Alfonso Martino
La riapertura dei cinema è coincisa con la volontà dei distributori di portare al pubblico i film candidati agli ultimi Oscar, come Nomadland e Minari, e allo stesso tempo cult come In the Mood for Love, diretto da Wong Kar-Wai e uscito ventun anni fa. L’opera riesce ad essere ancora attuale sia dal punto di vista tecnico, grazie a una versione restaurata che non stanca gli occhi durante la visione, sia per come il regista tratta l’amore: un metodo che verrà ripreso quattro anni dopo da Sofia Coppola per il suo celebre Lost in Translation.
Protagonisti della vicenda sono Chow e Su Li, un giornalista e una segretaria che si ritrovano a traslocare nello stesso momento e nello stesso palazzo a Hong Kong nel 1962. I due, oltre a essere vicini di casa, condividono il fatto di essere coinvolti in una relazione che non li appaga, con i rispettivi partner impegnati in viaggi di lavoro e mai mostrati per tutta la durata del film.
Hong Kong fa da cornice a questa storia d’amore particolare attraverso sequenze notturne e caratterizzate dalla pioggia, omaggiando film come Casablanca e allo stesso tempo sottolineando le difficoltà a cui vanno incontro i due protagonisti, osteggiati in particolare dal chiacchiericcio dei vicini e dei rispettivi coinquilini, i quali rappresentano una presenza costante in tutta la pellicola.
La carica espressiva del film è accentuata dalla regia di Wong Kar-Wai grazie a inquadrature strette, che restituiscono allo spettatore la sensazione di claustrofobia e isolamento che provano i due protagonisti, sia nelle sequenze in cui i due sono alle prese con i loro rispettivi lavori e ancor di più quando condividono la scena.
L’amore tra i due non sfocia mai sul versante fisico, ma nasce dall’esigenza di due individui di colmare un grande senso di solitudine. Il contatto fisico si limita allo sfiorare una mano durante il ritorno a casa in taxi da una cena, con la macchina da presa che indugia sul tremore di Su Li, o a un abbraccio sotto la pioggia prima di rientrare ognuno al proprio appartamento.
A sostenere questa vicenda c’è la colonna sonora, composta da pochi motivi ma che ritornano spesso come Aquellos Ojos Verdes di Nat King Cole e Quizàs, Quizàs, Quizàs, le quali scandiscono le fasi della relazione che coinvolge i due protagonisti.
Nel finale, Wong Kar-Wai concede delle sequenze più aperte, spostando l’ambientazione da Hong Kong ad un tempio buddista in Cambogia, lasciando allo spettatore una storia piena di passione e umanità, che riesce ancora adesso ad essere contemporanea e fuori dal tempo allo stesso momento.