Alessandra Macrì
[…] “Lei lo sapeva che questa vita non era fatta per durare[…] In guerra i tempi fortunati sono brevi, dopo cominciano i guai. Le dispiaceva per la Rina, che era tanto in pensiero, per il Comandante e per Clinto e per tutti i partigiani. Era stata con loro come la mamma, ma senza retorica, senza dire: io sono la vostra mamma.”[i] In silenzio, l’Agnese, prepara da mangiare, accudisce i compagni ma “neppure loro dicevano molte parole”[ii]. Se qualcuno alzava la voce con lei veniva rimproverato e senza chiedere scusa le parlava con gentilezza.
L’Agnese, non più giovane, è conosciuta come l’Agnese di Palita[iii]. E’ una donna che partecipa alle vicende della Resistenza in Italia. Non ha più alcun legame affettivo dopo la cattura del marito. “L’hanno portato via i tedeschi” e la morte della gatta nera, uccisa dalle mitragliate di un soldato tedesco “[…]la raffica la raggiunse in una piccola nube di polvere, la gatta rotolò in terra, si appiattì. Sembrò uno straccio nero buttato via”[iv].
E’ Natale, è sola l’Agnese: “Sola, si sedette presso alla stufa a far la calza. La calza va per conto suo, non rovina i pensieri. E lei pensava a tante cose, muovendo le mani e i ferri senza guardarli. Pensava al Natale dell’anno scorso, solo come questa volta ma a casa sua”.[v] Fa ragionamenti pragmatici ed elementari ma prende decisioni coraggiose. “Ho ammazzato un tedesco”[vi] confessa al partigiano Clinto. L’Agnese è protagonista di una battaglia nazionale ma anche femminile. L’Agnese, con la sua entrata nella Resistenza, vede il mondo con occhi diversi, non è più soltanto la moglie di Palita, ma è anche una partigiana “Sapeva molto di più. Capiva quelle che allora chiamava «cose da uomini»”[vii] e che si poteva morire pur di sostenere un’idea.
L’Agnese non aveva avuto bambini ma si sentiva madre. “L’Agnese disse: – Dopo sarà un’altra cosa. Io sono vecchia, e non ho più nessuno. Ma voialtri tornerete a casa vostra. Potrete dirlo, quello che avete patito, e allora tutti ci penseranno prima di farne un’altra, di guerre. E a quelli che hanno avuto paura, e si sono rifugiati, e si sono nascosti, potrete sempre dirla la vostra parola; e sarà bello anche per me. E i compagni, vivi o morti, saranno sempre compagni.”[viii]. Mamma Agnese, donna contadina, privata da legami non ha nulla da perdere. Prende consapevolezza di sé quando, torna a casa, dopo aver rincorso Palita trasportato sul camion dei tedeschi “Guardava intorno sperando che fosse come quando di notte si sta per cadere da una montagna e ci si sveglia nel letto: chiudeva gli occhi e li apriva, per rivedere Palita curvo sui mucchi di vimini; e vedeva solo la gatta nera […] ”[ix]. Decide di aiutare i partigiani. La tragica fine della protagonista, uccisa brutalmente da un soldato tedesco “Il maresciallo rimise la pistola nella fondina, e tremava, certo di rabbia. Allora il tenente gli disse qualche cosa in tedesco, e sorrise. L’Agnese restò sola, stranamente piccola, un mucchio di stracci neri sulla neve”[x]. La scrittrice, Renata Viganò attribuisce alla sua protagonista una connotazione nazionale: il simbolo della Resistenza. Il sacrificio dell’Agnese, morta coraggiosamente come tanti partigiani, rappresenta un riferimento per tutte le donne combattenti; rappresenta l’allontanamento dell’antico stereotipo di una femminilità solo materna. L’Agnese una “mamma senza retorica” ha la forza e il coraggio di aprire un varco verso l’autonomia.
[i] R. Viganò, L’ Agnese va a morire. Introduzione di Sebastiano Vassalli, Torino 2014, p.92.
[ii] R. Viganò in op. cit, p.92.
[iii]Palita, nome del marito di Agnese.
[iv] R. Viganò in op. cit, p.92.
[v] R. Viganò in op. cit, p.165.
[vi] R. Viganò in op. cit, p.57.
[vii] R. Viganò in op. cit, p.166.
[viii] R. Viganò in op. cit., pp. 228-229.
[ix] R. Viganò in op. cit., p.16.
[x] R. Viganò in op. cit., pp. 239.
In foto: Renata Viganò.