Quale poeta, filosofo, scrittore o erudito non ha mai riflettuto, nella propria opera, sul tempo e su cosa esso rappresenti e che peso abbia per l’uomo? Si dirà ovviamente che più o meno tutti ne hanno parlato e tra questi vi è Orazio, poeta latino del I sec. a.C., il quale, su modelli greci, ne fa la tematica portante della sua poetica, trattando l’argomento con la grazia stilistica e la delicatezza contenutistica che caratterizzano i suoi versi, connotati dal suo instancabile labor limae, traducibile nell’accanita opera di rifinitura grazie alla quale raggiunge esiti artistici di prim’ordine.
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babyloniostemptaris numeros. Ut melius, quidquid erit, pati,
seu pluris hiemes seu tribuit Iup- piter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi spem longam reseces. Dum lo- quimur, fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
Carmina I, 11
Non chiederti — non è dato saperlo — quale fine a te e a me,
o Leucònoe, abbiano assegnato gli dei, e non scrutare
gli oroscopi babilonesi. Meglio, qualsiasi cosa accadrà, sopportarla!
Ti abbia assegnato Giove molti inverni,
oppure ultimo quello che ora affatica il mar Tirreno
contro gli scogli, sii saggia, filtra vini, tronca lunghe speranze
per la vita breve. Noi parliamo, e già è fuggita l’invidiosa
età. Afferra l’oggi, credi al domani quanto meno puoi.
Questa è forse l’ode più famosa di Orazio, il poeta più rappresentativo, insieme a Virgilio, dell’età del pieno classicismo romano che raggiunge l’apice con il principato augusteo del I sec a. C. Sono questi i versi che contengono il famosissimo motivo del carpe diem, che, possiamo dire, riassume il pensiero di Orazio circa la sua visione del tempo e più in generale della vita.
Ma… che cosa intende il poeta esattamente con questa massi- ma?
Sostanzialmente l’ afferrare l’oggi è un invito a cogliere l’attimo e per l’accezione moderna e comune, ormai, costituisce una sorta di motto entrato nel linguaggio di tutti i giorni come esortazione, votata all’edonismo, a godere di un momento favorevole senza preoccuparsi del futuro; ma, in realtà, il carpe diem oraziano non va inteso come un mero e superficiale incitamento a compiere una corsa sfrenata alla ricerca del piacere, ma al contrario si tratta di un invito a praticare una saggezza moderata.
Quello che traspare dall’ode è il senso della fugacità della vita, caratteristico delle correnti filosofiche dell’epoca, in particolare dell’epicureismo che appunto riflette sull’importanza di conferire valore ad ogni singolo istante ed Orazio di ciò ne fa uno dei cardini della sua poesia lirica. L’ode ha il tono di un colloquio davanti al mare in burrasca tra un uomo maturo, reso saggio dagli anni e dall’esperienza, e una ragazza giovane, che porta un nome greco, com’è tipico della poesia erotica, Leucònoe (etimologicamente “dalla mente candida”), che ha fretta di vivere il suo futuro sul quale ha proiettato tante aspettative. Il poeta la ammonisce a non coltivare speranze troppo lunghe, che potrebbero dimostrarsi vane, ma a cogliere quanto più possibile ciò che il presente le concede e a godere fino in fondo delle picco- le e grandi gioie che la vita offre. È questo un concetto centrale nella riflessione oraziana che non rivela un atteggiamento negativo o pessimistico di fronte all’esistenza, e neppure un invito a chiudere gli occhi e a tuffarsi in una ricerca sfrenata del piacere immediato; bensì è un’esortazione a vivere con intensità ogni singolo momento, alla ricerca di una felicità possibile, puntando su ciò che il destino ci ha messo a disposizione e non di eventi che non dipendono da noi.
Il tempo fugge, è inarrestabile e davanti alle incertezze che ne derivano ci sentiamo impotenti e smarriti, ma Orazio ci offre un semplice rimedio per essere felici, una proposta di saggezza possibile, adatta all’uomo che non vuole estraniarsi dalla realtà, ma che con essa cerca un ragionevole compromesso centrato sulla metriòtes, cioè il giusto mezzo, che si esprime con la moderazione che è un’ altra tematica portante della poetica oraziana.
L’uomo, che avrà saputo vivere cogliendo l’attimo in maniera consapevole, durante il tempo inarrestabile della vita, potrà dire alla fine di tutto di aver vissuto davvero, senza rimorso né rimpianto: è questa, per il nostro Orazio, la vera e più genuina ricetta per la felicità; e dunque, CARPE DIEM.