EDITORIALE N. 8

di Renato De Capua

Raccontare la violenza

Scava dentro di te;
dentro è la fonte del bene,
e può zampillare inesauribile,
se continuerai a scavare.

(Marco Aurelio)

Il tema scelto da “Clinamen”, in questo numero, è la violenza e sarebbe desiderio di noi tutti che essa si limitasse a essere una trasfigurazione letteraria dell’umano, piuttosto che essere fortemente presente nel mondo, sin dai tempi più remoti ai giorni nostri. L’uomo, da quando ha iniziato a raccontare se stesso tramite la letteratura, ha parlato della violenza con frequente ricorrenza, dimostrando così quanto il tema non sia alieno dalla vita stessa degli esseri umani, essendone vera e propria parte integrante. Oggi sentiamo parlare di violenza ogni giorno, basta guardarsi intorno o utilizzare un qualsiasi mezzo di diffusione mediatica, per prendere atto di come essa ci circondi. Secondo il filosofo Umberto Galimberti ciò è dovuto al fatto che “è costitutivo dell’uomo la distruttività dell’altro e di sé”[1] e la letteratura, nel suo essere fortemente repertorio d’immagini dell’umano, fornisce ai suoi lettori numerosi esempi e attestazioni di essa, passando in rassegna varie epoche cronologicamente, talvolta, distanti tra loro e avvalorando la tesi del filosofo appena esposta. Un grande interprete del concetto di umanità che ci appartiene, Giovanni Paolo II, riflettendo sul concetto di violenza ha affermato:

[…]Perché tanta violenza oggi? Occorre forse risalire a monte, a quelle concezioni, a quei gruppi che hanno proclamato ed inculcato, e continuano a proclamare ed inculcare specie nelle coscienze dei giovani, come ideale di vita, la lotta contro l’altro, l’odio contro chi la pensi o agisca diversamente, la violenza come unico mezzo per il progresso sociale e politico. Ma la violenza genera violenza; l’odio genera odio; e l’uno e l’altra umiliano ed avviliscono la persona umana”[2].

Tali parole, risonanti della più lucida attualità, metterebbero apparentemente in discussione l’asserzione di Galimberti riguardante la correlazione tra la forma mentis hominis e la violenza e in realtà dovremmo vedere i due concetti separatamente, distinguendo l’uomo dalla persona. Ma, onde evitare inopportune digressioni, Galimberti, nella medesima sede[3], ci propone un antidoto alla violenza: “L’educazione, per far passare le persone da un livello impulsivo ad un’educazione emotiva. Seguendo tale ragionamento, la letteratura può a tutt’oggi essere l’antidoto, il rimedio, per leggere correttamente le istanze del nostro tempo, per far sì che l’uomo non si discosti troppo dalla propria costituzione naturale e non passi, con una naturalezza assimilabile alla prassi, dall’essere l’aristotelico animale sociale a una più (ahi noi!) familiare bestia feroce.

Nelle pagine che seguono, il concetto di violenza verrà esaminato nelle sue mutevoli e plurali accezioni; dalla letteratura l’invito a riflettere sulla realtà che viviamo, operando una disamina con sguardo critico, attento e vigile, poiché ciò che è consueto non sempre è corretto o normale, e la differenza la può fare anche una parola non detta. Noi che viviamo il presente abbiamo l’arduo compito di, come affermato magistralmente da una massima di San Girolamo, ambulare tradendo, ovvero, “camminare consegnando” a coloro che verranno ciò che la nostra civiltà ha prodotto, passando il testimone con la raccomandazione di continuare a narrare la violenza e di provare a contrastarla e a sopprimerla, affinchè non vinca mai il silenzio e nulla sia stato vano.


[1] Mazzucchelli L., Galimberti U., L’antidoto della violenza (2015). [Interview Trascript]

[2] Giovanni Paolo II, Parole sull’uomo, a cura di Montonati A., pag. 499, Fabbri Editori, 1995.

[3] Si veda la nota n.1 .