Alfonso Martino
Da un paio di anni le grandi case note per la produzione di serie tv come Netflix e Amazon stanno prendendo sempre più piede nell’industria cinematografica: basti pensare agli Oscar per il miglior film straniero, la miglior regia e la miglior fotografia dell’ultima rassegna a Roma, diretto dal messicano Alfonso Cuaron che ha curato personalmente la fotografia, prodotto da Netflix e a Manchester by the Sea diretto e sceneggiato da Kenneth Lonergan, prodotto dalla seconda multinazionale che si è aggiudicato la miglior sceneggiatura originale e il miglior attore a Casey Affleck, interprete di un personaggio solitario e restio ad affrontare il suo passato.
Questi successi sono visti da alcuni come una sconfitta per gli amanti della sala per via della gestazione che hanno queste pellicole: la produzione classica è ridotta a un vero e proprio evento della durata di una settimana circa (mossa attuata per permettere ai film di competere per le grandi manifestazioni del settore come Venezia, Oscar e Golden Globes) per essere poi inseriti nel grande catalogo streaming della casa produttrice dell’opera dopo poco tempo.
Lo scorso anno Roma uscì in sala per un periodo ancora più breve in alcuni cinema selezionati, dal 3 al 5 dicembre, per approdare su Netflix il 14 dello stesso mese.
Un esempio particolarmente recente può essere The Irishman, l’ultimo progetto del maestro Scorsese a tre anni da Silence, presente ancora per pochi giorni come l’opera di Cuaron in poche sale e che uscirà a fine mese sempre su Netflix.
I giganti dello streaming non causeranno la morte del cinema così come lo conosciamo perché è grazie alle loro finanze se grandi autori come Cuaron e Scorsese hanno la possibilità di rendere su grande schermo, anche se per un breve lasso di tempo, la loro visione.
A proposito di questo, il regista di Goodfellas e Taxi Driver ha dichiarato al Festival del cinema di Roma:
“Per vedere un film sullo schermo lo devi prima fare, quel film. E il problema è che questo film non me l’avrebbero fatto fare senza Netflix. Con The Irishman sentivo che avremmo potuto sintetizzare qualcosa che riguardava la nostra generazione, ma nessuno voleva farlo. Poi è arrivato Netflix che ha dato sostegno a noi cineasti. Con Bob (il regista si riferisce al grandissimo Robert de Niro) abbiamo pensato a questo film alcuni anni fa, ma nessuno voleva darci i soldi. E Netflix, quindi, che non solo mi ha permesso di fare il film che volevo con i miei amici (oltre De Niro, il cast è composto da altri attori di alta caratura come Al Pacino e Joe Pesci), senza dover ricorrere ad altri attori per impersonare loro da giovani, ma utilizzando la tecnologia CGI. Mi ha anche dato tutto il tempo che volevo per girare e poi mi ha concesso sei mesi per lavorare in post-produzione per gli effetti speciali.”
Il concetto di cinema così come lo conosciamo non potrà morire perché il pubblico mainstream, quello che permette dal punto di vista economico la sua esistenza e che non sempre va in sala per il puro piacere di vedere un bel prodotto, sarà sempre portato a vedere l’opera fatta e finita in sala sia per quel che riguarda il cinema d’intrattenimento sia nel caso di vere e proprie autorità del settore come nel caso di Once upon a time in Hollywood di Quentin Tarantino, un’ode al cinema per gli amanti della settima arte che è stato visto anche da persone che non provano lo stesso amore, uscendo dalla sala insoddisfatte.