di Lorenzo Plini
In Clinamen – periodico di cultura umanistica n. 6, pagg. 43-45.
Quando un uomo siede vicino ad una ragazza carina per un’ora, sembra che sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa accesa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora. Questa è la relatività.” (A. Einstein)
Einstein in quell’occasione avrebbe detto alla sua segretaria di rispondere così agli intervistatori ansiosi di sapere cosa fosse la relatività; aneddoto pubblicato per la prima volta sul New York Times nel marzo del 1929. Ma andiamo con ordine, e per farlo dobbiamo fare un passo indietro di ben settant’anni rispetto a quel 1929.
Henri-Louis Bergson nasce nella Parigi del 1859 da una famiglia ebrea: il padre ha origini ebreo-polacche (difatti il cognome in origine era Bereksohn), mentre la madre viene da una famiglia ebrea di origini anglo-irlandesi. Vive i primi nove anni della sua vita a Londra, poi la famiglia decise di trasferirsi definitivamente a Parigi. Scelta poco felice visto il forte antisemitismo che percorre la Francia in quel periodo, e che sfocerà nell’Affaire Dreyfus, conflitto politico-sociale che divise l’opinione pubblica francese fra il 1894 e il 1906. Nonostante ciò, Bergson si dimostra sin da subito uno studente brillante, che sceglierà gli studi umanistici dopo un iniziale indecisione su quale strada intraprendere per la sua carriera universitaria. Durante gli anni dell’insegnamento si avvicina sempre di più alla filosofia, tanto da scrivere l’opera Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), nata come tesi di dottorato con cui riesce ad entrare all’Università di Parigi. Con questo saggio Bergson si colloca nella corrente dello “Spiritualismo”: ovvero un insieme di dottrine che si contrapponevano al materialismo, al razionalismo e al positivismo, affermando l’esistenza di una dimensione spirituale nell’uomo che coincide con la coscienza. Una tendenza che sorgeva come reazione al sempre crescente sviluppo delle scienze e alla seconda rivoluzione industriale che proprio sul finire dell’800 sta raggiungendo il suo apice. Filosofo molto influenzato dalla nascente psicoanalisi, Bergson concepisce una concezione particolare del tempo che si esprime a partire dalla polemica – confronto con Albert Einstein, in particolare nei confronti della teoria della relatività.
Oggi famosa e largamente conosciuta e accettata dalla comunità scientifica, nei primi decenni dell’900 in molti si sono interrogati sulla sua validità, fra cui filosofi come Bergson. Sin dai tempi di Galileo Galilei e passando per Isaac Newton, il tempo era concepito come un qualcosa di assoluto e indipendente dallo spazio, esistevano le tre dimensioni spaziali e una quarta separata, ovvero il tempo. Ma nella Teoria della relatività ristretta (1905) e soprattutto nella Teoria della relatività generale (1916) Albert Einstein introduce il concetto di spazio-tempo. Ciò che a noi interessa di questa teoria riguarda soprattutto il tempo. Einstein infatti sostiene che più si aumenta la velocità più si ha un rallentamento del tempo. L’esempio è quello di due uomini, uno fermo in stazione e l’altro su un treno, ed entrambi devono fermare l’orologio nel momento in cui il treno passa nella stazione. Secondo la teoria di Einstein se si confrontano i due orologi si può notare che la misurazione è sfalsata nell’ordine di piccole frazioni di secondo, proprio a causa di queste impercettibili variazioni nella percezione dello spazio-tempo.
Da qui si muove la critica di Bergson, e che si riscontra concretamente nell’opera Durata e simultaneità del 1922. Bergson muove due critiche distinte ma complementari alla teoria della relatività, una filosofica e una più puramente matematica. Per spiegarle possiamo partire proprio dal titolo dell’opera. Difatti la parola “durata” è di fondamentale importanza per Bergson, con cui definisce la natura stessa del tempo fatta di istanti. Ad esempio: una canzone dura sei minuti, per lui quella durata non è quella della canzone percepita, bensì l’intervallo fra l’istante in cui è iniziata e l’istante in cui è terminata. Quindi il tempo in Bergson si identifica più nello spazio: l’orologio non misura il tempo, bensì la distanza percorsa dalle lancette che noi suddividiamo in unità misurabili; è l’istante a costituire la durata. L’altra parola chiave è “simultaneità”. Partendo proprio dalla teoria di Einstein per cui lo spazio-tempo, a causa della sua relatività, non può essere usato come parametro oggettivo di confronto, Bergson ne deriva il concetto di simultaneità: degli eventi avvengono nello stesso istante nel tempo e nello spazio simultaneamente. Da tutto ciò Bergson concepisce due facce distinte ma gemelle del tempo: – un tempo quantitativo, ovvero il tempo delle scienze, quello fisico-matematico perfettamente calcolabile e che si limita a riprodurre l’idea dello spazio geometrico; che possiamo immaginare come le diapositive messe in ordine e che si susseguono nella pellicola di un film; – un tempo qualitativo, cioè quello della nostra vita interiore, della coscienza che si esprime nella durata e negli istanti unici, che ci fornisce la memoria e grazie alla quale possiamo ricordare il passato, soprattutto gli attimi più importanti della nostra vita. Quindi che cos’è il tempo per Bergson? E come si fa a misurare? Ritorniamo alla durata e alla simultaneità. Il filosofo francese afferma che la simultaneità degli istanti deve trovare posto nel flusso di durata interno (a noi, cioè nella coscienza), solamente così gli istanti si trasformano in tempo.
Il limite che Bergson individua nella teoria di Einstein è la mancanza della coscienza, della dimensione soggettiva della temporalità. Perché per quanto possa essere accurata matematicamente la misurazione, essa non arriva mai a cogliere quello che c’è fra le estremità, cioè non riesce a vedere cosa c’è nell’intervallo che passa fra gli istanti. Per Bergson questo è fondamentale, perché è solo l’intervallo a essere veramente vissuto dal soggetto. In altre parole, Einstein si è fermato alla misurazione e non è andato oltre, per lui la relatività del tempo (e quindi la soggettività) è solamente un fatto di percezione che può essere spiegato matematicamente. Bergson va oltre, afferma che la soggettività del tempo è tale grazie alla coscienza, che ogni individuo vive il tempo in maniera diversa.Questa polemica non è rimasta confinata agli scambi epistolari o sui libri. Nel 1922 a Parigi viene organizzato dalla Société de Philosophie un convegno sulla teoria della relatività, al quale partecipano sia Bergson sia Einstein. Il filosofo francese interviene ripercorrendo i punti salienti di Durata e simultaneità; Einstein risponde che a suo avviso il tempo di un filosofo non è lo stesso del tempo di un fisico, perché si approcciano ad esso in maniera diversa. Einstein risponde con la filosofia alla filosofia, ma così facendo va a confermare indirettamente la dimensione soggettiva del tempo.