Intervista ad Andrea De Siena

Foto di Isabella Tedesco


a cura di Renato De Capua

Foto di Giuseppe di Viesto

Danzatore di San Vito dei Normanni (in provincia di Brindisi), danza con diverse formazioni di musica tradizionale come i Taricata, i Trillanti ed EtnoMusa (primo gruppo di musica etnica universitario in Europa) e collabora con alcune figure di spicco nel panorama della musica e della danza tradizionale come Massimiliano Morabito, Veronica Calati, Fabrizio Piepoli, Davide Conte, ecc. Laureato in Filosofia all’Università La Sapienza di Roma, da anni danza nell’Orchestra Popolare Italiana del Maestro Ambrogio Sparagna con cui si è esibito, tra gli altri, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, al Teatro di Verdura di Palermo, al Teatro Nazionale di Tunisi. Nel 2014 è nel corpo di ballo de La Notte della Taranta diretto dal Maestro Miguel Ángel Berna con il quale intraprende un periodo di studio per due anni. Riconosciuto come uno tra i migliori e più giovani interpreti del suo genere, Andrea De Siena cerca di declinare il repertorio della danza tradizionale italiana secondo le sensibilità di oggi – seguendo un’idea di “tradizione” non statica, cristallizzata e folkloristica, ma dinamica e originale, nella quale la ricerca delle movenze del passato, unita all’analisi dei contesti storici e sociali dai quali quelle movenze provengono, danno come risultato una danza dal sapore antico eppure contemporanea che cerca di rappresentare il contesto nel quale viviamo oggi, anche attraverso l’evoluzione e lo sviluppo delle movenze stesse. Nel 2016 partecipa allo spettacolo Japan Orfeo di Stefano Vizioli e Aaron Carpenè – una rappresentazione inedita dell’Orfeo di Monteverdi a Tokyo e Kamakura, mentre nel 2018 è in Cina con il Teatro Pubblico Pugliese per rappresentare, a Shenzhen, la Regione Puglia. Insegna danze tradizionali in Italia e in Europa cercando di sviluppare un metodo che lega profondamente insieme la musica e la danza. Dal 2018 collabora stabilmente con l’Orchestra Popolare del Saltarello del Maestro Danilo di Paolonicola. Nel 2019 inizia la sua collaborazione con il trio La Cantiga de la Serena (Giorgia Santoro, Fabrizio Piepoli e Adolfo La Volpe). Dal 2016 è tra i fondatori e si occupa della Scuola di Pizzica di San Vito, nel quale svolge il ruolo di coordinatore della sede di Roma, insegnante, ballerino e con le prime esperienze in qualità di coreografo.

Quando e dove hai cominciato a muovere i tuoi primi passi con la danza?

In quarta elementare, a scuola. Un progetto formativo che permise a noi bambini di scoprire la pizzica pizzica. Nel mio caso, per esempio, tutto cominciò con Rosanna Gagliani che ci disse “c’era una volta una ragazza che si chiamava Maria” – e così scoprimmo il tarantismo. Quando poi alcuni musicisti del gruppo Taricata iniziarono a suonare la pizzica io mi misi a saltellare senza sapere cosa stessi facendo, mi ricordo che provai a fare la ruota! Insomma, posso sintetizzare dicendo che la cosa mi colpì molto. Soprattutto se penso che quando ci facevano provare altre danze come la polka, la quadriglia io piangevo perché non avevo nessuna intenzione di muovere un passo.

Pensavi che la danza sarebbe diventata così importante per la tua vita?

Foto di Isabella Tedesco

No, non subito. All’inizio la vivevo come la vive un bambino. Franco e Marenza mi portavano alle feste in campagna dove a volte si suonava, cantava e ballava e mi riportavano a casa che dormivo. Poi la mia grande passione era il calcio, giocavo per strada e sognavo grandi stadi. E ora grandi teatri. Le cose cambiano e sono cambiate quando avevo 17 o 18 anni. A quel punto ho cominciato ad interessarmi alla danza in maniera più curiosa e matura. Aspettando, guardando e provando senza sapere dove mi potrebbe portare questo percorso. È cambiato l’atteggiamento. E io mi lascio portare da questo flusso cercando di avere una visione aperta, consapevole e umile. Adesso credo che sia diventato il mio lavoro, mi piace pensarmi in maniera professionale e proporre i lavori che sviluppo insieme a tante persone con entusiasmo e serietà. Adesso posso pensare di avere gli strumenti per gestire al meglio il percorso che ho avuto la fortuna di intraprendere e quindi cercherò di sfruttare al meglio tutte le opportunità che verranno.

Foto di Simona Fiumicino

Perché c’è bisogno di valorizzare i canti e i ritmi di questa terra?

Non so se “valorizzare” sia la parola più adatta. I nostri canti e le nostre danze sono meravigliosi e la nostra terra a suo modo è già nota per la sua bellezza. Io credo che siano importanti perché ci dimostrano che siamo gente creativaabbiamo un “patrimonio immateriale” che ci racconta come eravamo (com’erano i nostri nonni e bisnonni). Gli interpreti e i contesti sociali che si sono stratificati nel corso degli anni hanno dato alla luce musiche, tecniche e saperi che insieme hanno dato vita ad un linguaggio che ha una sua peculiarità. È questa, a mio avviso, la responsabilità che sento e  mi piace avere: continuare a far vivere questo linguaggio, portandolo ad essere leggibile dai nuovi contesti sociali e generazionali. È continuare la tradizione raccontando la nostra generazione. Oggi questo può voler dire anche fare delle performance davanti ad un pubblico, magari anzi insieme al pubblico (e si restituirebbe anche il senso della partecipazione). Esistono tanti approcci e tanti contesti (dalla festa che si organizza in campagna per il compleanno, allo spettacolo in piazza o per le vie del paese, ai teatri e alle scuole di danza e di musica) ed è per questo che abbiamo bisogno che i nostri canti e le nostre danze sappiano stare in diversi contesti ed essere leggibili dalla gente. Quindi alla fine in un certo senso anche questo è “valorizzare”, se con questa parola intendiamo “dare il giusto valore”, raccontare ciò che siamo.

C’è un canto della “terra del rimorso” al quale sei più affezionato?

Non una sola, ma diverse melodie e diversi canti a cui sono affezionato. Innanzitutto la melodia della “Pizzica di San Vito in La minore”; poi sono molto legato ai brani di Eugenio Bennato come “Sponda Sud” e “Che il Mediterraneo sia”, che per me hanno rappresentato la nuova sensibilità legata al Mediterraneo, un Mediterraneo meridionale. Fonte di ispirazione costante è il lavoro su “Le Tarantelle del Rimorso” di Pino De Vittorio, legate indissolubilmente al testo di De Martino ma non solo.

È molto in voga la credenza che “la pizzica sia una danza di corteggiamento”. Quanto c’è di vero in questa affermazione?

La pizzica, secondo me, non è una danza di corteggiamento in valore assoluto. Sarebbe riduttivo pensarla in questo modo. La pizzica pizzica è una danza universale che assume diversi significati mentre danziamo. Se ballo con mia mamma non la corteggio, ci gioco come fa un figlio. Se danzo con un mio amico o con un signore posso danzare per condividere un momento attraverso un’arte popolare. Certamente posso anche danzare assumendo il gioco del corteggiamento, ma definire “danza di corteggiamento” la nostra pizzica non sarebbe una definizione appropriata. Credo che si sia confuso il concetto di “attrazione”: la musica è travolgente, ci attrae con la sua forza e il suo ritmo. Penso che l’aspetto “erotico” si noti in questo aspetto più che nel corteggiamento mentre si danza. È come se fosse un fuoco interiore che ci fa muovere – poi chiaramente essendo una danza questo si nota. Un danzatore mosso da questo fuoco è autentico, è tradizionale. E chiaramente attrae a diversi livelli.

Eros e danza. Mondi diversi o amanti con forti affinità elettive?

Foto di Valeria Taccone

Eros muove, la danza muove. Credo che la danza sia l’espressione più autentica della forza dell’attrazione. Quando dico questo, mi riferisco al fatto che la danza non deve essere vista come qualcosa di puramente corporeo, quanto meno perché implica una certa necessità, un impulso immateriale. Non è tanto la mente e il corpo che si uniscono nella danza, quanto la nostra parte emozionale e ancestrale che trova una modalità di linguaggio non verbale attraverso il corpo. Ecco perché è affascinante, perché racconta tanti livelli diversi (dalla storia legata ad un gesto che può raccontare la natura di un popolo come nelle danze tradizionali, fino alla gioia o alla tristezza attraverso l’energia che ci mettiamo quando danziamo). In qualche modo anche la parola “eros”, che ha innumerevoli sensi, può essere letta allo stesso modo: una forza che implica la necessità di cercare, o al contrario una forza che ci attrae e ci spinge verso l’oggetto desiderato (uno stato d’animo, una persona, un bisogno fisico, la gloria, ecc…). Spesso Eros ci fa danzare, certamente.

Quali sono i progetti di cui ti fai portavoce e le tue prospettive per il futuro?

Foto di Cosimo Trimboli

Mi auguro di continuare a lungo questo percorso, cercando di proporre a me stesso e poi agli altri nuove sfide. Il bello del percorso sta anche nella varietà, bisogna sapere e capire che fare un percorso vuol dire mettersi costantemente in gioco.
In questo momento sono impegnato su diversi progetti che in modi diversi mi stimolano e mi tengono parecchio impegnato. Innanzitutto il prossimo 30 novembre debutteremo con il primo spettacolo della Scuola di Pizzica di San Vito dal titolo “L’8 passo” (l’ottavo passo). Creato insieme a World Music Academy (del quale facciamo parte come progetto speciale), Teatro Menzatì ed ExFadda (il laboratorio che da anni ci ospita a San Vito dei Normanni) e con il sostegno della Regione Puglia, sarà un tentativo di mettere in scena il mondo della pizzica a 360°, attraverso quattro canali di ricerca sperimentale che abbiamo sviluppato e che corrispondono a quattro temi centrali nella narrazione contemporanea della danza e della musica tradizionale: l’innovatore che cerca di tenersi sul solco della tradizione; la danzatrice; i giovani; la figura del maestro. Per questo spettacolo abbiamo avuto l’onore di collaborare con Katerina Bakatsaki, docente di danza contemporanea ad Amsterdam che ha curato la supervisione del lavoro. E poi ho avuto la possibilità di affidarmi alla direzione generale di Valentino Ligorio che ora posso considerare un mio amico. Speriamo di poter portare questo spettacolo in molte città per avere modo di condividere la nostra ricerca anche fuori dall’Italia magari – sarebbe un sogno.
Poi c’è la Capitale. Vivo a Roma da molti anni e insieme a tante persone abbiamo creato una comunità di appassionati studiosi e amici con cui portare avanti il movimento della pizzica portando vicino i migliori artisti con cui possiamo avere modo di confrontarci e imparare. Imparare è una parola molto importante.
Mi piace lavorare sulla didattica perché mi sento portato e imparo ogni giorno come pormi al meglio davanti a tante persone che trovo nei vari corsi e laboratori sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista tecnico e professionale. Attualmente sono impegnato regolarmente con i corsi a Roma e nelle Marche, mentre in tutta Italia sarò attivo con un calendario di laboratori.
A Roma c’è anche il mio laboratorio coreografico stabile, una “fucina” aperta lo scorso anno con le persone che come me si sono messe in gioco per un percorso di tipo sperimentale. Abbiamo dato vita a “Tessere – Trame di Musica e Danza”, uno spettacolo costruito con i Musaica e che è andato in scena per la prima volta lo scorso 4 luglio a Teatro Greco di Roma. Vedere il teatro gremito e soddisfatto dopo lo spettacolo è stato un grande orgoglio sia per me e sia per gli oltre 30 interpreti in scena. Quest’anno stiamo preparando uno spettacolo nuovo che vedrà insieme artisti del calibro di Vincenzo Gagliani, Fabrizio Piepoli, Luca Rossi suonare insieme al mio caro amico Davide Ambrogio che curerà anche gli arrangiamenti. Ci divertiremo.

Mi auguro questo: di lavorare bene, di imparare tante cose nuove, di divertirmi, di danzare in grandi palcoscenici in piccole ronde in feste di persone a cui voglio bene, grandi piazze e piccole strade, il tutto animato dallo stesso fuoco.