Sopra un bambino afghano che gioca a palla nella periferia di Kabul dinnanzi al palazzo “Darul Aman” distrutto dalla guerra, 8 giugno 2011, Gemunu Amarasinghe/AP
Lucia Vitale
Una volta giocando a pallone in questo stesso posto, mi sono rotto le dita del piede. Era buio e ho calciato un masso anziché il pallone
Mumtaz mi racconta con un sorriso questo piccolo aneddoto della sua vita a Kabul, stupito per ciò che la foto che gli ho mostrato gli ha appena richiamato alla mente. Mumtaz è un ragazzo afghano di 26 anni che ora vive e lavora a Monaco di Baviera.
Nella foto, ci sono alcuni ragazzi che si divertono a palla su un terreno sabbioso. Alle loro spalle quello che ne rimane di Darul Aman: il palazzo voluto da Amanullah Khan e divenuto il simbolo del fallito tentativo del re di modernizzare l’Afghanistan agli inizi del Novecento. Per diversi anni Darul Aman è stato vittima delle guerre di questo Paese, ragione per cui è rimasto a lungo fatiscente come Mumtaz lo ricorda negli anni in cui ha vissuto nella capitale afghana. Qualche anno fa, però, il governo ha deciso di avviarne i lavori di ristrutturazione, un modo per promuovere il turismo in Afghanistan. Il palazzo, infatti, è tornato al suo antico splendore ed è stato inaugurato quest’anno in occasione dei 100 anni d’indipendenza.
Vi starete chiedendo quale sia il connesso tra Mumtaz, Darul Aman e l’adolescenza, tematica centrale dell’ultimo numero del nostro periodico. Ve lo spiego subito! Mumtaz era un adolescente quando si è rotto le dita del piede giocando con i suoi amici nel campetto vicino a Darul Aman. Mumtaz era un adolescente quando ha deciso di lasciare l’Afghanistan.
Secondo le statistiche, realizzate dall’associazione umanitaria UNICEF nel maggio 2017, 1/4 di coloro che decidono di emigrare da questo Paese hanno un’età compresa tra i 15 e i 24 anni. Mumtaz è stato uno tra questi. A 22 anni lascia l’Afghanistan e un corso universitario a metà del percorso. Quando gli ho chiesto quali sono state le ragioni per cui ha deciso di emigrare, egli mi ha risposto che non è stato per motivi economici che lo ha fatto ma perché in Afghanistan sentiva la sua vita in continuo pericolo. Pensate ad un ragazzo che abbandona i suoi studi, la sua casa, la sua famiglia, tutto perché non vuole morire. È proprio della paura della morte che si sta parlando, la paura di lasciarci le penne a causa di un attentato.
Mercoledì 7 agosto un’autobomba esplosa a Kabul davanti ad una caserma di polizia, attentato rivendicato dai taliban, ha ucciso almeno 14 persone e ha provocato 145 feriti. Secondo i dati delle Nazioni Unite, solo nel mese di luglio, più di 1.500 civili sono rimasti uccisi o feriti nella guerra in Afghanistan. Un numero impressionante. Numerosi innocenti continuano a perdere la vita in un conflitto che si protrae da ben oltre 18 anni e che vede in campo principalmente i taliban e le truppe afghane appoggiate da quelle statunitensi. In realtà, la storia dell’Afghanistan è ben più complessa. Per via della sua posizione strategica, a cavallo tra Oriente ed Occidente, è un Paese che non trova pace sin dall’Ottocento quando i britannici vi imposero il loro controllo fino agli anni Venti del Novecento; negli anni Settanta, in seguito all’instaurazione di un governo sovietico, i mugiahidin si rivoltarono contro i russi. Dopo i russi vennero i taliban che, negli anni Novanta, imposero un regime fondamentalista, rovesciato dalla NATO nel 2001.
Tornando a discutere del nostro tema principale, numerosi adolescenti come Mumtaz sono andati via dall’Afghanistan; d’altro canto questo Paese continua a contare una delle più giovani popolazioni al mondo, numero che cresce in maniera esponenziale.
Mi è stato spontaneo chiedergli come abbia vissuto gli anni della sua adolescenza a Kabul. Egli mi ha raccontato che, prima che i taliban perdessero il controllo su gran parte del Paese, l’Afghanistan ha attraversato uno dei periodi storici più bui: la popolazione viene tagliata fuori dal resto del mondo, senza alcuna via d’accesso alle nuove tecnologie e forme di intrattenimento come la TV, il cinema, il teatro, la musica, i libri e lo sport. Successivamente, però, la situazione è migliorata.
È stato sorprendente scoprire che, nonostante tutto, Mumtaz abbia trascorso degli anni piuttosto felici all’insegna dei videogiochi, dello sport e delle rimpatriate familiari. Egli ha dato sempre il massimo in numerose attività sportive come, ad esempio, la box ed è stato sempre uno dei più talentuosi all’interno della sua comitiva. Ci sono state anche la scuola e la preghiera. Anche se la menziono per ultima, non significa che sia meno importante. Anzi, la fede è fondamentale nella vita di Mumtaz. Fin da piccolo è stato educato attraverso le parole del Corano che spesso mi recita per farmi capire, in maniera più concreta, quali siano gli insegnamenti dell’Islam. Nelle società islamiche il credo non è un accessorio, come spesso lo è in quelle occidentali. Quando Mumtaz afferma di essere musulmano, lo dice perché sente di esserlo realmente. Mumtaz ha una fede incondizionata in Allah, un Dio che lo aiuta ad affrontare meglio qualsiasi situazione del vivere quotidiano.
Da un punto di vista psicologico, quali sono le ripercussioni della guerra sui giovani afghani?
Nei Paesi come l’Afghanistan assistiamo ad un avanzamento precoce della fase adolescenziale. L’adolescenza è caratterizzata essenzialmente da due elementi: la maturazione sessuale e quella sociale. Questi due elementi dipendono dal contesto ambientale e sociale in cui si vive (Margaret Mead). Secondo alcuni studi i giovani delle società industrializzate sono soggetti ad uno sviluppo sessuale più rapido, eppure tardano ad acquistare la loro indipendenza all’interno della società che è, invece, precoce in tutti quei Paesi in cui i giovani hanno la necessità di responsabilizzarsi ad un’età prematura. Vorrei ricordare che, a causa dei numerosi conflitti, l’Afghanistan è uno dei Paesi più poveri al mondo, con una povertà che si concentra soprattutto nelle aeree rurali. Secondo il World Poverty Clock, che aggiorna costantemente le percentuali riguardanti la povertà nel mondo, il 37.9 % della popolazione in Afghanistan vive in miseria.
Come conseguenza, i ragazzi hanno il dovere di lavorare per aiutare la propria famiglia. A tal proposito, è bene che si parli anche della responsabilità degli uomini nei confronti del genere femminile. L’uomo ha il dovere di lavorare e proteggere le donne. Secondo il Corano donne e uomini hanno pari diritti pur essendo stati creati per svolgere dei ruoli distinti nel processo della procreazione. È per questo motivo che essi hanno delle responsabilità differenti.
L’adolescenza è un periodo conflittuale dell’esistenza umana, poiché appartiene ad una fase della vita in cui si vuole dar forma alla propria identità. Riflettere, dunque, su sé stessi e sul proprio futuro in un Paese afflitto dalla guerra e dalla povertà diventa una sfida maggiore, eppure Mumtaz è convinto che la gente, in Afghanistan, riesce ugualmente a trovare la propria felicità attraverso quella pace interiore raggiungibile solo con l’aiuto della fede.