Ruben Alfieri
El argentino es un italiano que habla español
Jorge Luis Borges
La comunità italiana in Argentina è una delle più rappresentative del paese dal diciannovesimo secolo ai giorni nostri, con una stima che risale approssimativamente al 50% della popolazione. Circa 27 milioni di persone, quindi, hanno origini perlopiù italiane.
L’ondata ebbe inizio nel 1870, seguendo una tendenza che cominciò ad arrestarsi nel 1960. Già nel 1887 gli italiani rappresentavano il 60,4% degli immigrati, diminuendo man mano che aumentava l’immigrazione spagnola. L’effetto dell’immigrazione italiana fu fondamentale per lo stabilimento della società argentina, influenzandone la cultura fino all’attualità. Dopo diciassette anni dalla sua prima Costituzione, a cui precedettero le lotte per la liberazione anticoloniale e il lungo conflitto fra unitarios e federales per determinare il futuro della nazione, l’Argentina rimaneva un paese con un’identità culturale molto poco definita, e che guardava all’europeizzazione come unico futuro auspicabile. Lo scrittore Domingo Faustino Sarmiento Albarracín (Presidente dell’Argentina dal 1868 al 1874) schematizza una visione politico-economica dell’Argentina secondo la dicotomia “civiltà o barbarie”, pubblicata nell’opera Facundo, o civiltà e barbarie del 1845. Il polo positivo è rappresentato dalla “civiltà”, per cui si intende la vita urbana concepita come raffinatezza dei costumi, quindi l’imposizione dell’uomo sulla natura; mentre per “barbarie” tutto ciò che è legato alla natura, come la campagna, la vita contadina e la tradizione. Questo tema influenzò radicalmente la letteratura dei primi decenni del ‘900, che spesso affrontavano il problema del rapporto uomo\natura.
La modernità in Italia aveva portato forti cambi economici, sociali e demografici, che rafforzarono le disuguaglianze tra la popolazione più ricca e quella più povera. Molti tra i più poveri cercarono quindi di rimediare un futuro migliore emigrando negli Stati Uniti, in Brasile e in Argentina, e lo scoppio delle due guerre mondiali incentivò maggiormente questo fenomeno, non solo in Italia. D’altronde, tra le cause principali che portarono gli italiani a emigrare, sono elencate anche l’epidemia di colera tra il 1835 e il 1885; la mancanza di adattamento dell’Italia alla rivoluzione industriale, che generò una forte crisi economica, e la pressione demografica sulla mancanza di terreno coltivabile.
L’Argentina in quegli anni stimolò la colonizzazione europea dei campi, partendo già dal 1853, quando la Costituzione promulgò l’impulso all’immigrazione e nel 1876 tramite la legge Avellaneda si creò il Dipartimento di Immigrazione. Lo stesso presidente Nicolás Avellaneda favorì l’arrivo dei coloni abbassando i prezzi della Pampa, del Chaco e della Patagonia e inviando agenti di contrattazione in tutta Europa per offrirli a chi sperava in una vita migliore oltreoceano. Parte delle terre promesse erano però incoltivabili e molti contadini abbandonarono le zone rurali per trasferirsi in centri urbani come Rosario e Buenos Aires, accrescendo eccessivamente il numero dei residenti in pochi anni.
Buona parte di questi contadini erano italiani, parlanti perlopiù dialetti regionali, spesso analfabeti e la stessa scarsa conoscenza della propria lingua d’origine rendeva difficile alla maggioranza poter riuscire a imparare la lingua del paese che li ospitava. La necessità di comunicare portò quindi la formazione del cocoliche, un termine gergale che indica un mix di spagnolo con diversi dialetti italiani, fenomeno particolarmente registrato a Buenos Aires, dove gli immigrati costituivano tra il 1880 il 1930 più del 40% della popolazione. Il cocoliche prevedeva le forme lessicali italiane, filtrate dall’uso del dialetto, alternate con quelle del castigliano attraverso una prossimità filogenetica tra i due idiomi, che produceva alterazioni fonematiche e fonetiche.
L’uso di questo gergo era quasi esclusivamente orale, finché non fu utilizzato nel Teatro per caratterizzare il personaggio dell’immigrato italiano che viveva nei conventillos della capitale. Queste erano delle case signorili abbandonate a causa della febbre gialla, i cui proprietari, dopo essersi spostati in luoghi più salubri, decisero di affittarle a intere famiglie, nonostante la scarsità di servizi di cui disponevano. Una loro caratteristica era inoltre il cortile comune su cui in genere affacciavano.
La storia narra che Antonio Cuccoliccio, da cui è stato coniato il termine, fosse un manovale emigrato dalla Calabria che alla fine dell’800 cominciò a lavorare nel teatro popolare rioplatense, denominato circo criollo. L’attore Celestino Petray, durante una messa in scena di Juan Moreira, opera del drammaturgo Eduardo Gutiérrez, aveva improvvisato una sua imitazione, ridicolizzandolo e riscuotendo un discreto successo. Il personaggio “Franchisque Cocoliche” arriva così ad essere il simbolo dell’immigrato italiano che cerca in tutti i modi di somigliare al criollo.
L’opera in cui compare questo personaggio parodistico ha infatti come tema il nazionalismo gauchesco. Il gaucho è una figura storica che ha contribuito fortemente alla liberazione anti-spagnola e che ha avuto un ruolo anche nei combattimenti tra federali e unitari, in Argentina, ma una volta risolto il problema delle guerre e iniziato il processo di organizzazione interna, diventa un elemento scomodo, privo di una cultura o di un’appartenenza sociale specifica e perlopiù utilizzato per difendere la frontiera dagli indios. Pertanto, il gaucho, escluso da una società che aveva deciso di abbandonare i valori tradizionali della campagna per la modernità cittadina, era diventato un personaggio mitizzato, ribelle, insofferente alle imposizioni e nomade, e che poteva usufruire di un territorio rurale sterminato che un’ondata di italiani analfabeti minacciava di trasformare.
È comunque attraverso il Teatro che la figura dell’immigrato italiano, nonostante continui a ricoprire un ruolo comico e giocoso, riesce ad essere accettato e a ottenere un suo posto nella società, poiché attraverso il teatro, l’immigrato entra a far parte della cultura, ancora in evoluzione, dell’Argentina. Una forma di teatro popolare che ha contribuito a questo scopo è il sainete, un tipo di dramma nato in Spagna, di natura giocosa e in un solo atto, che anticamente costituiva un intermezzo o la chiusura di un’opera importante. Ha delle caratteristiche precise che possono essere lette nel testo stesso del sainete di Alberto Vaccarezza, La comparsa se despide, che ne dà un’ironica definizione:
Un patio di un conventillo
un italiano affittavolo
uno spagnolo sornione,
una donna, un uomo,
due bulli dal coltello facile,
approcci, una passione,
scontro, gelosia, discussione,
sfida, pugnalata,
paura, fuga,
aiuto! polizia… sipario.
Nella loro semplicità, i sainetes offrivano rappresentazioni realistiche di vita popolare, come i contrasti tra le diverse etnie, nativi ed emigranti, in uno spazio in cui i personaggi, nonostante tutto, riescono a risolvere i conflitti e a convivere, e in cui la voce dello straniero ha più possibilità di essere ascoltata. Differentemente da quanto fanno le opere di teatro tradizionali, in cui l’incontro tra nativi e stranieri ha l’obiettivo di definire una tesi, il sainete rappresenta semplicemente una mescolanza di personaggi di diversa indole e origine, all’interno dello spazio limitato del conventillo, mostrandosi tramite esperienze che li mettono a confronto e che fanno riflettere e divertire il pubblico.