Lo scenario

Il Kazakistan preoccupa la Russia di Putin

di Nicolò Errico

Il 2 gennaio migliaia di dimostranti sono scesi nelle strade della capitale del Kazakistan, Nur-Sultan, contro l’aumento dei prezzi del GPL, ampiamente usato nei trasporti del paese. La protesta si è estesa velocemente al paese ed è diventata una contestazione più generale contro il sistema dittatoriale de facto che regge il paese dallo scioglimento dell’URSS nel 1991. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica infatti, la Repubblica del Kazakistan è stata retta sempre dallo stesso uomo, Nursultan Ábishuly Nazarbaev, fino al 2019. In seguito a un’ondata di proteste, il Presidente – eletto ripetutamente in elezioni ritenute dall’OSCE (Organization for Security and Cooperation in Europe) scarsamente democratiche con un parlamento privo di opposizione, ha lasciato il posto a Qasym-Jomart Qemelevič Toqaev, fedele membro del partito al potere – Nur Otan.
L’esplosione della contestazione a inizio 2022 ha fatto tremare l’establishment kazako, che ha deciso di rispondere con la forza, dichiarando che i manifestanti erano stati cooptati da terroristi stranieri, inviati dall’Occidente per destabilizzare il paese. Toqaev ha autorizzato il massimo uso della forza per la repressione e, dichiarando la presenza di terroristi nel paese, ha potuto attivare il Trattato di Sicurezza Collettiva (TSC). Specularmente alla NATO, il trattato comprende diversi paesi dell’ex-URSS in un’organizzazione di cooperazione militare e di sicurezza.

Grazie all’attivazione del TSC, la Russia ed altri paesi membri dell’Organizzazione del Trattato (OTSC) hanno potuto inviare truppe a sostegno del governo centrale. Missioni di peace-keeping a guida russa sotto lo schema OTSC sono già presenti in Transnistria e Nagorno Karabakh. Le notizie di spari al momento dell’ingresso dei russi in Nur-Sultan non sono state confermate, ma bisogna considerare il limitato accesso all’informazione imposta dall’emergenza.

Il 12 gennaio Toqaev ha annunciato che i 2500 militari dell’OTSC lasceranno il paese a partire dal 14 gennaio. Infatti, la repressione ha funzionato: con un bilancio ufficiale di 26 manifestanti e 18 poliziotti morti e di migliaia di feriti, le proteste sono state spente – per lo meno agli occhi dell’opinione pubblica. Nel tentativo di calmare gli animi, Toqaev ha accusato il predecessore di aver creato una classe di oligarchi corrotti e ha promesso di imporre una tassa sui super-ricchi che andrà a finanziare un fondo sociale rivolto alla popolazione, insieme allo stop sull’aumento del GPL.

L’intervento russo nella Repubblica del Kazakistan ha dimostrato quanto Putin rimanga un riferimento per l’establishment politico post-sovietico, in competizione con la più debole influenza occidentale. Non deve sorprendere: le relazioni tra Russia e Kazakistan sono sempre state strette ed amichevoli.  Ma dimostra anche la grande difficoltà di Putin nel mantenere il patronato sulle vecchie Repubbliche sovietiche, alcune delle quali sono entrate in conflitto con Putin nell’arco della sua presidenza – basti pensare all’Ucraina, alla Georgia, o alla forte ostilità politica da parte delle Repubbliche baltiche.
Anche la Cina ha offerto aiuto al governo kazako, così come l’Occidente – le compagnie petrolifere statunitensi, ad esempio, hanno importanti investimenti nel paese.

La Cina, in particolare, vuole la stabilità di un paese che ha un ruolo centrale nel progetto della China’s Belt and Road Initiative – meglio conosciuta come Nuova via della Seta – ma che allo stesso tempo vuole avere una scarsa presenza militare all’estero. La Russia, al contrario della Repubblica Popolare cinese, ha a disposizione solo l’intervento militare – o la leva dell’export di gas, non applicabile in questo caso – per tenere il controllo sulle sue aree di influenza – o per imporlo.

I due atteggiamenti divergenti in termini di intervento militare ed economico verso l’estero fanno sì che Cina e Russia al momento non entrino in conflitto – nonostante le evidenti antipatie per le ambizioni egemoniche di entrambi -, ma che anzi, si completino, dando un importante supporto al governo in difficoltà. Per ora ha funzionato.
Putin è terrorizzato dall’idea che un altro paese dell’ex URSS passi dall’avere un governo filo-russo ad uno fortemente anti-russo, com’è stato nel caso dell’Ucraina e come rischiava di succedere in Bielorussia. Le truppe russe si muovono freneticamente tra i diversi teatri della competizione di Putin con il resto del mondo: dalla mobilitazione permanente al confine ucraino (abbiamo pubblicato l’articolo Russia e Bielorussia destabilizzano l’Europa Orientale sull’argomento) all’intervento a sostegno dell’Armenia contro la Turchia che spalleggiava l’Azerbaijan nel 2020, dalla guerra in Siria alla Bielorussia di Lukašėnka, e via discorrendo.

L’attivazione del quadro legale del TSC, piuttosto che il semplice invio dell’esercito russo, è dovuta probabilmente all’inizio dei colloqui tra NATO e Russia sul tema dell’Ucraina. Combattuto tra la paura di perdere un alleato come Toqaev dopo il brutto spavento della Bielorussia e la volontà di calmare le acque in vista delle trattative diplomatiche con gli USA e la NATO, Putin ha trovato la giusta via di mezzo per sedare le rivolte senza compromettere i colloqui – come quello del 12 gennaio nel Consiglio Russia-NATO e i bilaterali con gli USA in corso –, i quali al momento tuttavia non hanno portato al raffreddamento delle tensioni.