e tragica scomparsa. Difatti, pochi mesi dopo la pubblicazione di Some disordered interior Geometries, Francesca Woodman, che aveva solo 22 anni, si suicidò lanciandosi dalla finestra del palazzo di New York dove viveva.
Riso e ricotta: una fotografia di forti messaggi e inviti a cena
La Woodman fu una personalità decisamente fuori dagli schemi. Per lei la fotografia non era un fine ma un mezzo, attraverso cui mandare dei messaggi e raccontare la transizione, nel corso di un’esistenza, dall’adolescenza alla maturità, da ragazzina a donna; era anche invitare un amico a cena, come nel caso di Cristiano riso e ricotta del 1977: appartenente a Giuseppe Casetti, si compone di due immagini raffiguranti da un lato la stessa Francesca, nuda, con un piede sollevato su cui ha dipinto del riso, dall’altro, una figura ugualmente nuda con in mano la ricotta. Sotto le due fotografie una scritta: “Cristiano riso e ricotta venerdì 8.00”, dunque un invito a cena.
Casetti ricorda infatti come la Woodman fosse solita spedire inviti del genere agli amici, piccole foto da lei scattate e accompagnate dallo scritto. Queste piccole opere si componevano di uno o due scatti originali che si differenziavano dal resto delle sue fotografie per il fatto di essere circondati da scritte, appunti, schizzi, francobolli e brevi frasi per invitare qualcuno a visitare la sua mostra alla libreria o, semplicemente, a cena.
Attraverso il mezzo che si era scelto, la fotografia, elaborò un linguaggio tutto suo da cui traspariva la sua osservazione dell’animo umano, la tormentata condizione umana e l’identità femminile che sfuma dall’adolescenza all’età adulta.
“La cosa che mi interessava di più era la sensazione che la figura, più che nascondersi da se stessa, fosse assorbita dall’atmosfera, fitta e umida”.
Come disse a Casetti, si serviva molto dell’autoscatto, creando immagini in bianco e nero, con nudi inquietanti e giochi surreali, utilizzando spesso se stessa come modello principale. Attraverso le lunghe esposizioni creava soggetti eterei, che ricordano dei fantasmi e che si fondono con l’ambiente in cui sono raffigurati, spesso rappresentato da vecchie stanze di una casa abbandonata. Quei soggetti sfuggenti e indefiniti, spesso senza volto, simboleggiano la metamorfosi del suo corpo, che abbandona l’infanzia e inizia a mostrarsi più seducente. Il corpo nudo o seminudo della Woodman emerge quasi in tutti gli scatti, con la ragazza a carponi mentre si osserva in un vecchio specchio, incastrata tra le assi di un vecchio caminetto quasi del tutto crollato, oppure circondata da oggetti che rafforzano questo aspetto surreale della sua fotografia, come la cesta con le anguille nello scatto del 1978.
Francesca Woodman oggi
Nel 2012 al Film Forum di New York è stato presentato The Woodmans, un documentario che analizza questa famiglia di artisti. Grazie ad esso e alle numerose mostre delle sue fotografie curate utilizzando l’archivio di immagini che era rimasto ai suoi genitori in America a seguito della sua morte, Francesca Woodman è uscita dalla cerchia di artisti che la conoscevano e si è fatta spazio per un pubblico più vasto.
Prima di ciò, fu l’amico romano Casetti ad aiutarla, ben consapevole delle capacità della ragazza sin dal primo momento in cui vide i suoi scatti. Nel 2000 curò difatti una mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma, che riscosse enorme successo, e contribuì a far conoscere l’arte di questa forte personalità quale era la Woodman. La sperimentazione direttamente sul proprio corpo, la sensualità che sapeva emanare, gli scatti a tratti inquietanti anche per le ambientazioni scelte, fecero di lei un vero e proprio simbolo della fotografia del XX secolo e del mondo femminile, in quanto furono soprattutto donne ad apprezzare le sue opere[2].
Poi, nel 2011 un’ulteriore mostra curata da Casetti con alcuni inediti, l’esposizione al Guggenheim del 2012, le mostre in Italia a Venezia e a Napoli – quest’ultima con gli scatti provenienti dalla collezione di Carla Sozzani – Ferrara, Pisa e Roma.
Ancora oggi le fotografie di Francesca Woodman sono esposte a un pubblico che continua a rimanere affascinato dalle potenzialità di questa giovane donna, che fa sì che chiunque ammiri i suoi scatti si stacchi, per un momento, dal mondo frenetico in cui vive, per riflettere su una metamorfosi che costantemente tocca l’esistenza umana.
[1] Gli speciali. Racconti di fotografia – Francesca Woodman, raiplaysound.it [2] Ibid.