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di Roberta Giannì
Il miele costituisce un’importante risorsa nell’ambito socio-ecologico di un territorio. Denso, di facile consumo e digestione, è una delle principali fonti di energia nella dieta umana, con grassi e proteine, tutti elementi che ne dimostrano lo sfruttamento nel corso dell’evoluzione umana.
Solo recentemente gli studiosi hanno focalizzato la loro attenzione sul ruolo effettivo del miele nella dieta dei primi ominidi; infatti, al contrario del ben noto ruolo di carne, piante, semi e frutti, il consumo dei prodotti ricavati dagli alveari è stato per lungo tempo tralasciato. Il miele liquido contiene tra l’80 e il 95% di zucchero, è un concentrato di fruttosio e glucosio, contiene minerali e vitamine, e quando combinato con le larve di api, costituisce con esse un’importante risorsa energetica con grassi e proteine, una risorsa di alta qualità che per lungo tempo ha caratterizzato la dieta umana.
Sono diversi gli esempi di arte rupestre, datata tra i 40.000 e gli 8.000 anni fa, che mostrano lo sfruttamento di api e miele in territori dell’Africa meridionale, dell’India, della Spagna e dell’Australia. Le pitture in questione illustrano la raccolta del miele attraverso immagini raffiguranti nidi d’ape, sciami e uomini a contatto con alveari, questi ultimi rappresentati in forma ovoide e colorati in bianco e nero. Sono le pitture rupestri a costituire una prova del possibile sfruttamento del miele da parte di antiche popolazioni, data la scarsa presenza di significative prove archeologiche a causa della deperibilità dei composti organici.
Una di queste proviene dalla cultura Nok, una delle culture preistoriche più note nei territori dell’Africa occidentale. Nata intorno alla metà del secondo millennio a.C. e protrattasi per un periodo di 1500 anni, è caratterizzata da eccezionali figurine in terracotta, le quali costituiscono una prima forma di arte figurativa di grandi dimensioni in Africa al di fuori dell’Egitto, e da una prima produzione di ferro in quei territori, attività collocata intorno al primo millennio a.C. La popolazione di questi insediamenti si dedicava all’agricoltura e basava la propria dieta sul miglio (Pennisetum glaucum) e il fagiolo dall’occhio (Vigna unguiculata); non è ben chiaro se il consumo di carne fosse garantito dalla domesticazione o dipendesse dalla caccia, data l’assenza di resti ossei animali a causa di terreni troppo acidi.
A seguito di indagini sul territorio, ben 12 siti appartenenti ai periodi Primo, Medio e Tardo della cultura Nok, hanno restituito 458 frammenti ceramici i quali hanno rivelato, a seguito dell’assemblaggio, una predominante presenza di forme ceramiche dall’orlo invertito e con un corpo dal diametro di 20-30 cm.
Le analisi chimiche sulla ceramica hanno rivelato la presenza di tre gruppi di lipidi: il primo era caratterizzato da acidi grassi, palmitici e stearici, tipici del grasso animale deteriorato; il secondo comprendeva lipidi ricavati dalla lavorazione di varie tipologie di piante; il terzo gruppo di lipidi, 25 in tutto, rimandava alla presenza di cera d’api, presente in oltre un terzo della ceramica e indicatore di una lavorazione del miele da parte delle popolazioni appartenenti alla cultura Nok ma non del periodo successivo, la cui ceramica non mostra tracce inerenti a tale pratica.
Un alveare, quando disponibile, era in grado di fornire all’uomo un grande quantitativo di prodotti utili non solo in campo alimentare, ma anche in quello medico, cosmetico e tecnologico. L’alto contenuto di zucchero, diverse vitamine essenziali, minerali, proteine e grassi rendono questi prodotti importanti risorse energetiche per l’uomo. Miele, pappa reale e propoli, sostanza resinosa di origine vegetale raccolta dalle api, hanno ben note proprietà bioattive – la propoli è particolarmente nota per le sue proprietà antisettiche e anestetiche -, risultando particolarmente utili in campo medico, tanto in Africa occidentale quanto nel resto del mondo.
Importante, sin dal Paleolitico, l’utilizzo tecnologico: date le sue caratteristiche di materiale isolante e impermeabile, nelle prime fasi del Neolitico la cera d’api era ampiamente utilizzata nella produzione ceramica del Nord Europa, e se mischiata col sevo, un grasso di origine animale o vegetale, permetteva di produrre candele, come è emerso dal sito medievale di West Cotton, nel Northamptonshire, Inghilterra. Si presume che la presenza di cera d’api nella maggior parte delle forme ceramiche della cultura Nok, identificata attraverso l’analisi della distribuzione dei lipidi, sia la conseguenza di una lavorazione da parte dell’uomo. L’alta concentrazione di lipidi in alcune di queste ceramiche potrebbe essere correlata all’utilizzo di queste ultime in processi di cottura o riscaldamento del miele, forse utilizzate assieme ad altre forme ceramiche come piatti, o mantenute come semplici contenitori per la conservazione del prodotto.
Oggi, le moderne popolazioni dell’Africa occidentale si servono ancora del miele e del resto dei prodotti correlati alle api: è comune la presenza di alveari che queste popolazioni mettono a disposizione delle api che ne sono sprovviste, affinché possano colonizzarli. Non è da escludere che le antiche popolazioni di questi territori abbiamo nel tempo trasmesso le loro conoscenze sulle api a indigeni cacciatori-raccoglitori, entrando in contatto con loro. Fonti storiche ed etnografiche illustrano inoltre la presenza in questi territori di una grande varietà di bevande alcoliche e non, prodotte con vari ingredienti tra cui anche il miele: lo storico Ibn Battuta, in visita nel 1352 nella città di Walata, in Mauritania, descrisse una bevanda servita ai ricevimenti dei mercanti del Maghreb prodotta con un mix di miglio macinato, miele, latte e acqua. Non si esclude dunque la possibilità, sebbene le prove archeologiche siano scarse, che la ceramica della cultura Nok ritrovata potesse essere stata utilizzata per la produzione di bevande simili per mantenere ben saldi i rapporti di tipo politico, sociale ed economico, produzione poi tramandata fino a oggi e utilizzata dalle moderne popolazioni.
La ceramica Nok e l’identificazione di cera d’api al suo interno sono un’importante testimonianza del fatto che già 3500 anni fa, le antiche popolazioni dell’Africa occidentale conoscevano il potenziale dei prodotti delle api che utilizzavano per innumerevoli scopi.
Bibliografia
Crittenden, A. N. The importance of honey consumption in human evolution. Food Foodways 19, 257–273 (2011);
Dunne, J., Höhn, A., Franke, G. et al. Honey-collecting in prehistoric West Africa from 3500 years ago. Nat Commun 12, 2227 (2021).