Alessandra Macrì
[…]Allo stesso modo i contadini poveri, i fallahin, i coolies i peones, i mugic, i cafoni si somigliano in tutti i paesi del mondo e sono sulla faccia della terra nazione a sé, razza a sé, chiesa a sé […]”[1]. […]”Noi capivamo tutto da cafoni, cioè, a modo nostro. Migliaia di volte, nella mia vita, ho fatto questa osservazione: cittadini e cafoni sono due cose differenti. In gioventù sono stato in Argentina, nella Pampa; parlavo con cafoni di tutte le razze, dagli spagnuoli agli indii, e ci capivamo come se fossimo stati a Fontamara; ma con un italiano che veniva dalla città, ogni domenica, mandato dal consolato, parlavamo e non ci capivamo; anzi, spesso capivamo il contrario di quello che ci diceva […]”[2] .
Il carattere di opposizione della rappresentazione letteraria ha portato alla creazione di figure che rappresentano una dimensione diversa da quella stereotipata, l’ “altro”; un esempio ne è il “cafone” rappresentato da Ignazio Silone nel romanzo Fontamara.
Fontamara è un dramma non limitato ad una regione e ad un paese (Si tratta di un nome e di un luogo immaginario che però presenta caratteristiche del tutto simili e reali a quello della Marsica in Abruzzo, luogo di origine di Silone), ma quello del mondo contadino meridionale, in un quadro storico oppressivo, quello degli anni Trenta in Italia, durante il fascismo in Italia.
Già nella Prefazione al romanzo, Silone così si esprime: “Io so bene che il nome di cafone, nel linguaggio corrente del mio paese, sia della campagna che della città, è ora termine di offesa e di dileggio; ma io l’adopero in questo libro nella certezza che quando nel mio paese il dolore non sarà più vergogna, esso diventerà nome di rispetto, e forse anche di onore” [4]. Il “cafone” è la rappresentazione del contadino sprovveduto e sfruttato dai grandi proprietari. Sempre nella prefazione del romanzo si legge:[…] “solita terra, le solite piogge, il solito vento, la solita neve, le solite feste, i soliti cibi, le solite angustie, le solite pene, la solita miseria: la miseria ricevuta dai padri, che l’avevano ereditata dai nonni, e contro la quale il lavoro onesto non è mai servito proprio a niente. Le ingiustizie più crudeli vi erano così antiche da aver acquistato la stessa naturalezza della pioggia, del vento, della neve. La vita degli uomini, delle bestie e della terra sembrava così racchiusa in un cerchio immobile”[…] [5]. La terra assorbe ogni giorno le gocce del loro sudore, “sudano sangue”, mai riuscire a possederla e vivono seguendo lo scadere delle stagioni: “Prima veniva la semina, poi l’insolfatura, poi la mietitura, poi la vendemmia. E poi? Poi da capo” [6] . Sono convinti che non valgono “nulla”, che occupano il posto più basso nella gerarchia sociale. I cafoni rivelano un ordine gerarchico per loro propria ammissione. Essi si considerano meno importanti dei cani da guardia del principe Torlonia:
E le gerarchie? Chiese il forestiero.[…]In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi nulla. Poi ancora nulla. Poi ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire che è finito” [7].
Isolati dal resto del mondo, i fontamaresi , i cafoni, non conoscono la realtà storica sono personaggi estranei al mondo. Il romanzo rappresenta oggettivamente i personaggi. Silone si sofferma sulla differenziazione dei valori all‘interno della società che descrive. Spicca, tra i cafoni, Berardo Viola, il cafone senza terra, colui che si fa portavoce della lotta contro le ingiustizie. Giunto a Roma, egli non riesce a trovare lavoro per la fama di sovversivo, il giovane è poi arrestato e torturato in carcere. Berardo morirà per le conseguenze delle percosse, ”E se io muoio? Sarò il primo cafone che non muore per sé, ma per gli altri” [8].
I “cafoni” di Silone sono i «dannati della terra» di ogni razza e di ogni paese [9], i diversi, gli altri.
Il termine cafone rimane ampiamente dispregiativo “Cafone è un termine usato per definire una persona dai modi incivili e rozzi” [11], indipendentemente dalla posizione sociale che possiede, il cafone, come si intende oggi, ha maniere rozze e linguaggio scurrile. Il cafone è un modo di essere talvolta una scelta. Dunque è sempre un “altro”, diverso da chi è gentile e garbato, a prescindere dalla estrazione socio-culturale.
[1] I. Silone, Fontamara, Prefazione, Milano 1985, p.20
[2] I. Silone, in op, cit, Cap. I, p.40.
3 Fontamara è un romanzo scritto da Ignazio Silone in epoca fascista, pubblicato nel 1949 da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, nella collana “Medusa”. Seguì nel 1953 la pubblicazione della collana “Narratori italiani”; nel 1958 il libro venne riproposto al pubblico con il testo riveduto e corretto dall’autore.
4 I. Silone, Prefazione, in op. cit., p.22-23.
5 I. Silone, Prefazione, in op. cit., p.22.
6 I. Silone, Prefazione, in op. cit., cap. I,p.48.
7 I. Silone, Prefazione, in op. cit., cap.9, p.247.
8 I. Silone, Prefazione, in op. cit., cap.9, p.247.
9 Studio comparativo tra Fontamara di Silone e Al-Ardh di Charkawi, Guide, Progetti e Ricerche di Letteratura araba
Università degli Studi di Roma Tor Vergata, 2009/2010, p. 80.
11in https://it.wikipedia.org/wiki/Cafone.