Oltre il confine

D’amore e di poesia: “Orientarsi con le stelle” di Raymond Carver

Adele Errico

È un ragazzo di nemmeno vent’anni e lavora come fattorino. È già sposato e legge Hemingway e Poe. Ha il sogno di scrivere, anzi è ossessionato dall’idea di dover scrivere qualcosa, ma si guadagna da vivere facendo consegne a domicilio per un farmacista di Yakima, cittadina dello stato di Washington. Poi, un giorno, si ritrova a fare una consegna in una casa nella parte ricca della città. Ad accoglierlo un anziano signore in cardigan che gli chiede di attendere in salotto mentre va a prendere il libretto degli assegni. Guardandosi intorno si rende conto che quello non è un salotto come gli altri: ci sono libri in ogni angolo, su tavolinetti e ripiani, persino sul pavimento, impilati in numerose colonne e incastonati in una libreria contro il muro. Non è solo un salotto ma una piccola biblioteca personale. Non ne aveva mai vista una. Lo sguardo si sposta da un lato all’altro della stanza, fino a quando non si posa sul titolo di una rivista sul tavolino più vicino: “Poetry”. La sfoglia. Poi prende in mano un altro volume dal titolo “The Little Review Anthology” e sfoglia anche quello: è un libro di poesie alle quali si alternano brani in prosa, commenti e note. L’anziano signore in cardigan ritorna con il libretto degli assegni, lo sorprende con la rivista e il volume tra le mani e, cogliendo il suo desiderio e il suo stupore, glieli regala. Il ragazzo ringrazia, li prende e gli promette di tornare quando li avrà letti per raccontargli cosa ne pensa.

Quel ragazzo è Raymond Carver e non tornerà mai a raccontare all’anziano signore cosa pensa di quel libro e di quella rivista (“Questo non lo feci, ovviamente. Troppe altre cose si misero in mezzo; fu una promessa fatta spontaneamente, ma rotta nel momento stesso in cui la sua porta mi si chiuse alle spalle”). Non lo rivedrà mai più ma, per quell’incontro, lo straordinario si introduce nell’ordinario, il desiderio di scrivere, che si nasconde timido in un angolo del cuore, esplode in fame di lettura, in febbre di conoscenza. Un mutamento meraviglioso sta avvenendo nella vita di Carver neppure ventenne che fino a sera tarda legge di un uomo dallo strano nome di Ezra Pound e del dibattito sul modernismo letterario. Ubriaco di lettura, si addormenta e “non vedo proprio come abbia potuto dormire tanto quella notte”, racconta. Lo racconta in “La stella polare”, memoria di un incontro che Carver giura sia avvenuto proprio così come l’ha descritto, ma che rappresenta molto di più: rappresenta l’indicazione inaspettata che indirizza sulla giusta via, una luce in lontananza quando si brancola nel buio, la stella polare, appunto, che consente di non smarrirsi. E quell’incontro, quella stella, per Carver, è solo il primo, fondamentale momento in cui vede chiaro il suo destino: quello di essere scrittore e poeta, quello di imparare, tra le vicissitudini dell’esistenza, a “orientarsi con le stelle”. “Orientarsi con le stelle” è il titolo del volume all’interno del quale sono raccolte tutte le poesie di Carver. Si può aprire il libro a caso e leggerne una. E dopo averla letta non saremo più come prima di averlo fatto: saremo un po’ più noi stessi. Perché leggere le poesie di Carver significa scavare. Scavare, scavare in noi e trovare, in quelle parole, un po’ di noi stessi:

Parlare di me stesso tutto il giorno
ha riportato a galla qualcosa che credevo ormai
bell’e finito. Quel che provavo
per Maryann – Anna si fa chiamare   
adesso – in quegli anni.
Sono andato a prendermi un biccher d’acqua.
Sono rimasto un pezzo vicino alla finestra.
Quando sono tornato
siamo passati senza problemi all’argomento successivo.
Sono andato avanti con la mia vita. Ma
quel ricordo mi ha trafitto come un chiodo.
(L’intervista)

Così ci sentiremo dopo aver letto una sua poesia: trafitti come da un chiodo. Le poesie di Carver sono momenti di vita quotidiana, sussulti, batticuori. Sono poesie che squarciano il petto e vi spingono dentro emozioni; la sua è la poesia dello straordinario nell’ordinario, della rivoluzione celata nella monotonia di un giorno qualunque; leggere Carver è svegliarsi di soprassalto dopo aver sognato di precipitare e trovare al proprio fianco una mano amata da stringere. Carver racconta una resa: la resa di ciascuno di fronte alla bellezza delle piccole cose. Dice Tess Gallagher – che lo ha amato e da lui è stata amata fino all’ultimo giorno di vita dello scrittore – delle poesie di Carver che il tempo trascorso a leggerle “diventa subito fecondo, perché i suoi versi si concedono con la stessa facilità e spontaneità naturale del respiro”. Così finiamo per amarle, perché, senza che ce ne rendiamo conto, iniziano a scorrerci nel sangue e prendono lo stesso ritmo del nostro battito, fluiscono in noi e si confondono con il nostro respiro. Carver canta l’amore per la vita. Quella reale, quella difficile, quella fatta di sacrifici e di sofferenze, quella degli affetti profondi, familiari, quella dei sentimenti semplici e, per questo, essenziali. Canta i momenti rari in cui ci si sente vivi davvero. Quelli in cui ci si rende conto di essere qui e ora, che in fondo esistere è sufficiente e non si dovrebbe chiedere altro:

Giù nello Stretto le onde schiumano
come dicono qui. Il mare è mosso e meno male
che non sono uscito. Sono contento d’aver pescato
tutto il giorno a Morse Creek, trascinando avanti
e indietro un Daredevil rosso. Non ho preso niente.
Neanche un morso. Ma mi sta bene così. E’ stato bello!
Avevo con me il temperino di tuo padre e sono stato seguito
per un po’ da una cagnetta che i padroni chiamavano Dixie.
A volte mi sentivo così felice che dovevo smettere
di pescare. A un certo punto mi sono sdraiato sulla sponda
e ho chiuso gli occhi per ascoltare il rumore che faceva l’acqua
e il vento che fischiava sulla cima degli alberi. Lo stesso vento
che soffia giù nello Stretto, eppure è diverso.
Per un po’ mi son lasciato immaginare che ero morto
e mi stava bene anche quello, almeno per un paio
di minuti, finché non me ne sono ben reso conto: Morto.
Mentre me ne stavo lì sdraiato a occhi chiusi,
dopo essermi immaginato come sarebbe stato
se non avessi davvero potuto più rialzarmi, ho pensato a te.
Ho aperto gli occhi e mi sono alzato subito
e son ritornato a esser contento.
E’ che te ne sono grato, capisci. E te lo volevo dire.
(Per Tess)

Basta, in fondo, per esistere, trovare una ragione. E per Carver, quella ragione è la poesia che è fiume in cui riconoscersi e guarire, tra le cui onde provare l’orrore di perdersi, di chiudere gli occhi e non riaprirli e, insieme, ritrovare la forza di affrontare le onde, di nuotare e salvarsi. Giunto alla fine della propria vita, Raymond Carver si ritrova a fare un esame di coscienza:

E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Potermi dire amato, sentirmi
amato sulla terra.
(Ultimo frammento)

Ci è riuscito? In ospedale, nei suoi ultimi istanti di vita – morirà il 2 agosto del 1988 a cinquant’anni – Tess gli è vicina. Lo scrittore sa che sono gli ultimi respiri, gli ultimi baci, gli ultimi sguardi.
E Tess racconta: “Non avere paura”, gli avevo detto. “Cerca solo di addormentarti subito” e, alla fine avevo aggiunto “Ti amo” – al che lui aveva risposto: “Ti amo anch’io. Cerca di dormire un po’ anche tu”.
L’ultimo atto di Carver è un atto d’amore. L’amore per Tess, l’amore per la vita, l’amore per la poesia. Ogni istante della sua vita si ricompone in quell’ultimo istante, in quell’ ”ultimo frammento” che racchiude tutto il senso dell’essere al mondo, amare ed essere amati.

Sì, Carver ci è riuscito.