a cura di Ruben Alfieri
Ringrazio Giorgio e Daniele
per l’aiuto e l’amicizia.
Francesco Libetta è, per il New York Times, «aristocratico poeta della tastiera con il profilo e il portamento di un principe rinascimentale (M. Gurewitsch); su Le Monde de la Musique O. Bellamy dichiara: «Libetta è l’erede dei Rosenthal, dei Busoni e dei Godowsky»; F. M. Colombo sul Corriere della Sera scrisse di «uno spolvero di signorilità […] che credevamo perduto negli archivi dell’interpretazione pianistica». Per La Tribune de Genève (L. Sabbatini) è «figure-culte». Aldo Ciccolini scrisse di Libetta: “Il più dotato strumentista della sua generazione”. Francesco d’Avalos gli ha dedicato tutti i suoi pezzi per pianoforte solo. Paolo Isotta lo ha definito «profondo musicista e un pianista di cultura» per «una libertà insieme e autorità pianistica che lo fanno senza confronti al mondo» (Corriere della Sera) e «il più grande pianista vivente» (in Altri canti di Marte, Marsilio 2015).
Ha realizzato integrali di Beethoven (le trentadue Sonate), Händel. Chopin, Godowsky (i 53 Studi sugli Studi di Chopin).
Ha studiato Composizione con G. Marinuzzi a Roma e J. Castérède a Parigi. Ha scritto per il teatro e per il cinema, acusmatica, cameristica, orchestrale. «Libetta compositore è poeta doctus» (P. Isotta sul Corriere della Sera). La sua opera “L’Assedio di Otranto”, messa in scena in Puglia e a Roma, è stata da poco pubblicata in cd.
Avviato alla direzione d’orchestra da A. M. Giuri e G. Zampieri, ha diretto repertorio sinfonico, operistico (Don Giovanni) e da balletto (Lo Schiaccianoci, La Bella addormentata, Carmen – con il Balletto del Sud).
Sue registrazioni hanno ricevuto il Diapason d’Or, Choc de Le Monde de la Musique, Raccomandé par Classique. Tra i registi dei suoi video, Bruno Monsaingeon e Franco Battiato.
È invitato da concorsi internazionali come presidente di giuria o in commissione (Porrino di Cagliari, BNDES di Rio de Janeiro, Busoni di Bolzano, Premio Venezia, Horowitz di Kiev, Livorno, etc).
Ha pubblicato saggi su storia ed estetica musicale; ricostruzioni di Madrigali; scritti sulla vita operistica nel meridione d’Italia nel Settecento e nell’Ottocento. Il suo libro “Musicista in pochi decenni” è stato recentemente pubblicato da Zecchini; nella recensione apparsa sulla rivista MUSICA, M. Chiodetti ha scritto: «Uomo di cultura enciclopedica, che dispensa senza sforzo alcuno, ma anzi con sommo divertimento suo e di chi legge. Un perfetto gentiluomo del sud, con ottime letture alle spalle e inesausta curiosità».
Ha collaborato con violinisti (I. Haendel, A. Pritchin, M. Quarta, G. Angeleri); danzatori e compagnie di balletto (da C. Fracci a G. Galimberti, al Balletto del Sud); cantanti (A. C. Antonacci, E. Palacio).
Ha fondato e organizzato per molti anni il Festival di Miami a Lecce. Ha fondato l’Associazione Nireo, attiva anche come casa discografica, con cui ha realizzato nuove produzioni e progetti culturali storici (tra cui la raccolta di 31 dischi con tutte le registrazioni di T. Schipa).
Quanto il rapporto col pubblico influenza l’espressione dell’intimità musicale di un componimento?
Si parla a qualcuno, si suona a qualcuno. E il tipo di rapporto che si vive durante l’esecuzione è parte integrante, fondativa direi, del significato. Però… qual è il pubblico a cui ci si riferisce? Gli astanti? I testimoni che ci figuriamo nella nostra immaginazione? Le persone che abbiamo presenti nel nostro cuore come ragione delle nostre attività di investimento nel miglioramento personale? Una Laura, o una Dulcinea, non dovrebbe mancare mai.
Esiste un compromesso tra intimità artistica e chiarezza espositiva? In qualche modo influisce sulla qualità del componimento?
Beh, si può sempre mentire; e nel breve termine si riesce anche a ingannare. Ma io lo trovo rischioso. Preferisco dire la verità, e lasciare che siano gli altri a non capire e dunque a non interferire con la mia sfera personale.
Da spettatore, il suo approccio all’ascolto di un’interpretazione.
Se ascolto qualcuno, tento di rubare le idee belle, e se tra una idea e l’altra c’è molto da aspettare, accendo il telefono e navigo silenziosamente sul web. Giudico poco (faccio eccezione se subdoro una truffa ai danni di chi ascolta). E non parlo mai male di un musicista; se veramente qualcuno mi suscita sentimenti di odio, preferisco parlare in termini entusiastici del suo nemico o rivale (tanto tutti ne hanno qualcuno). L’effetto è identico, e non suscita effetti collaterali.
I concorsi musicali in qualche modo distraggono il pubblico da un altro modo di fare musica?
Il pubblico che segue i concorsi è numericamente così limitato che qualsiasi effetto deleterio possa avere un concorso, potremmo non preoccuparcene comunque. Piuttosto, direi che ogni gara che avvenga nello spirito di dare il meglio di sé, e non nello spirito di essere più apprezzato di un altro, è benvenuta.
Fare carriera è un’esigenza che nasce dalla passione e dal proprio talento, o si tratta semplicemente di scelte?
Quale carriera? Ci si può sviluppare in tantissime direzioni. Ho scritto su questo argomento, tentando di impostare le domande principali. Qui posso solo dire che le regole sono migliaia, e tutte interagenti in modi complessi.
Nel suo caso, il suo percorso artistico ha avuto uno sviluppo naturale o di occasioni? Quali scelte ha precluso?
Il mio percorso artistico più recente è in fondo abbastanza coerente con gli esordi, da teenager. Suono le cose che possono sollecitare a pensare, senza star lì a distinguere se sono musiche famose ovvero rarissime. Ultimamente sto suonando spesso in duo con Giulio Galimberti. Il compositore Orazio Sciortino ci ha scritto il brano, “Coreofonia”, che abbiamo eseguito da poco a Napoli in “prima esecuzione”, «pensato e scritto per Francesco Libetta (ogni aggettivo lo riduce) e per un ballerino della classe e dell’eleganza di Giulio Galimberti (anch’egli pianista) con la coreografia sensibile di Stefania Ballone». Ha scritto per noi Fabio Massimo Capogrosso: un brano che prevede sezioni suonate a quattro mani e sezioni danzate. Vittorio Montalti ha riscritto per noi un brano con una bellissima presenza di suoni elettronici. Ecco, la libertà di poter presentare operazioni simili in contesti anche molto tradizionali mi conforta e mi fa pensare di godere ormai una fiducia profonda da parte degli organizzatori di molti teatri e molte associazioni concertistiche.
Può associare un componimento a un libro? Può giustificare la scelta?
A volte si può non creare, ma addirittura riconoscere un collegamento esistente. Pensiamo a Proust con Wagner: Nattiez ha scritto pagine molto interessanti sulle radici intrecciate della prosa di Schopenhauer, la tecnica di eloquio musicale di Wagner e la struttura del pensiero retorico e della drammaturgia narrativa di Proust. Altre volte si possono riconoscere emulsioni mal riuscite: chi ha il fegato per leggere la Filosofia della musica di Mazzini rischia di rimanere a bocca aperta; e i danni di quel modo di pensare riecheggiano ancora di De Sanctis e Croce.