di Renato De Capua
La metamorfosi
Per un’etica del dissimile
Solo i più saggi o
i più stupidi degli uomini
non cambiano mai.
(Confucio)
Nella natura delle cose del mondo “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Questo postulato, avvalorato dall’evidenza del contingente, è una legge fisica della meccanica classica, ovvero, la legge della conservazione della massa, elaborata dal famoso chimico (meno noto anche come filosofo) Antoine – Laurent de Lavoisier. E con questo incipit un po’ atipico per “Clinamen”, inizia il nono numero del nostro periodico che, a partire da oggi, si veste di un sottotitolo, il suo slogan, potremmo dire: “Un passo oltre il confine”, che speriamo possa accompagnare l’attività della rivista per tanti passi lungo quei camminamenti che saranno l’oggetto della sua esplorazione.
Ma veniamo al nostro tema, perché parlare della metamorfosi? Una delle risposte plausibili a tale quesito, potrebbe essere che tutto nasce da una trasformazione, da qualcosa che diviene altro da sé, isolandosi e diventando una nuova sostanza che, sviluppandosi, acquista nuove sembianze. Questo vale, ad esempio, per una nuova vita che approda nel mondo o per la mente di un giovane che ancora non conosce la maggior parte delle nozioni e ha brama di appagare la propria sete di conoscenza. E ancora, la vita stessa è metamorfosi, poiché cambia continuamente e in maniera imprevedibile, riuscendo spesso a sottrarsi con agilità ai razionalistici meccanismi della coscienza.
Come poter, inoltre, non ricordare il principio eracliteo del “Tutto scorre” come in un fiume? Se prendessimo atto della veridicità di tale asserzione, non potremmo esimerci dal constatare come tutto divenga, si trasformi e muti il proprio volto.
In questi numeri, “Clinamen” ha provato umilmente a fornire un’adeguata chiave d’interazione tra il lettore e la parola letteraria e uno dei tratti caratterizzanti di tale ambito è proprio la mutevolezza: esiste una letteratura che non ci narri di un cambiamento possibile o impossibile; avvenuto, contemporaneo alla voce narrante o addirittura futuro? La risposta è assolutamente: No!, in quanto l’uomo, appagando la propria necessità di narrarsi, ha anche, di riflesso, parlato del cambiamento che avveniva intorno a sé e che, mediante la parola, ha provato a trasporre. Da tutto questo nasce l’esigenza di dedicare un numero del nostro periodico alla metamorfosi, con l’auspicio che possa sensibilizzare al sorgere di un rispetto etico del dissimile che avvicini l’uomo all’altro, a ciò che gli è estraneo, perlomeno apparentemente. Siamo nel tempo dell’umanità perduta, come spesso l’attualità ci testimonia, e prima che l’uomo giunga all’inesorabile nichilismo della coscienza, dovrebbe impegnarsi strenuamente affinchè l’humanitas da cui è stato generato, si riavvicini a sé, sulla scorta di una bellissima massima del commediografo latino Terenzio che dovremmo rammentare ogni giorno a noi stessi: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” (“Nulla che sia umano mi è estraneo”), perché se è un bene che tutto si trasformi progressivamente, lo è altrettanto che l’uomo non dimentichi i punti da cui è partito.