Camilla Russo
Due strade divergevano in un bosco d'autunno
e dispiaciuto di non poterle percorrere entrambe,
essendo un solo viaggiatore, a lungo indugiai
fissandone una, più lontano che potevo
fin dove si perdeva tra i cespugli.
Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.
Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.
Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io –
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.
Robert Frost
Scritta nel 1915 in Inghilterra, The Road Not Taken è una delle poesie più note di Robert Frost. Anche se comunemente interpretata come una celebrazione dell’aspro individualismo, la poesia in realtà contiene molteplici significati. Il narratore della poesia, di fronte alla scelta tra due strade da percorrere, prende quella “meno battuta“, una decisione che lui o lei suppone “abbia fatto la differenza“.
Quante volte nella vita ci siamo trovati di fronte ad un bivio, nella situazione di dover prendere una decisione importante per la nostra vita, senza sapere cosa ci riservi il futuro. A modo nostro, siamo tutti dei viaggiatori inesperti che a volte incespicano nel bosco delle proprie indecisioni e delle proprie incertezze. Fermi a contemplare il possibile avvenire, cerchiamo di pensare quale sia la scelta più giusta, nonostante il percorso della vita ci presenti un’infinità di possibilità, innumerevoli strade e noi, unici viaggiatori, siamo costretti a limitarne le opportunità.
Cade, come una pesante coltre sulle nostre coscienze, l’importanza di non commettere l’errore, l’errore di imboccare un sentiero piuttosto che un altro, sapendo poi “come una strada porti ad un’altra”, coscienti di non poter tornare indietro un domani. Insieme a tutte le nostre indecisioni e dubbi, ciò che può bloccarci e spaventarci di più è sicuramente l’eventualità di commettere uno sbaglio. Sbaglio che può portare al fallimento, in grado poi di condizionare qualsiasi altro giudizio futuro. Ma è l’errore a renderci umani, l’unica cosa che ci permette di svelare la nostra reale natura, i nostri pensieri e desideri.
Come riuscire, però, a sbagliare il meno possibile senza rischiare di rinunciare alla realizzazione del nostro essere?
Come afferma lo scrittore e giornalista Tiziano Terzani nel suo testamento spirituale La fine è il mio inizio, forse cercando di non farsi condizionare da una società “che ci spinge solo a desiderare e fra i desideri a scegliere solo i più banali.” Così facendo la scelta e, di conseguenza, l’eventuale errore assumono un valore deontologico, per il quale sono in realtà le motivazioni dietro le nostre scelte a dover essere di primaria importanza, piuttosto che le loro dirette implicazioni. Diviene dunque chiaro come “Il vero desiderio, se uno ne vuole uno, è quello di essere se stessi. L’unica cosa che uno può desiderare è di non avere più scelte (…) La scelta vera è quella di essere se stesso.”
Prima di imboccare qualsiasi possibile strada dispiegata di fronte ai nostri occhi, in quel momento, si deve innanzitutto scegliere se stessi, far si che nonostante si commettano degli errori, questi siano semplicemente l’espressione del nostro essere e non il risultato della società che ci circonda. Ciò è possibile solo scavando nel profondo e trovando la parte più vera e nascosta di noi, quella sommersa da una pesante coltre di convenzioni, regole, pregiudizi, paure e ansie, riemergendo consapevoli di aver chiaro quale ruolo assumere e contributo voler dare alla vita.