di Renato De Capua
Le rappresentazioni del fantastico
Una delle tematiche che un buon periodico di cultura umanistica dovrebbe affrontare, è sicuramente quello inerente le rappresentazioni del fantastico. Questo perché la fantasia e l’immaginazione possono essere considerate il primo motore che avvia l’agire del flusso del pensiero e fa sì che esso si concretizzi nei testi che sono a noi fruibili. È molto importante che i lettori abbiano chiara un’accezione di letteratura legata più alla fantasia e alla finzione, piuttosto che all’aderenza della vita concreta, esperibile. Un argomento letterario che sia tale, non ha la pretesa di insegnare la via giusta per conseguire un obiettivo, ma forse ha quella di mostrare le molteplici strade percorribili per giungere da un punto A a uno B, mettendo in luce le avversità, gli esiti difformi che possono scaturire dalle azioni dei personaggi “gettati” nella scena e in un’esistenza alternativa, condizioni potrebbero manifestarsi lungo la strada e che potrebbero anche coincidere con la nostra, ma non per forza, in quanto non è univoco il cammino, multiforme è la realtà. E quello che si è detto non deve considerarsi lapalissiano, perché è spesso un luogo comune denigrare alcune manifestazioni letterarie poiché troppo distanti dalla realtà, dal quotidiano e troppo vicine a un qualcosa che la mente stenta a razionalizzare. Bisogna essere in grado di discernere le due cose, i due mondi: da un lato la realtà che viviamo in tutta la sua concretezza, dall’altro la letteratura che trascende la razionalità perché animata dalla fantasia e dalla finzione. Ma ciò non implica che, talvolta, essa possa scontrarsi con la vita, venendo scambiata per la verità. Ecco perché abbiamo deciso di dedicare questo numero a tale argomento, vedendo come ogni autore e ogni opera abbia avuto corsi di vita differenti, ma sempre nutriti da un cospicuo humus di fantasia, che ha condotto loro e ciò che hanno scritto, ad essere collocati nello scenario letterario che possiamo ammirare in tutta la sua Bellezza e nel quale possiamo scorgere nembi di realtà che ci appartengono, ritrovando alcune parti di noi.
Quando mi capita di pensare alla letteratura correlata alle rappresentazioni del fantastico, penso all’uomo e alla sua mente, alla capacità divampante dell’umano di oltrepassare, a volte con tracotanza, se stesso, sino a spingersi oltre ciò che è soltanto pensabile, ma non necessariamente conoscibile. Tutto questo, a mio avviso, viene sintetizzato con una sintesi straordinariamente impeccabile da Giacomo Leopardi in uno dei suoi Canti più celebri, l’Infinito, nel quale, ad un certo punto, l’Io lirico afferma “Io nel pensier mi fingo”, ponendo se stesso su di un piano metafisico che valica lo spazio e il tempo della vita per innalzarsi in un canto e tradursi in una parola, in più parole, in frasi, in un testo compiuto, in un libro, esito di tale facoltà che appartiene agli uomini: trovare un altro sé in un mondo che è auto-creazione di uno spazio e di un tempo nuovi, dai quali trarre le parole per narrare la propria storia.