Lorenzo Claudio LACORTE
In un vasto panorama come quello videoludico, capita molto di rado di trovarsi di fronte a un titolo che riesca a emergere e ad affermarsi come un vero e proprio fenomeno. E tutto ciò è ancor più arduo quando il soggetto in questione è un titolo indipendente senza nessuna grande produzione dietro o tantomeno un gruppo di lavoro più grande di sole due persone. Cuphead è uno dei videogiochi indie di maggior spicco degli ultimi anni, ma quali sono le ragioni di questo successo?
Cuphead è un videogioco run and gun (sottogenere d’azione in cui bisogna combattere i nemici in movimento continuo) focalizzato sulle boss-fight, con un’estetica spiccatamente ispirata ai cartoni degli anni ‘30. La storia narra le vicende di Cuphead e Mugman, due fratelli tazzine, che vivono sull’Isola Calamaio. Un giorno, finendo per caso al casinò del diavolo Satanasso, perdono un’importante scommessa, così, sono costretti a reclamare le anime degli abitanti dell’Isola, pena la sottrazione della propria. Il gioco viene rilasciato dallo studio MDHR nel 2017 per Microsoft Windows e Xbox ma la sua storia parte molto tempo prima, più precisamente negli anni ’80 in Canada, a casa di due fratelli, Chad e Jared Moldenhauer. Cresciuti con i primi storici videogiochi run and gun quali Metal Slug e Contra, i due erano anche appassionati di cartoni animati della golden age anni ‘30.
Nel decennio ‘80-‘90, infatti, era molto comune trovare nei negozi, varie videocassette contenenti le vecchie glorie dell’animazione rubber house e i due hanno spesso dichiarato di averne viste numerose al riguardo. Il loro obiettivo fu chiaro fin da bambini: essere in grado di creare un videogioco che combinasse perfettamente le loro passioni per cartoni animati vintage e giochi d’azione old-school.
La loro aspirazione era nulla più che una semplice fantasia fanciullesca, messa da parte nel momento in cui le sfide della vita reale presero il posto dei videogiochi. Chad, per esempio, divenne un graphic designer, mentre Jared lavorò nell’impresa edile di famiglia. Si sentivano però quotidianamente e fantasticavano spesso sulla possibilità di realizzare finalmente la loro idea. Dopo una serie di tentativi nei primi anni 2000, falliti a causa dei limiti posti dalle tecnologie del tempo, decisero nel successivo decennio di iniziare a lavorarci concretamente.
Chad si occupò delle animazioni, mentre Jared iniziò a guardare vari tutorial di software per la creazione di videogiochi, per poter trasporre immediatamente le loro idee in qualcosa da poter testare. Il tutto senza alcuna esperienza al riguardo. A lungo andare, da semplice hobby, richiese sempre più impegno e risorse fino al punto in cui i due fratelli lasciarono le rispettive occupazioni per dedicare più tempo al progetto.
Nel team entrarono sporadicamente amici e familiare a dare una mano. La moglie di Chad, Maja Moldenhauer, si unì ai lavori inizialmente come inchiostratrice e in seguito come produttrice esecutiva, contribuendo persino durante la gravidanza.
Snodo fondamentale fu la questione delle animazioni, nello specifico decidere se realizzarle a mano o digitalmente. Insoddisfatti dei risultati ottenuti con quest’ultimo approccio (eccezion fatta per la colorazione), imboccarono la via più ardua, ovvero animare ogni singolo frame analogicamente. Questa scelta, meno pratica e poco popolare nel mondo dei videogiochi, non era solo un omaggio ai cartoni degli anni ’30, ma un vero e proprio atto d’amore verso un’arte che rischiava di essere dimenticata. La decisione, presa nonostante l’enorme sforzo, è ciò che ha reso Cuphead un’opera senza tempo, un capolavoro visivo che ha richiesto un’attenzione quasi maniacale ai dettagli e un impegno fuori dal comune; nonostante tutto lo studio MDHR, decise di includere anche gli errori che potevano derivare dall’animazione manuale, come sfottò nei confronti del digitale, in cui un pixel errato potrebbe compromettere l’intero disegno. La critica verso un’arte troppo perfetta per essere vera incarna perfettamente ciò che Cuphead voleva essere ed è: uno splendido un progetto ideato e sviluppato con passione, in cui persino i refusi fanno parte del processo creativo.
I sacrifici fatti dallo Studio MDHR per realizzare Cuphead furono numerosi. I tre project leader ipotecheranno persino le loro proprietà per ottenere i fondi necessari a pagare nuove attrezzature e collaboratori, arrivando a contare all’incirca trenta dipendenti in prossimità del rilascio. Il 29 settembre del 2017 esce finalmente Cuphead e si impone definitivamente come un tassello importante nel mondo del gaming moderno.
Nonostante la trama del gioco possa sembrare molto semplice, essa cattura perfettamente lo spirito dei cartoni animati della Golden Age degli anni ’30, con storie lineari e focalizzate sulle avventure vivaci dei protagonisti. La scelta di un livello di difficoltà elevato, se da un lato ha allontanato i videogiocatori più casuali, dall’altro ha trasmesso un messaggio chiaro: omaggiare i vecchi videogiochi, che spesso rappresentavano una vera sfida per chi li affrontava. Cuphead, in definitiva, non è semplicemente un videogioco, per quanto unico nel suo genere, ma un simbolo di ciò che può nascere quando si è pronti a tutto per realizzare un sogno. Esporsi a tutti questi rischi è un po’ come lanciare una moneta; ma la combinazione di una passione sconfinata, uno stile artistico senza tempo, un’esperienza di gioco punitiva ma appagante e una buona dose di fortuna ha permesso a quest’opera di spiccare nel panorama moderno, troppo spesso contrassegnato da grandi produzioni con poche idee e titoli non molto originali.