Roberta Giannì
Ad oggi la popolazione mondiale conta all’incirca 7 miliardi di individui. Discendiamo tutti da un antenato comune eppure ci differenziamo gli uni dagli altri attraverso caratteristiche fisiche che riguardano la nostra capigliatura, la forma del nostro naso oppure il colore della nostra pelle.
Nel 2012 la fotografa brasiliana Angélica Dass dava vita all’ Humanae Project, un “work in progress” in cui vengono raccolti scatti di volti umani, evidenziando la bellezza del grande range cromatico della pelle umana. Più di tremila soggetti, tutti volontari, nessuna selezione in base a nazionalità, sesso, età, classe sociale o religione. Semplicemente la creazione di un database cromatico della pelle umana, che distolga dall’idea della prevalenza di un colore su un altro.
Il colore della pelle è dunque una caratteristica che divide oppure no?
Nina Jablonski è un’antropologa e una paleobiologa, docente alla Pennsylvenia State University. Si interessa di biologia, evoluzione umana e, in particolare, della pigmentazione umana. Autrice del libro Colore vivo: il significato biologico e sociale del colore della pelle e di numerosi articoli di carattere scientifico, ha le idee molto chiare sul valore del vasto range cromatico della pelle umana. Per la studiosa, il significato della diversità nella pigmentazione non è da ricercare nella società, bensì nella biologia. Ma partiamo dall’inizio.
Negli ultimi anni la NASA ha inviato numerosi satelliti orbitanti intorno alla Terra, con lo scopo di ricavare informazioni di varia natura dal nostro pianeta. Alcuni di questi sono spettrometri che analizzano la quantità di radiazioni solari che colpiscono la Terra e hanno evidenziato come le zone intorno all’Equatore siano quelle colpite con maggiore intensità, e che man mano che ci si allontana verso i due poli, l’intensità delle radiazioni diminuisce. Pensiamo ora ai nostri antenati: le prime evidenze archeologiche sono state registrate proprio nei territori dell’Africa vicini all’Equatore, facendo pensare dunque che essi avessero una pigmentazione della pelle piuttosto scura, dovuta alla grande quantità di radiazioni in quella zona del pianeta.
Ma come abbiamo raggiunto le gradazioni più tenui della nostra pelle?
Probabilmente ciò è avvenuto quando, a seguito della comparsa sulla Terra, i nostri antenati hanno iniziato a spostarsi in altre zone del pianeta, con radiazioni di minore intensità che causarono una perdita della pigmentazione scura: in poche parole, vi fu una selezione naturale in cui prevalse la pelle chiara. Le differenze cromatiche nella pelle sono perciò frutto del comportamento umano nelle diverse fasi dell’evoluzione e sono divenute discriminanti solo nelle moderne società, in cui le opinioni di alcuni individui si sono tramutate nella realtà in cui viviamo ancora oggi, una realtà che identifica diversi gruppi umani a seconda del colore della pelle e che ancora pone a confronto, sostenendo il bisogno della prevalenza di una pigmentazione su un’altra, intaccando il benessere salutare e sociale. La discriminazione in base al colore della pelle dunque non è altro che un concetto sociale, creato per motivare l’infondata opinione secondo cui alcune “razze” siano secondarie ad altre.
Nina Jablonski è la Scienza che prevale sull’opinione sociale.
“Voi potete insegnarla. Potete toccarla. Potete capirla. Portarla fuori da questa stanza. Prendete la vostra pelle e il suo colore e celebrateli. Spargete la voce. Avete l’evoluzione della storia della nostra specie, almeno in parte, scritta sulla pelle. Capitela, apprezzatela, celebratela. Andate. Non è bellissima? Non è meravigliosa?
Voi siete i frutti dell’evoluzione”.