Lo scenario

Come imbattersi in una “bella addormentata sulla roccia”

Lucia Vitale

Vi starete chiedendo “ma non si chiama la “bella addormentata nel bosco”?“ Sì, se pensate alla storia scritta dall’autore francese Charles Perrault, fiaba resa ancor più famosa dal classico Walt Disney del 1959.

In realtà, mi riferisco ad un’altra “bella addormentata”. Si tratta della schlafende Jungfrau, ‘fanciulla dormiente’ sul monte Wendelstein, la quale sembra essere stata scolpita ad arte nella roccia di questa piccola fetta delle Alpi bavaresi. È proprio qui che l’elegante silhoutte di un corpo femminile giace supino immerso nel silenzio della montagna.

L’ho notata passeggiando un giorno in bicicletta. Avevo bisogno di ordinare un libro e ho pensato che, essendo la libreria non troppo lontana da casa, potevo evitare di usare la macchina contribuendo nel mio piccolo alla riduzione dell’inquinamento. Chi avrebbe mai pensato che, uscendo in bici, mi sarei imbattuta in una “bella addormentata sulla roccia?”

La schlafende Jungfrau sembrerebbe rappresentare la Natura, una natura che cade esanime a causa dell’incuranza degli esseri umani e che potrebbe risvegliarsi inaspettatamente per vendicare le proprie ferite.

Fascino poetico a parte, essendo la nostra specie la sola responsabile della decadenza della natura, non possiamo più accettare reazioni di incredulità o negazionismo dinnanzi alle evidenti conseguenze di un modello di sviluppo insostenibile.

Preservare il nostro pianeta è una lotta che dovrebbe ormai riguardarci tutti. Nessuno è obbligato a protestare nelle piazze, ma ognuno di noi, chi più chi meno, dovrebbe sentirsi in dovere di contribuirvi. Informarsi è, ovviamente, il primo passo per attuare delle scelte consapevoli.

In questo nuovo articolo il discorso si focalizzerà, soprattutto, su tre elementi ad impatto ambientale: la rete dei trasporti, il cibo e la plastica.

VIAGGIARE ECOSOSTENIBILMENTE

Essendo i mezzi di trasporto una delle principali fonti di inquinamento atmosferico, cerchiamo di rivalutare il nostro modo di spostarci! Oggi siamo a conoscenza che gli aerei e le automobili hanno un impatto maggiore per km sull’ambiente.

Di conseguenza, come potremmo contribuire alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera?

Per raggiungere, ad esempio, la nostra palestra situata a pochi km, uscire in bicicletta o a piedi potrebbe essere un’alternativa efficace.

Il trasporto pubblico è preferibile alle auto soprattutto all’interno delle città se vogliamo percorrere distanze maggiori.

Scegliere, invece, una meta turistica più vicina per le proprie vacanze e raggiungibile in treno anziché in aereo sarebbe certamente la scelta più giusta da fare, sebbene sia un peccato privarsi della possibilità di entrare in contatto con culture e posti nuovi situati dall’altra parte del mondo. Per chi proprio non riesce a rinunciarci, il consiglio è di compensare questa scelta con altre maggiormente ecosostenibili.

Vi dirò, viaggiare in treno non è poi così male! Il mio ultimo viaggio l’ho affrontato in un treno in partenza da Monaco di Baviera diretto a Bologna; qui sono salita a bordo di un altro treno diretto a Brindisi. Ho attraversato, quindi, parte della Baviera, dell’Austria e dell’Italia. Tre nazioni nell’arco di 14 ore. Vi sentirete ispirati guardando fuori dal finestrino: in treno si ha la possibilità di godere del paesaggio circostante e si ha una maggiore percezione dello spostamento e dei cambiamenti da una regione all’altra. Durante il mio viaggio dapprima immersa in un paesaggio prettamente montuoso, ho potuto avvistare il mare dopo circa 6 ore di viaggio. Spettacolare, vero?

CIBO BUONO PULITO GIUSTO

Il motto dell’associazione internazionale no profit Slow Food è esemplificativo in relazione al discorso ambientale e non solo: “cibo buono pulito giusto”. Slow Food sogna un mondo in cui il cibo che mangiamo sia buono, pulito e giusto per tutti. Ciò significa che è importante mangiare sano e soddisfare il palato nel rispetto di chi lo produce e dell’ambiente circostante.

Se vivere in un mondo perfetto potrebbe essere considerata pura utopia, impegnarsi nel fare la differenza è possibile.

Perché informarsi sulla provenienza e sulle modalità di produzione del cibo che acquistiamo?

Stefano Liberti, giornalista e film-maker italiano, ha condotto un’inchiesta cercando di darci una risposta nel suo libro I signori del cibo – Viaggio nell’industria alimentare che sta distruggendo il pianeta pubblicato nel 2016 dalla casa editrice minimum fax.

Il giornalista afferma in un’intervista che le nostre scelte in merito al cibo che decidiamo di acquistare non sono affatto neutrali ma hanno un impatto sull’ambiente in cui viviamo.

Facciamo l’esempio della carne di maiale. Acquistiamo una carne, il più delle volte a basso costo, contribuendo spesso involontariamente, a fortificare un sistema di produzione nelle mani di pochi grandi “signori del cibo”.

Ma chi sono questi “signori del cibo”?

Stefano Liberti li definisce delle “grandi aziende che ormai controllano in modo molto predominante tutto il sistema alimentare mondiale e che si muovono di paese in paese cercando di trovare le condizioni migliori ambientali o di manodopera. ”

Chi come me è nata in un paese del Sud Italia sa ancora cosa significa acquistare carne da produttori locali, i quali nutrono adeguatamente un numero ridotto di animali, liberi di muoversi negli spazi a loro adibiti della fattoria.  

Dall’altra parte abbiamo, invece, un commercio globalizzato. Non si può più parlare di fattorie, bensì di industrie destinate alla carneficina dove gli animali vengono privati degli spazi vitali, dove gli animali vengono fatti ingrassare abbastanza per essere uccisi senza rispetto alcuno del loro benessere.

Queste industrie stanno distruggendo il pianeta se si tiene conto dell’intera catena dei fattori, tra cui l’inquinamento prodotto dalla monocultura meccanizzata di soya nel Mato Grosso (parte della foresta amazzonica), proteina che sarà destinata al nutrimento del bestiame; la deforestazione dell’Amazzonia e la distruzione degli ecosistemi; l’inquinamento prodotto dal trasporto della soya dal Mato Grosso ai grandi stabilimenti di allevamento di carne suina in Nord America, Europa e Cina.

Come fare, quindi, la differenza all’interno di questo grosso sistema?

L’informazione è il punto di partenza e, ovviamente, parliamo di un’informazione trasparente che dovrebbe essere facilmente accessibile per tutti. Tutto ciò per attuare delle scelte più consapevoli che possano determinare le grandi scelte delle industrie e, si spera, virare un modello ampiamente diffuso a livello globale di sviluppo insostenibile.

PLANET OR PLASTIC?

Planet or Plastic? è un progetto del “National Geographic” che ha per obiettivo la riduzione dello spreco di plastica. Attraverso il progetto si invita la comunità mondiale a prendere coscienza dell’impatto devastante della plastica sugli ecosistemi e a prendere parte attiva alla lotta. Il quesito provocatorio “Planet or Plastic?” ci mette di fronte ad una scelta ben precisa:

vogliamo salvare il pianeta o continuare a sprecare plastica incuranti delle conseguenze?

Campagna pubblicitaria del progetto “Planet or Plastic” del National Geographic

Tra le varie attività della campagna, il concorso di scrittura ha spinto migliaia di giovani a impegnarsi in maniera creativa nella lotta contro l’abuso della plastica. Il concorso consisteva nella stesura di un racconto fictionale o reale che avesse come tema centrale l’impatto della plastica in particolar modo sugli oceani.

Vincitrice del concorso è Liliana Sandberg con un racconto breve davvero originale dal titolo Ouroboros. Si tratta di un racconto distopico che ha per antagonista la nostra specie. L’eroe-protagonista della storia è, invece, la balena Coda-9994 catturata dagli esseri umani.

Su richiesta dell’uomo, la balena si spinge fuori dalla Terra per esplorare un nuovo pianeta ribattezzato Ouroboros dagli esseri umani, i quali si rendono conto di aver bisogno di un nuovo mondo nel quale emigrare poiché la Terra è divenuta invivibile a causa dalla troppa plastica.

Quando Coda-9994 si immerge nell’oceano di Ouroboros non riesce a credere ai propri occhi: nessun pesce ma, soprattutto, ZERO PLASTICA.

In collegamento dalla Terra, i suoi rapitori attendono di conoscere l’esito dell’esplorazione…

Esiste un pianeta che possa sostituire il nostro pianeta? In caso della presenza di un nuovo mondo, saremmo capaci di imparare dai nostri errori e comportarci diversamente?

Ancora una volta l’arte si fa portatrice di idee con l’obiettivo di risvegliare le coscienze umane. Il titolo stesso della storia ci invita a riflettere attraverso un animale-simbolo della letteratura magica egizia di età ellenistica. Un ‘uroboro’ è un serpente che insegue e inghiotte la propria coda.

Saremo capaci di attuare un cambiamento e di sfuggire al circolo vizioso dell’uroboro?