di Roberto Molle
Ho conosciuto Massimo Garritano tre anni fa quando ero alle prese col progetto “Il delicato mondo di Nick Drake”.
Tutto cominciava con le parole scritte da Joe Boyd per il libro e volevo finisse con un brano nella compilation che fungesse anche da colonna sonora. È stato Gianluca Veltri (giornalista e critico musicale) a suggerirmi Massimo che qualche anno prima aveva inserito in un suo album un brano che si chiamava proprio ‘Nick Drake’; fu un’ottima scelta, perché autore e brano avevano le caratteristiche che cercavo. ‘Nick Drake’ era un brano strumentale dove la chitarra dettava la via, un fingerpicking sussurrato che si srotolava tracciando delicati scenari che mutuavano dolcemente sotto le dita abili del chitarrista, evocando a tratti (in apertura) un riff che rimandava al The Edge di ‘Unforgettable Fire’ e, per l’intero brano, richiamando alla memoria un ghost-mentor di altissimo livello: tal John Fahey.
Non molto tempo fa è uscito “FreeFolk” (Manitu records) suo ultimo disco, disponibile nelle versioni vinile, cd e digitale. Sapevo che l’album conteneva 16 brani completamente strumentali e la cosa che mi sono subito chiesto è stata: ”Come si può sperare di reggere un ascolto così lungo senza una voce ad arricchire il tutto evitando cadute di tono?”. Qualche giorno prima, sotto una pioggia battente, un corriere intirizzito mi aveva consegnato un plico in tutta fretta, l’ho aperto e tirato fuori una copia di “FreeFolk”; da lì a poco avrei avuto la risposta ai miei dubbi.
Ma chi è Massimo Garritano?
Prima di raccontare le impressioni sul disco ecco qualche informazione sull’uomo. Nato nel 1973 a San Fili, in provincia di Cosenza, musicista e compositore. Chitarrista eclettico, ha sviluppato nel tempo un suono e uno stile molto personali. Borsa di studio al Berklee College of Music, diploma di primo e secondo livello in musica jazz.
Autore di musiche per spettacoli teatrali e sonorizzazioni di film muti. Docente al Conservatorio di Udine, vanta collaborazioni e incisioni con diversi artisti (dal sassofonista David Murray al chitarrista svedese Lutte Berg, dalla band siciliana degli Agricantus alla poetessa americana Jeanine Pommy-Vega, etc.).
Tanta roba insomma, da arrivare a ipotizzare lunghe e complicate suite di chitarra. Provo a mettere in moto la tecnologia, ma subito qualcosa non gira come dovrebbe, il vecchio ampli (un Sony con una trentina di anni sul groppone) sembra andato, dalle casse vengono fuori disperati suoni gracchianti. Ci metto poco a desistere e dirottare l’ascolto in cuffia; è un attimo, infilo il cd nel lettore del pc, indosso le Sennheiser e “FreeFolk” può iniziare.
Date le coordinate di partenza mi aspetto musica seriosa e atmosfera da camerale; ma ecco invece cosa l’ascolto mi ha rimandato indietro.
I brani sono divisi in quattro blocchi irregolari, contraddistinti dalla parola ‘Haiku’ (dal giapponese, il riferimento è a libere improvvisazioni di durata contenuta registrate in take uniche) e da un numero.
Non faccio in tempo a ragionarci troppo su che parte ‘Haiku #7’, e i primi accordi di chitarra evocano overture di film che ho amato oltremodo, nello specifico è il “Paris, Texas” di Wim Wenders con le splendide musiche di Ry Cooder a materializzarsi… ma è solo l’inizio.
L’Haiku scivola via in una manciata di secondi ed è il tempo di ‘Magara’, annunciata da una schitarrata solare e impetuosa che trasmuta in una ballata folk-blues che si adombra e schiarisce con la velocità delle nuvole spinte dal vento sotto un sole primaverile.
A seguire ‘Pitagora’, pacata filastrocca di note che rallenta il ritmo e dirotta su atmosfere più miti.
A chiudere il primo blocco di “FreeFolk” è ‘Bottle Cup Blues’, un brano che è puro esercizio di stile, un divertissement chitarristico sincopato che a tratti s’impenna per poi assestarsi sul finale.
È tempo di ‘Haiku #11’, un’intro di folk con venature prog che traghetta la chitarra di Massimo Garritano nel brano successivo. ‘Attese Disattese’ è fatto di scale veloci con sottotracce blues che rimarcano virtuosismi da brivido. Pochi minuti ed è la volta di ‘Una danza nuova’, soffice ballad chiaroscurale enfatizzata da un delicato apporto di steel. ‘Marvaellous’ (‘finale di Haiku #11’), brano intimista dall’andamento sciamanico, scorre su canoni rock che scivolano verso l’oscurità.
‘Haiku #9’ apre il blocco più corposo, e si presenta con squilli di corde pizzicate, misterioso e interlocutorio.
S’era detto di un ‘ghost-mentor’ che rispondeva al nome del grande chitarrista americano John Fahey, Garritano lo omaggia con un brano che porta il suo nome. ‘John Fahey’ è un pezzo che alza il tiro e spara dinanzi agli occhi paesaggi tipici delle praterie texane, con in sottofondo splendidi giri di fingerpiking.
Gli omaggi si susseguono, ‘Joe Zangara’ riporta alla memoria l’anarchico italiano Giuseppe Zangara (che nel 1933 tentò di uccidere il presidente americano Franklin Rooselvet). Il suono è quasi dolente, l’atmosfera si fa elegiaca, la chitarra resofonica completa il mood. In ‘Life in a box’ si disegnano spazi onirici giocando con accordi rotondi e raffinati che sconfinano in ‘Night moon’ (il brano successivo) in un continuum sonoro che concilia stati d’animo in tumulto. ‘Persuasion’ sposta la prospettiva verso spazi world-music, ma è un attimo, il vento cambia direzione confondendo oriente e occidente senza dettare regole.
A chiudere, ‘Haiku #10’, sognante rilettura classica che scivola dentro ‘Xenos’, un brano che mescola influenze, passione e creatività: la firma che l’autore ha messo in calce alla sua opera.
Il disco è finito, le orecchie bruciano un po’ (il bello e il brutto delle cuffie chiuse); nessuna voce, solo la magia dei suoni che conquistano, ineluttabilmente. Massimo Garritano ha realizzato un capolavoro che si nutre di suggestioni ed evocazioni regalando bellezza.
“FreeFolk” è un concept universale, buono per mille occasioni. Da ascoltare in sottofondo per rilassarsi in salotto o durante un viaggio lungo qualsiasi statale, immaginandosi su una highway che taglia il deserto americano, con il vento in faccia e il sole a bruciare ogni tristezza.