Lo scenario

I nuovi italiani

Foto di Elton Gllava dalla pagina Facebook “Italiani senza cittadinanza”

di Lucia Vitale

«La cittadinanza? No, non ce l’ho. Mi dispiace tanto. Non è giusto. Per esempio, per questo viaggio negli Stati Uniti è tutto difficile, anche ottenere il visto. Eppure mi hanno invitato come italiano, andrò a Los Angeles come italiano, perché io sono italiano. L’altro giorno il mio video era sui megaschermi di Tokyo e sotto c’era scritto: tiktoker italiano».

La Stampa, 20 maggio 2021

Khabane Lame, noto a tutti come il tiktoker @Khaby Lame, è ormai virale su tutti i social. In particolare, sulla piattaforma cinese è diventato in meno di due anni il secondo tiktoker più seguito al mondo e il primo in Italia, riuscendo ad accumulare ben 130 milioni di follower. Tutto è cominciato durante il primo lockdown del marzo 2020, quando Khaby inizia a cimentarsi in video reaction, nei quali si esibisce mimando la sua reazione parodistica ad altri video postati sulla stessa piattaforma: video che forniscono un modo alternativo, ma chiaramente assurdo, di compiere dei semplici gesti quotidiani, come ad esempio, sbucciare una banana con una mannaia anziché con le mani.

Dopo questa breve presentazione, vorrei spiegare la scelta di iniziare questo articolo con le parole di Khabane Lame, il ventunenne italiano di origini senegalesi arrivato in Italia con i genitori quando aveva circa un anno di vita. A dirla tutta, ho voluto citare lui per parlare di una questione tanto attuale quanto urgente che ostacola la vita pubblica di una più considerevole parte della società italiana: la questione della cittadinanza o meglio della cittadinanza negata alle cosiddette “seconde generazioni”.

Il mio obiettivo è quello di divulgare attraverso Clinamen in maniera responsabile, ricercando un uso appropriato delle parole, parole che comunichino senza discriminare, che trasmettano empatia e che vi aiutino a comprendere le cose scritte o dette dai giornalisti e dagli esperti in materia. Nella stesura dell’articolo, mi è stato di particolare aiuto il saggio Parlare Civile a cura di Redattore Sociale realizzato appositamente per chi come me voglia sviscerare temi delicati con le giuste conoscenze di base e un linguaggio non ostile. 

Prima ancora di fornirvi la definizione corrente di “seconde generazioni”, vorrei che leggeste un passo tratto dal libro di T. Ben Jelloun, Nadia (1996) per comprendere che, a volte, non è così semplice trovare le parole giuste per definire quello che ci circonda, anche se gli umani sono portati da sempre a voler chiamare le cose con il loro nome: 

“Tutto ciò che i media e gli specialisti sono riusciti a trovare è stato di dare un numero a questa generazione: la seconda. Così classificati, eravamo partiti male per forza. Si dimenticava che non siamo immigrati. Non abbiamo fatto il viaggio. Non abbiamo attraversato il Mediterraneo. Siamo nati qui, su questa terra francese, con facce da arabi, in periferie abitate da arabi, con problemi da arabi e un avvenire da arabi. (…) siamo i figli di città in transito; siamo arrivati senza che nessuno sia stato avvertito, senza che nessuno ci attendesse; siamo centinaia e migliaia; (…) ci troviamo qui con facce quasi umane, con un linguaggio quasi civile, con dei modi di fare quasi francesi; siamo qui a chiederci perché siamo qui e cosa ci stiamo a fare? (…)”

Se considerata la questione in Italia, Redattore Sociale considera più consono parlare di “nuovi italiani”, la locuzione che al momento sembra la più corretta accanto a “seconde generazioni dell’immigrazione” o più semplicemente “seconde generazioni”. Quali sono queste seconde generazioni? La locuzione vuol designare sia gli immigrati che hanno già acquisito la cittadinanza sia i figli degli immigrati nati e/o cresciuti in Italia, i quali non sono ancora formalmente cittadini italiani. Come ha affermato Khaby Lame in un’intervista rilasciata a Google per Fanpage.it, non è il pezzo di carta che lo renderà italiano, anche se vorrei aggiungere che, purtroppo, quel “pezzo di carta” aiuta a godere degli stessi diritti degli altri italiani e, ad esempio, a ottenere più rapidamente un “semplice” visto per viaggiare fuori dall’Unione Europea, una borsa di studio universitaria (ricordo che il numero delle borse indirizzate agli stranieri sono meno rispetto alle borse per gli italiani), oppure a iscriversi ai concorsi pubblici da cui gli stranieri sono esclusi.

La Treccani include l’espressione “nuovo italiano” tra i Neologismi del 2019 dando come definizione della stessa: “immigrato di seconda generazione e, più in generale, cittadino con passaporto straniero che risiede stabilmente in Italia.” Purtroppo, la Treccani è incappata nell’errore più comune, quello di confondere l’espressione “seconde generazioni dell’immigrazione” con “immigrati di seconda generazione”. Le due espressioni non sono equiparabili: dire che un “nuovo italiano” è “un immigrato di seconda generazione” equivale a dire che anche i figli degli immigrati nati e/o cresciuti in Italia hanno compiuto coscientemente l’azione dell’emigrare da uno stato all’altro. In realtà, tra loro c’è chi non ha mai messo piede nel Paese di origine o chi sente anche l’Italia come patria per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni.

In termini numerici, secondo un censimento Istat al 1° gennaio 2018 (Identità e percorsi di integrazione delle seconde generazioni in Italia, Istat, 2020), i minori di seconda generazione, includendo anche gli italiani che hanno già acquisito la cittadinanza, sono 1 milione e 316 mila: di questi il 75 per cento è nato in Italia. I minori di seconda generazione costituiscono il 13 per cento della popolazione italiana e questa percentuale è in costante crescita.

Secondo la legge n. 91 del 5 febbraio 1992, in Italia vige lo ius sanguinis (dal latino giuridico “diritto basato sui legami di sangue”), il principio per cui un individuo acquisisce la cittadinanza di uno Stato se uno dei propri genitori o entrambi ne sono in possesso (Treccani, Neologismi 2017). Inoltre, la legge privilegia anche i discendenti degli italiani sparsi per il mondo, dando loro la possibilità di diventare cittadino italiano e di godere degli stessi diritti degli altri italiani. Il paradosso appare evidente e consiste nel fatto che, volendo fare un esempio più concreto, coloro che ottengono la cittadinanza italiana grazie ai nonni potrebbero ipoteticamente votare alle elezioni politiche e decidere chi andrà al governo di un paese a cui non sentono di appartenere e di cui non conoscono neppure la lingua. Dall’altro lato, ci sono i figli degli immigrati nati in Italia, i quali mantengono lo status di straniero fino al compimento del diciottesimo anno di età; dopodiché hanno un anno di tempo per presentare domanda di cittadinanza, tenendo presente che l’esito positivo della stessa non è garantito. Superata questa data, le loro istanze seguiranno l’iter degli altri immigrati adulti, così come accade automaticamente per i figli degli immigrati che sono arrivati in Italia da piccoli, dal momento che questi ultimi non hanno vissuto in Italia per diciotto anni “senza interruzioni” (art. 4, comma 2, della Legge italiana n. 91 del 1992).

La legge in vigore è visibilmente datata e urge di una normativa sullo ius soli, principio giuridico per cui un individuo diventa cittadino dello Stato in cui nasce, a prescindere dalla cittadinanza dei suoi genitori (Treccani, Neologismi 2017), perché è ingiusto che i “nuovi italiani” non possano godere degli stessi diritti degli altri italiani.

Per affrontare la questione e avviare ipotesi, percorsi e scenari di risoluzione, occorre dapprima parlarne correttamente. È doveroso ricominciare dal parlare civile, uno strumento efficace di lotta contro le ingiustizie sociali, per educare e saper fronteggiare una società profondamente mutata dal fenomeno migratorio: infatti, così come le parole sbagliate possono allontanare e creare separazioni e conflitti ideologici, le parole giuste possono creare dei ponti che avvicinino le persone e permettano la comprensione tanto quanto la risoluzione dei problemi; un obiettivo a cui tendere, una battaglia per cui combattere.


Parlare civile a cura dell’agenzia di stampa Redattore Civile è anche un progetto che ha dato vita al sito parlarecivile.it, volto a fornire un aiuto pratico a giornalisti e comunicatori per trattare con un linguaggio corretto temi sensibili e a rischio di discriminazione.

Redattore sociale è un’agenzia di stampa quotidiana dedicata ai temi del disagio e dell’impegno sociale in Italia e nel mondo.