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di Renato De Capua
La madre
Siamo al terzo numero di “Clinamen” e il tema che abbiamo scelto per questo numero è umanamente a tutti molto caro: la madre, una figura fortemente presente nella letteratura di ogni dove e di ogni tempo. Potremmo definire la madre come una di quelle figure letterarie analogiche che fornisce messaggi polisemici e tra loro, talvolta, ossimorici: come poter non osservare che la stessa viene molte volte descritta come datrice di vita, ma anche come matrigna, ovvero, come manifestazione della negatività del mondo che ha la facoltà di celarsi tra le vesti di una figura che, di per sé, dovrebbe essere l’archetipo della bontà. La letteratura, intesa come fictio veritas può plasmare attorno a sè mondi ideali, alternativi che, tuttavia, più di quanto sia evidente in superficie, si avvicinano alla realtà che appartiene agli uomini; nella sua essenza e nella sua controversia. Assodato questo, ognuno sceglie a quale immagine rifarsi quando si pensa ad un modello della madre in letteratura e tra i tanti ritratti materni che abbiamo ereditato dalla tradizione letteraria, ne scelgo uno con estrema difficoltà, anche perchè, tra queste pagine troverete molti spunti per riflettervi e molti modelli che sono stati trattati dai vari articolisti.
Rainer Maria Rilke, una delle voci poetiche più complesse e raffinate della nostra contemporaneità ha dedicato alla Madre per eccellenza, la Madonna, un poemetto dal titolo Le mani della madre nel quale la maternità diviene il simbolo del perdono, di quell’amore profondo che riesce a non essere scalfito dal corso avverso degli eventi. A prescindere dal credo religioso di ognuno e senza voler entrare in merito a una mera questione di fede, sono convinto che tali parole possano riguardare tutti i figli e tutte le madri, in quanto la parola, se diviene elevazione di sé e del suo significato, mediante la poesia specialmente, può tramutarsi in universalità:
[…]
Salute a te, l’anima vede:
ora sei pronta e attendi.
Tu sei la grande, eccelsa porta,
verranno a aprirti presto.
Tu che il mio canto intendi sola:
in te si perde la mia parola come nella foresta.
Sono venuto a compiere
la visione santa.
Dio mi guarda, mi abbacina…
Ma tu, tu sei la pianta.
E con questa immagine di madre come pianta feconda di amore, mi fermo sulla soglia della sensibilità di ognuno, invitando alla riflessione su quanto nella vita è essenziale e fondamento. Auguro a tutti un Buon Natale e un sereno anno nuovo, colmo di ogni bene e di ogni sogno che la vostra mente e il vostro cuore bramino realizzare. “Clinamen” torna a gennaio con rinnovata energia e con una proposta tematica arricchita. Un ringraziamento a chi mi affianca in questa bella avventura, a chi ancora sa amare, a chi tende la mano.