Intervista a Lorenzo Tosa per “Clinamen”

a cura di Alessia S. Lorenzi   

Lorenzo Tosa

Oggi incontriamo Lorenzo Tosa, giornalista, opinionista che da anni si occupa di comunicazione. Nel gennaio del 2019 ha lanciato il suo blog, “Generazione Antigone”. Una grande piazza virtuale o, come lui stesso la definisce, “Uno spazio pubblico in cui venire a passare un po’ di tempo quando vi sentite soli, stanchi, rassegnati. Generazione Antigone non è un mero fatto anagrafico. È un modo di sentire. Di dare i nomi alle cose. Siamo noi, voi, le nostre idee, la nostra ostinazione.

Con oltre 400mila follower che aumentano di giorno in giorno,  la sua è una delle pagine Facebook personali più seguite in Italia perché lui ha una forza comunicativa straordinaria.
Lorenzo ci racconterà un po’ di lui e del suo libro “Un passo dopo l’altro” (Mondadori).
Un passo dopo l’altro”, sembra un po’ la frase che si dice ai bambini che stanno imparando a camminare, un incoraggiamento per insegnare loro a stare in piedi, imparare a essere indipendenti, ma pian piano, step by step.
Ciò che mi ha colpito subito di questo libro è stata la frase che risalta in alto sulla copertina: “Viaggio nell’Italia che resiste, nonostante tutto”.

Mi ha colpito e incuriosito questo “viaggio nell’Italia che resiste” che non è un viaggio immaginario, ma un viaggio vero e proprio, attraverso storie e personaggi che impareremo ad amare e forse a imitare per imparare a resistere alle intemperie della vita.
È un viaggio nell’Italia bella, un passo alla volta, una storia dopo l’altra con emozioni che si intrecciano e ti cambiano, passo dopo passo, storia dopo storia.
La lettura è uno dei miei passatempi preferiti: trovo che leggere ti proietti in un mondo speciale, credo ti faccia intraprendere un viaggio dal quale tornerai sicuramente cambiato… altrimenti il libro non ha svolto la sua funzione principale, quella di farti crescere.
“Un passo dopo l’altro” è uno di quei libri che ti cambiano. È un libro che consiglio perché è un percorso meraviglioso attraverso la vita di tanti protagonisti, uniti da niente apparentemente, perché sono personaggi molto diversi tra di loro, ma uniti da un filo invisibile eppure comune, come l’amore per la vita.
È un libro che si legge tutto d’un fiato, un libro che ti scuote, che ti urla dentro, che ti fa riflettere. È un percorso di sentimenti, di vite che si intrecciano, di racconti che svelano i caratteri di personaggi animati di grande coraggio, di messaggi importanti che dovremmo custodire dentro di noi…
È un libro che va dritto al cuore, che apre una finestra dal quale osservare la vita senza i rumori di sottofondo, solo al ritmo delle  emozioni che queste storie hanno la capacità di trasmettere.
Un passo dopo l’altro, un viaggio dopo l’altro e Lorenzo Tosa ci porta nell’Italia che resiste, nell’Italia che sa stupire, tra storie incredibili dove la solidarietà di pochi riesce a superare l’indifferenza di molti.  Personaggi noti e meno noti si alternano in questo straordinario viaggio. Un libro che consiglio perché dopo averlo letto, un po’ della bellezza di alcuni personaggi resterà dentro di voi.

Non mi piace anticipare altro di questo splendido lavoro, preferisco lasciare a voi la meraviglia di scoprirlo pagina dopo pagina.
Ho fatto una chiacchierata con l’autore che, con grande disponibilità, ha acconsentito a soddisfare qualche mia curiosità.

Friedrich Nietzsche diceva “Siate appassionati fino all’intelligenza“, esiste ancora questa “passione” nel giornalista di oggi? Quali sono i principi che dovrebbero muovere l’indagine giornalistica?   

Me lo auguro, perché senza quella passione, senza quella curiosità istintiva, quasi primordiale, quella “passionaccia”, come si chiamava un tempo, non solo non ci sarebbe il buon giornalismo ma non ci sarebbe proprio il giornalismo. Purtroppo quello che offre il panorama attuale è abbastanza sconfortante, tra giullari, saltimbanchi, organi di partito travestiti da trasmissione televisive e, più in generale, una specie di postura sempre più ingobbita, ripiegata su se stessa, quasi fisicamente, da parte di giornalisti che, invece di fare domande (e pretendere risposte), spesso si limitano a reggere un microfono. Per questo restiamo così sbalorditi quando una giornalista della Nbc, Savannah Guthrie, a un dibattito televisivo inchioda l’uomo più potente del mondo dicendogli testualmente: “Lei è il Presidente degli Stati Uniti, non lo zio pazzo che twitta quello che vuole”. Ecco, la verità è che noi a questo tipo di giornalismo non siamo mai stati educati, non è proprio nella storia e nella cultura di questo Paese. E così accade che le poche eccezioni come “Report” passino più tempo a difendersi dalle querele che a lavorare alle inchieste. Abbiamo parecchia strada ancora da fare.   

Al di là delle tue idee politiche, come vedi questo periodo che stiamo vivendo? Periodo in cui la gente non conosce o ha smarrito il senso della vita, non riesce a distinguere ciò che è bene da ciò che è male, ha difficoltà a capire il prossimo, ha perso l’umanità, la sensibilità, l’empatia… Scambia per pericolo e per minaccia tutto ciò che non conosce, ciò che è diverso e cerca in tutti i modi di combatterlo. Cosa ti colpisce di più di tutto questo?   

Lo vivo con un misto di rassegnazione e frustrazione. Quando, a marzo, ci siamo ritrovati tutti dentro una pandemia di cui nessuno sapeva nulla, in molti si davano di gomito: “Beh, guardiamo il lato positivo” dicevano. “Con il Coronavirus sono spariti tutti i No-Vax”. In realtà non erano spariti, si stavano solo riorganizzando. E, al momento buono, sono tornati più violenti, incattiviti, irrazionali, deliranti e agguerriti che mai. E in numero tale che non si era mai registrato prima d’ora nella storia recente. Solo che ora, invece di chiamarsi No-vax, si chiamano No-mask, negazionisti, riduzionisti. Ma la verità è che sono solo la nuova versione di un fenomeno molto più esteso che ha preso i tratti peggiori del complottismo, li ha miscelati con le nuove ondate di populismo degli ultimi anni e ha mescolato il tutto con quei fenomeni di destra estrema, fascismo e sovranismo che ovunque nel mondo prosperano. Risultato? Prima o dopo, grazie anche alla scienza, alle nuove cure e – speriamo – ai vaccini, sconfiggeremo il virus. In qualche modo forse riusciremo anche a rimettere insieme a fatica i cocci di un’economia al collasso. Ma questo clima, questa deriva culturale e sociale no. Per tornare ad essere un Paese civile forse non basteranno decenni.   

Dalla lettura del libro, mi è sembrato di capire che per te sia stato molto naturale scriverlo, quasi come se fosse una necessità, un bisogno di “urlare” a un mondo, talvolta “sordo”, determinati valori … È così?   

È il più bel complimento che potessi farmi. In effetti, c’è molto di vero. Quando ho cominciato a scrivere questo libro, credevo che sarebbe stato faticoso mettere insieme e intrecciare storie così lontane nel tempo e nello spazio. E, invece, più mi sono immerso nella scrittura, più mi sono reso conto di come il libro uscisse fuori quasi da solo con un’urgenza e una naturalezza che non immaginavo, quasi quelle storie fossero già lì e attendessero solo di essere scritte. Michelangelo sosteneva che la statua finita esistesse già in potenza nelle venature del marmo e il compito dello scultore fosse quello di scolpire via tutti quei blocchi che impedissero di vederlo. Lui parlava di capolavori. Io, nel mio piccolo, ho provato a fare la stessa cosa, lavorando per sottrazione e cercando di puntare il faro in quel punto esatto in cui le storie di questi personaggi noti o meno noti franano e si ricompongono, facendosi storia universale.  

All’interno del tuo libro sono racchiuse storie di varia natura. Umanità e disumanità coesistono tra le pagine, così come nell’esistenza. Quale lezione si può trarre da questo per le future generazioni?   

Non so se esista una lezione che si può trarre da queste pagine. Mi accontenterei se, soprattutto i giovani, leggendo questo libro, si portassero a casa una mappa – una delle tante possibili – di un Paese che, negli ultimi due anni, è inciampato in un clima sempre più pesante di odio civile, sociale, culturale, persino politico. Una mappa non indica nessuna strada o rotta precisa da seguire. Ma, se è scritta sufficientemente bene e con abbastanza fedeltà per i dettagli, ti permette di orientarti nell’ignoto. È il caso di Liliana Segre e della sua amicizia pluridecennale con Luciana Sacerdote, con cui ha condiviso l’orrore dei campi di sterminio ad Auschwitz. La loro non è solo una storia di sofferenza e di rinascita ma, prima ancora, di solitudine e amicizia e su due modi diversissimi di reagire all’orrore indicibile, una volta rientrate a casa: una richiudendosi sempre di più in un testardo rifiuto di dialogo con l’esterno e l’altra aprendosi al mondo, diventando negli ultimi trent’anni della sua vita la più grande testimone vivente dell’Olocausto. Non c’è un modo giusto e uno sbagliato per reagire. Una volta calato il sipario sulla Storia, quella con la S maiuscola, restano le persone, con le loro virtù, le loro debolezze, la loro coscienza. È attorno a questa faglia impercettibile che il libro corre dall’inizio alla fine, senza la pretesa di insegnare nulla a nessuno ma provando a fornire una chiave diversa sul presente in cui viviamo.   

Essere giornalista, come insegni tu stesso, significa anche raccontare la bellezza e saperla cogliere. C’è una bella storia che ti porti dentro?   

Ogni storia di questo libro è come un figlio, ed è impossibile sceglierne una. Di sicuro quella che più mi è entrata dentro è quella di Mailuna, la giovane migrante che ho conosciuto proprio su quel treno mentre subiva una delle più violente aggressioni razziste a cui mi è mai capitato di assistere. Ma la cosa che ancora oggi più mi sconvolge è che nessuna delle cinquanta persone presenti sullo scompartimento si siano alzate per difendere questa ragazza palesemente indifesa e in difficoltà, a presidiare il proprio metro quadrato di dignità e democrazia. Il fatto di essermi alzato non fa di me un eroe ma solo un normale cittadino. Ed è proprio quella la postura, la tensione che si è persa oggi nella società: la convinzione di far parte di un sistema collettivo nel quale ognuno è chiamato a fare la propria parte. Quando manca questa consapevolezza, frana del tutto quell’intero sistema di regole, valori, codici comuni su cui si è sempre basato il vivere comune. E l’emergenza Coronavirus lo sta mettendo drammaticamente a nudo in tutta la sua essenza.

Un grande in bocca al lupo a Lorenzo per questo suo lavoro e un grazie per il suo essere sempre, con coraggio e determinazione, dalla parte di quell’Italia che sa resistere, nonostante tutto.