Pierluigi Finolezzi
Nel corso della sua breve esistenza Raffaello Sanzio mostrò sempre un certo interesse per l’antichità classica, a tal punto che papa Leone X lo nominò nell’estate del 1515 praefectum marmorum et lapidum omnium con il compito di cercare per la città i marmi idonei al cantiere della Basilica di San Pietro e di preservare ogni cosa che costituisse una testimonianza del glorioso passato di Roma.
Ma il dialogo con l’antico non si esaurì qui, l’Urbinate si cimentò molto spesso nella riproduzione di tecniche impiegate nel mondo antico e andate perdute con la caduta dell’Impero Romano e l’avvento del Medioevo. È proprio di queste settimane la scoperta di una sperimentazione di Raffaello che nel realizzare un famosissimo affresco di Villa Farnesina ha voluto ricreare il primo colore artificiale della storia, il celebre “blu egizio”. A rivelarlo è il professore Antonio Sgamellotti, chimico e accademico dei Lincei che, insieme a ENEA, IRET-CNR, XGLab-Bruker e il Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali di Spoleto, ha condotto una ricerca sui materiali impiegati dall’artista nella realizzazione del Trionfo di Galatea. È una scoperta inaspettata e importante, sottolinea l’accademico, perché senza precedenti: “È la prima volta che si trova in un’opera di Raffaello questo pigmento, e credo che si tratti di un unicum”.
Secondo gli studiosi, il processo di fabbricazione del blu egizio fu scoperto in Egitto attorno alla fine del IV millennio a.C. e fu impiegato per la prima volta nelle pitture di una tomba di Saqqara edificata attorno al 2900 a.C.. Il suo utilizzo si generalizzò sotto la IV dinastia faraonica e dall’Egitto cominciò ad essere esportato prima nell’area del Vicino Oriente e poi, grazie alla mediazione di Roma, in tutto il bacino del Mediterraneo. Gli ingredienti necessari alla fabbricazione sono annotati su alcune tavolette babilonesi del XVII secolo a.C. e la tecnica di produzione è descritta nel suo De architectura da Vitruvio (VII, 11), l’architetto romano del I secolo a.C. del quale Raffaello amava leggere gli scritti e con il quale si confrontò più volte per comprendere a fondo l’arte degli antichi.
Raffaello, racconta ancora Sgamellotti, “cita Vitruvio rispondendo alla lettera del suo amico Baldassare Castiglione che gli faceva i complimenti per la bellezza della Galatea” e sceglie di recuperare e ricreare questa antica tecnica o per la natura del soggetto mitologico raffigurato, che richiamava l’antico, o per sperimentare una pratica alternativa a quella dei lapislazzuli che dalla caduta dell’Impero Romano aveva largamente soppiantato quella del caeruleum (termine latino adoperato per indicare il “blu egizio”). Le analisi condotte dai ricercatori hanno, inoltre, dimostrato che la ricerca raffaellesca sui colori archeologici non si è fermata al solo azzurro: un altro pigmento antico è il cinabro pompeiano che Raffaello ha riprodotto per il drappo che scende lungo i fianchi di Galatea. L’utilizzo del blu egizio peraltro rimane ineguagliato e rappresenta una scelta unica perfino all’interno della stessa loggia di Villa Farnesina, visto che anche nell’affresco del gigantesco Polifemo di Sebastiano del Piombo, che affianca la Galatea e ne costituisce quasi una continuazione, l’azzurro del cielo è realizzato con il più tradizionale impiego dei lapislazzuli.
Questo studio sul blu egizio è stato condotto e portato a termine in concomitanza dell’anniversario dei 500 anni della morte dell’artista urbinate. Bloccato a causa dell’emergenza epidemiologica, sarà presentato proprio a Villa Farnesina (Roma) tra il 6 ottobre 2020 e il 6 gennaio 2021 in occasione della mostra dedicata alle figure di Galatea e Psiche, indiscusse protagoniste delle pareti che il ricco mecenate Agostino Chigi aveva voluto affrescare per racchiudere in eterno il suo sogno d’amore con Francesca Ordeaschi.