Roberta Giannì
I casi clinici più gravi a seguito di infezione da SARS-CoV-2 sono dovuti a geni Neanderthal.
A dirlo sono Hugo Zeberg e Svante Pääbo, due studiosi del Max Planck Institute of Evolutionary Anthropology di Lipsia, in Germania, i quali, sulla scia di un precedente articolo pubblicato nella rivista The New England Journal of Medicine, che indagava sull’associazione tra i geni di alcuni individui affetti da Covid-19 e l’insufficienza respiratoria, hanno deciso di andare più a fondo, interrogandosi sul perché dell’esistenza di manifestazioni cliniche di varia entità nei soggetti infetti.
Covid-19, com’è ormai noto, ha scatenato un’emergenza sanitaria mondiale, con cifre che toccano i milioni di individui infetti. Una particolarità del virus è il fatto di manifestarsi in maniera ampiamente differente, da una completa assenza di sintomi, a una lieve presenza di essi, fino alle manifestazioni più gravi quali l’insufficienza respiratoria. Anzianità e comorbidità (ovvero la coesistenza di più patologie in un individuo) potrebbero essere una possibile spiegazione dell’ampio range di variabilità delle manifestazioni cliniche, ma forse non le uniche motivazioni.
Partendo da queste basi, gli studiosi del Max Planck hanno analizzato un segmento del DNA umano, nello specifico 6 geni del cromosoma 3, connessi all’elevata insufficienza respiratoria da Covid-19, e hanno notato come questa sequenza genetica tipica dei soggetti gravi sia molto simile alla sequenza di geni dei Neanderthal.
Si suppone che la combinazione di questi geni sia avvenuta nel momento in cui i Neanderthal incontrarono i Denisoviani, gruppo umano estinto presente in un periodo compreso tra i 390.000 e i 40.000 anni fa che ha dato un contributo a quelle che sono le varianti genetiche negli antenati degli esseri umani moderni, e con cui i Neanderthal si incrociarono. “Le persone che hanno ereditato questa variante genetica” spiega Zeberg “hanno una probabilità tre volte maggiore di aver bisogno di una ventilazione artificiale a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2”. In termini mondiali, la proporzione di individui in possesso di questa combinazione genetica corrisponderebbe al 50% della popolazione in Asia meridionale, al 16% della popolazione in Europa, mentre in Africa e in Asia orientale sarebbe quasi del tutto assente.
Non è ancora chiaro ai due studiosi il perché della presenza di diverse manifestazioni cliniche nei soggetti affetti da Covid-19, tuttavia l’indagine intrapresa ha rimarcato nuovamente la presenza neanderthal all’interno del patrimonio genetico dell’essere umano moderno, nel tempo divenuto sempre più consistente e che deve perciò essere studiato ancora più approfonditamente.